-  Redazione P&D  -  30/04/2015

BALDUZZI, R.C. MEDICA, MILANO, TODESCHINI, BUFFONE, COSA NE PENSA .. – Marco BONA

 

Caro Giuseppe: non dimentichiamoci che "Balduzzi" è incostituzionale!

Ho letto lo scambio di vedute tra l"amico Giuseppe Buffone e Nicola Todeschini.

Non entro nel merito del loro "dialogo".

Mi sembra, però, opportuno fornire alcune indicazioni, perché forse ricorre eccessiva leggerezza, da parte di taluni, nel voler sovvertire principi consolidati.

Dato lo spazio succinto di un articolo on-line, rinvio per ogni ulteriore chiarimento in ordine a quanto qui di seguito rilevato a M. Bona, La responsabilità medica civile e penale dopo il decreto Balduzzi, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2013.

1. Mistificazioni sulla cd. "medicina difensiva".

A diversi soggetti piace evocare lo spettro della "medicina difensiva".

Questo "mito" nasce oltreoceano, dove si è pervenuti alle seguenti conclusioni: «In the debate about health care reform, "defensive medicine" has become a convenient culprit for rising costs and especially rising physician malpractice premiums. Vaguely defined, the phrase, "defensive medicine," is used to suggest that physicians make medical decisions to avoid potential litigation, instead of with their patients" health and safety in mind. On the strength of this assertion alone, some policymakers argue for restricting Americans" right to bring suit to recover damages for medical malpractice. […] however, … the proponents of medical malpractice "reform" lack persuasive evidence that tort litigation against physicians encourages them to make medical decisions that they would not have made otherwise», S. A. Shapiro, T. O. McGarity, N. W. Vidargas, J. Goodwin, The Truth About Torts: Defensive Medicine and the Unsupported Case for Medical Malpractice "Reform" (February 1, 2012), Center for Progressive Reform White Paper No. 1203, 1, rinvenibile all"indirizzo http://ssrn.com/abstract=2139682.

Ed ancora: «The evidence reveals that "defensive medicine" is largely a myth, proffered by interests intent on limiting citizen access to the courts for deserving cases, leaving severely injured patients with no other recourse for obtaining the corrective justice they deserve. These changes would limit the deterrent effect of civil litigation and diminish the regulatory backstop that the civil justice system provides to the professional licensing system, leading to more medical errors. Restricting lawsuits might save doctors a negligible amount on malpractice premiums but the vast majority of any savings will most certainly line the pockets of the insurance companies demanding these restrictions. On the other hand, buying into this myth has very real and dangerous consequences. Allowing civil justice opponents to pretend that constraining the civil justice system equates to meaningful health care reform distracts us from doing the things that must be done to fix the system, including avoiding the 98,000 deaths caused by preventable medical errors every year and reducing the unacceptable number of uninsured Americans», A. SHAPIRO, T. O. MCGARITY, N. W. VIDARGAS, J. GOODWIN, The Truth About Torts: Defensive Medicine and the Unsupported Case for Medical Malpractice "Reform", cit., 3.

Se volessimo essere sinceri, dovremmo prendere atto che a rendere ardua la vita ai medici sono in primo luogo i costanti tagli operati dallo Stato e dalle Regioni alla sanità (ivi compreso ilrisk management).

Molteplici vicende all"ordine del giorno consegnano un inconfutabile quadro della sanità, pubblica e privata, che continua a presentare tassi eccessivamente elevati di (scongiurabile) sinistrosità e, pertanto, di (indesiderato e prevenibile) contenzioso penale e civile.

Da un"indagine condotta dalla Commissione tecnica sul rischio clinico, istituita all"interno della programmazione generale del Ministero della Salute, si evince che in Italia ogni anno si verificherebbero circa 320.000 morti a causa di errori ospedalieri, pertanto con una media giornaliera di circa 90 pazienti deceduti; almeno il 50% dei decessi, secondo questo studio, sarebbe evitabile.

Inoltre, il 70% degli incidenti sarebbe da attribuirsi a problemi organizzativi, mentre soltanto il restante 27-30% sarebbe dovuto ad errori di carattere professionale. Il sovradosaggio di farmaci (!) e lo scambio di pazienti (!) risulterebbero essere le cause più diffuse.

Aggiungasi che, secondo i dati riferiti nel marzo 2005 dall"allora Ministro della Salute Sirchia circa 500 mila pazienti su 9 milioni e mezzo di ricoverati l"anno sarebbero vittime di un"infezione contratta in ospedale, con una percentuale corrispondente al 5-17% degli ospedalizzati; la mortalità per infezione ospedaliera è stata stimata intorno al 3% dei ricoverati.

Alla luce anche di questi dati, pertanto, risulta del tutto errato e fuorviante attribuire i numeri elevati del contenzioso in materia in via prevalente, se non addirittura esclusiva, alla particolare tutela rimediale apprestata dai regimi della responsabilità penale e civile. Ed ancora più errato risulta imputarla al "mito" dei cittadini "aggressivi" nei confronti della classe medica, troppo spesso rappresentati e liquidati come affetti da ingiustificate pulsioni di vendetta o, perlomeno, da aspettative irrealistiche nei confronti della scienza.

Il contenzioso in materia, ed il suo aumento, sono fenomeni da addebitarsi, prima che alle regole di responsabilità, oppure alle particolari dinamiche della "psicologia" dei pazienti e dei loro famigliari, ai seguenti fattori (ovviamente il seguente elenco non è esaustivo):

•          il continuo verificarsi (e, in tutta una serie di strutture, l"incremento) di negligenze/imperizie da parte dei sanitari, dovendosi sottolineare (a smentire che la questione possa ridursi alle crescenti aspettative, da parte dei cittadini, di risultati positivi dalle prestazioni medico-sanitarie) il singolare ed allarmante dato dell"elevatissimo numero di eventi avversi nel corso di prestazioni routinarie, perfettamente scongiurabili con le conoscenze scientifiche attuali;

•          i difetti organizzativi delle strutture, tali da incidere sia sulla salubrità/efficienza degli ambienti sanitari, sia sul ripetersi di errori professionali (logico è che medici, costretti ad orari defatiganti o con problemi a livello di disponibilità del personale, sono più esposti al rischio di errori);

•          il deplorevole stato in cui versa il servizio di medicina generale, che, essendo il primo, più diretto e basilare punto di riferimento per i cittadini che necessitano di assistenza medica, dovrebbe garantire livelli qualitativamente ben più elevati di assistenza;

•          la mancata previsione od attuazione, soprattutto in varie realtà geografiche, di sistemi di gestione del rischio;

•          sperperi di denaro pubblico talvolta associati a veri e propri fenomeni criminosi, aggiungendosi in talune aree geografiche i danni prodotti dal coinvolgimento nel "sistema sanitario" di associazioni malavitose;

•          l"assenza, in molte strutture, di sostegno umano (ma anche specialistico) ai pazienti ed ai loro congiunti dopo il verificarsi di esiti infausti (è purtroppo frequente che i cittadini, una volta occorso un evento avverso, siano lasciati soli, senza risposte o con spiegazioni - superficiali, frettolose, talvolta arroganti - tali da generare sospetti; ciò indubbiamente induce questi cittadini a rivolgersi ad altri medici, che non lesinano critiche ai propri colleghi, e poi alla magistratura e all"avvocatura);

•          estreme superficialità nella fase che precede la somministrazione delle prestazioni (una corretta, esaustiva e ben documentata informazione dei rischi di queste e, dunque, una preparazione dei pazienti/famigliari agli eventi avversi sarebbero senz"altro tali da favorire la comprensione degli stessi, laddove abbiano luogo, oltre che scongiurare profili di responsabilità);

•          il vezzo di taluni medici di criticare i propri colleghi, contribuendo così alla convinzione dei pazienti di essere stati vittime di "malasanità";

•          in taluni casi anche i meccanismi di selezione e direzione del personale medico e paramedico, sistemi che, come noto, non sempre premiano il merito, la professionalità e la dedizione al servizio; andrebbe del resto ricordato che episodi di "baronaggio" e di mobbing sono all"ordine del giorno nelle strutture sanitarie, con perniciose conseguenze sulla tutela dei pazienti;

•          l"incremento dei costi dei farmaci e dei dispositivi medici, tale da condurre lo Stato e le Regioni a centellinare la loro somministrazione anche laddove opportuna se non necessaria.

 

Dinanzi a questi fenomeni, occorre davvero molta superficialità per ritenere che la soluzione prima, sposata dal DL "Balduzzi", sia da ravvisarsi nel ridimensionare tutele e diritti in capo a coloro i quali abbiano a lamentare dei danni in conseguenza di prestazioni mediche.

 

2. Chi desidera la riforma della responsabilità medica?

Lo Stato e le sue articolazioni, ovviamente: non bastano i tagli ai servizi, occorre anche tagliare la tutela risarcitoria. Sempre meno ai cittadini.

Non solo: l"art. 3, commi 1 e 3, del decreto legge (per quanto concerne il primo comma sia nella sua formulazione originaria che in quella poi convertita) sembra rispondere in tutto e per tutto anche ai diktat dell"ANIA.

A riprova di ciò:

•          nel documento «Assemblea Annuale ANIA – Relazione del Presidente Aldo Minucci – Roma 3 luglio 2012» si individuavano, per "risolvere" le problematiche (innanzitutto assicurative) della responsabilità civile sanitaria, le seguenti vie di azione: «la soluzione non è l"imposizione a carico degli assicuratori di limitazioni tariffarie o di obblighi a contrarre, perché queste misure avrebbero il solo effetto di far uscire buona parte delle compagnie dal mercato. Occorre, piuttosto, intervenire per ridurre i costi diretti e indiretti della "malasanità". […] Vanno poi esaminate, con estremo equilibrio, due questioni; La prima riguarda una più puntuale definizione della responsabilità del medico e delle strutture sanitarie, che la giurisprudenza ha ampliato in misura accentuata negli ultimi anni. È di tutta evidenza che, se la responsabilità del medico che ha seguito le regole previste dai protocolli fosse limitata al dolo e alla colpa grave, il numero delle denunce scenderebbe drasticamente. Occorre trovare il giusto equilibrio tra i profili di responsabilità e il diritto dei cittadini a un equo risarcimento dei danni provocati dagli errori sanitari. La seconda è relativa alle modalità di definizione dei risarcimenti: anche in questo comparto, come nella r.c. auto, sarebbe opportuna l"approvazione di tabelle che, riducendo la discrezionalità delle valutazioni giurisdizionali del danno biologico, rendessero più certo e stimabile in anticipo l"ammontare del risarcimento dovuto dalle compagnie» (pagg. 7-8 del documento Assemblea Annuale ANIA – Relazione del Presidente Aldo Minucci – Roma 3 luglio 2012);

•          l"ANIA sembra avere anche inciso sulla trasformazione del comma 1 dell"art. 3 dal testo originario a quello poi convertito in legge; in occasione dell"audizione informale del 26 settembre 2012 avanti la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei Deputati l"ANIA così commentò il testo del decreto-legge, suggerendo la seguente via: «Il primo comma del disegno di legge, da un lato, ribadisce che, nei casi che presentino "problemi tecnici di speciale difficoltà", il professionista risponde solo per colpa grave e dolo, confermando in tal modo quanto già previsto in materia dal Codice civile; dall"altro lato, precisa che in tutti gli altri casi nei quali si debba accertare la colpa lieve del professionista, il giudice deve considerare in modo particolare l"avvenuta osservanza da parte del professionista stesso delle linee guida e buone pratiche della comunità scientifica nazionale ed internazionale. Anche tale precisazione appare superflua in quanto già di fatto applicata dal giudice che viene chiamato ad esaminare un caso di responsabilità civile medica. A tale proposito, va dunque rilevato che il testo della norma non corrisponde a quello anticipato dalla stampa il quale, invece, escludeva direttamente la responsabilità per colpa lieve qualora il professionista avesse svolto la propria prestazione secondo le predette linee guida e buone pratiche. Al contrario, la norma non fa altro che formalizzare la giurisprudenza in materia, senza raggiungere alcun risultato in termini di una più puntuale definizione della responsabilità dell"esercente le professioni sanitarie e di conseguenza non può incidere sui costi diretti ed indiretti del fenomeno. Su questo punto andrebbe valutata l"opportunità di introdurre una norma che escluda la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie in caso abbiano seguito correttamente i protocolli diagnostici e terapeutici stabiliti dalle competenti Autorità».

3. Art. 3: una norma incostituzionale!

Il giurista serio, quando affronta una novella legislativa, dovrebbe domandarsi innanzitutto se siano stati rispettati i canoni costituzionali per la sua emanazione. Soprattutto di questi tempi ove imperversa l"abuso del decreto-legge (purtroppo ampiamente tollerato dagli ultimi Presidenti della Repubblica).

Del resto, che senso ha sovvertire un sistema se le nuove regole dovrebbero reggersi su una norma incostituzionale?

Ritengo grave che il profilo della costituzionalità di norme sorte da decreti-legge sia costantemente ignorato dai "giuristi", soprattutto laddove pure magistrati.

Nel caso "Balduzzi" la questione è chiara.

Avviatosi l"iter per la conversione del decreto-legge, il Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati rilevò sin da subito molto chiaramente, senza esitazioni di sorta, tutte le criticità del decreto-legge n. 158/2012 relativamente alla sua conformità con l"art. 77, comma 2, Cost., ciò:

•          sotto il profilo dell"omogeneità di contenuto: «esso dispone un complesso di interventi – elencati puntualmente nel corposo preambolo – che investono numerosi aspetti della più ampia materia della tutela della salute, i quali spaziano dalla disciplina della professione e della responsabilità dei medici, della dirigenza sanitaria e del governo clinico, sino alla disciplina della garanzia dei livelli essenziali di assistenza per le persone affette da malattie croniche e rare e da dipendenza da gioco, alla sicurezza alimentare, al trattamento di emergenze veterinarie, ai farmaci, alla sperimentazione clinica dei medicinali, alla razionalizzazione di alcuni enti sanitari e al trasferimento alle regioni delle funzioni di assistenza sanitaria al personale navigante»;

•          sotto il profilo dei rapporti con la normativa vigente, sottolineandosi in relazione alla tecnica della novellazione «un insufficiente coordinamento con le preesistenti fonti normative, in ragione del fatto che talune disposizioni intervengono su di esse mediante modifiche non testuali», e più in generale «modalità di produzione normativa, che mal si conciliano con lo scopo di semplificare e riordinare la legislazione vigente»;

•          sotto il profilo dell"efficacia temporale delle disposizioni: «il provvedimento contiene alcune norme i cui effetti finali appaiono destinati a prodursi in un momento distanziato rispetto alla loro entrata in vigore»;

•          sul piano dei rapporti con le fonti subordinate del diritto: «il provvedimento contiene alcune disposizioni che demandano la loro attuazione a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. […] In relazione alle anzidette disposizioni, che affidano compiti attuativi a fonti atipiche del diritto, si ricorda che, come più volte segnalato dal Comitato per la legislazione in circostanze analoghe, tale modalità di produzione normativa non appare conforme alle esigenze di un appropriato utilizzo delle fonti normative, in quanto si demanda ad un atto di natura politica la definizione di una disciplina che dovrebbe essere oggetto di una fonte secondaria del diritto e, segnatamente, di regolamenti emanati a norma dell"articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (regolamenti governativi nella forma di decreti del Presidente della Repubblica ovvero regolamenti ministeriali)»;

•          sul piano della corretta formulazione, del coordinamento interno e della tecnica di redazione del testo: «il provvedimento reca alcune formulazioni che risultano ambigue o generiche».

Tutti questi difetti risultavano invero riscontrabili, in tutta la loro gravità, anche con specifico riferimento all"art. 3 del decreto-legge (nel suo testo precedente alla conversione in legge); essi si sono poi significativamente aggravati in sede di conversione.

In particolare è evidente quanto segue:

•          il decreto-legge n. 158/2012, affrontando materie certamente diverse tra loro (dalla riorganizzazione del servizio sanitario, alla responsabilità medica, ai giochi, alla sicurezza alimentare, sino alle emergenze veterinarie) recava disposizioni fra loro estremamente eterogenee, con una manifesta commistione ed altrettanto palese sovrapposizione in esso di oggetti e finalità eterogenei, peraltro in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei; palese, dunque, era in primis il suo difetto di omogeneità;

•          nonostante l"eterogeneità delle disposizioni, si forniva nell"epigrafe del decreto («Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» … sic!) un"unica ed assolutamente generica (quindi del tutto insufficiente) motivazione circa la sussistenza delle ragioni d"urgenza e di straordinaria necessità dei provvedimenti ivi contenuti; nello stesso segno si poneva il preambolo così testualmente formulato: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di procedere al riassetto dell"organizzazione sanitaria, tenuto conto della contrazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale a seguito delle varie manovre di contenimento della spesa pubblica, attraverso la riorganizzazione ed il miglioramento dell"efficienza di alcuni fondamentali elementi del Servizio stesso, allo scopo di garantire e promuovere in tale ottica un più alto livello di tutela della salute, adottando misure finalizzate all"assistenza territoriale, alla professione e responsabilità dei medici, alla dirigenza sanitaria e governo clinico, alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza per le persone affette da malattie croniche e rare e da dipendenza da gioco con vincita di denaro, all"adozione di norme tecniche per le strutture ospedaliere, nonché" alla sicurezza alimentare, al trattamento di emergenze veterinarie, ai farmaci, alla sperimentazione clinica dei medicinali, alla razionalizzazione di alcuni enti sanitari e al trasferimento alle regioni delle funzioni di assistenza sanitaria al personale navigante [....]»; palese, dunque, era l"incongruità tra le motivazioni fornite e le singole materie trattate;

•          tali stringate e del tutto imprecise motivazioni, già di per sé idonee ad inficiare il decreto-legge nel suo complesso, venivano riferite dal Governo anche a supporto dell"art. 3 («Responsabilità professionale dell"esercente le professioni sanitarie») del decreto-legge, peraltro a sua volta contenente norme tra loro estremamente eterogenee (dalla responsabilità del medico all"albo dei consulenti tecnici);

•          nello specifico, contrariamente ai dettami dell"art. 77, comma 2, Cost. ed ai principi più volte ribaditi dalla Corte costituzionale:

-         nessun collegamento, perlomeno immediato e diretto, era ravvisabile tra, da un lato, le premesse di cui all"epigrafe ed al preambolo del decreto e, dall"altro, la specifica previsione di norme sulla tutela risarcitoria dei cittadini; in particolare, riguardo alla finalità, indicata dalla norma nella sua premessa, «di garantire e promuovere in tale ottica un più alto livello di tutela della salute», la "riforma" della responsabilità medica e l"estensione delle "tabelle r.c.a." alla liquidazione del danno biologico da prestazioni sanitarie costituivano provvedimenti tali da non presentare il carattere della straordinaria necessità ed urgenza, risolvendosi invece in un"ordinaria modificazione degli assetti stabiliti in materia di responsabilità medica e risarcimento dei danni; tra l"altro, tali modifiche non risultavano collegate, quanto meno secondo un rapporto di immediatezza qualificabile in termini di urgenza, sia pure relativa, al riassetto dell"organizzazione sanitaria (comunque non costituente l"unico oggetto del decreto legge);

-         soprattutto deve osservarsi che: l"art. 3, a partire dai commi relativi alla responsabilità medica ed alla liquidazione dei danni, mirava evidentemente ad introdurre una normativa "a regime" ed a portata generale, preordinata a regolare esclusivamente i casi futuri; tali previsioni erano del tutto slegate da contingenze particolari e straordinarie; del resto, lo stesso Ministro Balduzzi, in seno alla seduta n. 825 del 30 ottobre 2012 avanti l"Assemblea del Senato, ammetteva di fatto l"insussistenza dei requisiti posti dall"art. 77, comma 2, Cost., rilevando che «le disposizioni sulla responsabilità professionale … proprio perché hanno bisogno di essere applicate, in quanto sono l"espressione di problemi e di profili antichi nel diritto, richiedono del tempo. Il tempo stabilirà la tenuta di quelle disposizioni. La norma che attualmente è presente nel decreto-legge non stravolge la disciplina della responsabilità, non deresponsabilizza l"esercente la professione sanitaria, ma gli consente una maggiore serenità, che era lo scopo che ha presieduto alla sua stesura»; l"introduzione di una disciplina "speciale" per la responsabilità medica e la liquidazione dei danni in questo settore poteva senz"altro essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa di cui all"art. 71 Cost.

Si tentò da parte del Governo di giustificare le disposizioni di cui all"art. 3, facendosi riferimento all"obiettivo di contrastare il fenomeno della "medicina difensiva", tuttavia così adducendosi a supporto della sussistenza dei requisiti, di cui al comma secondo dell"art. 77 Cost., una questione notoriamente annosa e certamente lungi dall"essere contingente e straordinaria; aggiungendosi questa "giustificazione" (ulteriore rispetto a quella generale) di fatto si ammise non solo il difetto di collegamento con le altre disposizioni e con la spiegazione recata dall"epigrafe e dal preambolo del decreto-legge, ma anche l"assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza con riguardo alla finalità (lacunosamente ed incorrettamente) dichiarata.

Deve poi osservarsi come l"incostituzionalità dell"art. 3 sia venuta ad aggravarsi significativamente in sede di conversione: infatti, il primo comma dell"art. 3 sulla responsabilità medica, originariamente previsto dal Governo in chiave soltanto civilistica (senza particolari effetti dirompenti ), venne radicalmente trasformato, con il beneplacito dello stesso Ministro proponente, in norma prima di tutto di natura penale, essendosi di fatto alleggerita la responsabilità penale del medico, più precisamente prospettandosi (in palese contrasto con lo stesso titolo del provvedimento) una significativa depenalizzazione della responsabilità dell"esercente la professione sanitaria.

In breve, il primo comma dell"art. 3 del decreto-legge, che già evidenziava nel suo testo iniziale manifesti vizi di legittimità costituzionale ai sensi dell"art. 77 Cost. difettando dei presupposti sanciti da tale norma per la decretazione d"urgenza, venne convertito, con un radicale stravolgimento degli obiettivi originari del decreto-legge, in norma incidente sulla responsabilità penale al punto da recare un"esimente del tutto inedita; non solo: secondo alcuni interpreti, infatti, in sede di conversione sarebbe stata "rivoluzionata" (in peius) anche la responsabilità civile, essendo che su questo fronte il nuovo primo comma sarebbe tale da precludere, perlomeno in tutta una serie di casi, l"azionabilità dell"art. 1218 c.c. .

Orbene, queste radicali innovazioni apportate al decreto-legge, tra l"altro recate da un comma connotato da formulazioni estremamente ambigue, generiche ed imprecise, sarebbero dovute risultare e risultano contrastare con i principi affermati dalla Corte costituzionale con riferimento alla legge di conversione.

In particolare, deve osservarsi quanto segue:

•          il testo originario del decreto-legge non recava alcuna previsione di carattere penale e neppure circoscriveva in qualche modo il novero delle azioni risarcitorie esperibili dai danneggiati; dunque, gli emendamenti approvati aggiunsero, in chiara violazione del comma 2 dell"art. 77 Cost., una disciplina assolutamente inedita rispetto ai contenuti del decreto-legge, in alcun modo prevista da quest"ultimo;

•          tali modifiche – posto, per quanto concerne il versante civilistico, che in effetti il primo comma (secondo periodo) dell"art. 3 sia da interpretarsi nel senso di incidere sulla proponibilità dell"azione risarcitoria ex art. 1218 c.c. (di ciò si può seriamente dubitare ) – intervennero in evidente contrasto con l"obiettivo, perseguito dal decreto-legge, «promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» (notoriamente, infatti, la responsabilità penale e quella civile sono preordinate a realizzare questo scopo, sicché non si spiega come un loro ridimensionamento possa contribuire all"attuazione di tale fine);

•          il primo comma dell"art. 3, nella sua versione emendata in sede di conversione, risulta ancora di più, rispetto al testo originario del decreto-legge, costituire una normativa "a regime", cioè preordinata a regolare esclusivamente i casi futuri e, quindi, non già protesa a risolvere particolari situazioni straordinarie e contingenti, dunque sicuramente difettando dei requisiti tipici della decretazione d"urgenza; le disposizioni ora recate dalla predetta norma, inoltre, senz"altro potevano e dovevano essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa di cui all"art. 71 Cost., senza del resto che si ponesse alcuna necessità di procedere in via d"urgenza.

Deve infine osservarsi come, in occasione dell"iter di conversione, l"innesto dell"ordinaria funzione legislativa sia stato del tutto precluso al Senato: infatti, questo ramo del Parlamento, con riferimento all"art. 3 nella sua interezza (dunque anche in relazione alla questione della liquidazione del danno biologico), di fatto non esercitò in alcun modo la propria ordinaria potestà legislativa; l"approdo al testo definitivo dell"art. 3 fu invero imposto al Senato dal Governo tramite voto di fiducia, senza che neppure si fosse conclusa la disamina in seno alle commissioni competenti.

Ciò configura un ulteriore ed inequivocabile abuso dello strumento della decretazione d"urgenza, oltre che un"inconfutabile conferma del mancato esercizio, in sede di conversione, da parte del Parlamento del suo ordinario ed imprescindibile potere legislativo.

In conclusione, la nuova disciplina sulla responsabilità medica è divenuta legge senza il rispetto di alcuno dei criteri basilari posti dalla Costituzione e dalla Consulta per la produzione normativa in via di urgenza.

Insomma, del tutto inequivocabile è come le norme qui in commento siano manifestamente incostituzionali ex art. 77, comma 2, Cost., ciò senza neppure la necessità di scomodare gli artt. 2, 3, 24, 32 e 111 Cost., dei quali si dirà comunque con riferimento alle singole disposizioni.

L"interprete, il quale non rilevi questi profili di incostituzionalità, o è estremamente disattento e superficiale, oppure risulta in totale malafede, tertium non datur.

Per precisione vorrei ricordare le seguente statuizioni della Consulta:

•          l"art. 77 Cost. costituisce una norma di primaria importanza, atteso che «l"assetto delle fonti normative [è] uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo nel sistema costituzionale»: «Esso è correlato alla tutela dei valori e diritti fondamentali. Negli Stati che s"ispirano al principio della separazione dei poteri e della soggezione della giurisdizione e dell"amministrazione alla legge, l"adozione delle norme primarie spetta agli organi o all"organo il cui potere deriva direttamente dal popolo» (Corte cost., 23 maggio 2007, n. 171);

•          dunque, l"adozione di una norma da parte del Governo per decreto-legge costituisce un atto del tutto eccezionale, che richiede una motivazione precisa consistente nell"indicazione e nella sussistenza di una reale preesistente situazione di fatto comportante la necessità e l"urgenza di provvedere attraverso tale via (Corte cost., 30 aprile 2008, n. 128);

•          più nello specifico, «la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l"urgenza di provvedere tramite l"utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell"adozione del predetto atto, di modo che l"eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimità costituzionale del decreto-legge che risulti adottato al di fuori dell"ambito applicativo costituzionalmente previsto» (Corte cost., 30 aprile 2008, n. 128);

•          l"esistenza della necessità ed urgenza dell"introduzione di una norma per decreto-legge, pertanto, «non può essere sostenuta da apodittica enunciazione della sussistenza dei richiamati presupposti, né può esaurirsi nella eventuale constatazione della ragionevolezza della disciplina»(Corte cost., 30 aprile 2008, n. 128);

•          ai fini della valutazione della sussistenza di tale requisito occorre verificare tra l"altro larispondenza delle singole norme contenute nel decreto-legge all"epigrafe dello stesso ed al suo preambolo ove si indicano le ragioni di necessità ed urgenza (Corte cost., 30 aprile 2008, n. 128); infatti, «il riconoscimento dell"esistenza dei presupposti fattuali, di cui all"art. 77, secondo comma, Cost., [va collegato] ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall"intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all"unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare»; tuttavia, «la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          «l"inserimento di norme eterogenee all"oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell"urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          inoltre, «ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          «L"art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) - là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» - pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell"art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell"intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell"eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          conseguentemente alla luce di questi vari principi, «risulta […] in contrasto con l"art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          infine, last but not least, «la disciplina "a regime" di materie o settori di materie» deve «essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all"art. 71 Cost.» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22).

Quanto poi alla costituzionalità della legge di conversione del decreto-legge sempre la Consulta ha delineato il seguente quadro:

•          l"eventuale mancanza dei presupposti fissati dall"art. 77, comma 2, Cost. configura «tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge quanto un vizio "in procedendo" della legge di conversione», stante che, in assenza dei predetti requisiti, occorre assumere che la legge di conversione abbia «valutato erroneamente l"esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione» (Corte cost., 27 gennaio 1995, n. 29);

•          in particolare, «il difetto dei requisiti del «caso straordinario di necessità e d"urgenza», una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge», giacché «affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie», ciò anche alla luce del fatto che «la legge di conversione è caratterizzata nel suo percorso parlamentare da una situazione tutta particolare, al punto che la presentazione del decreto per la conversione comporta che le Camere vengano convocate ancorché sciolte (art. 77, secondo comma, Cost.), e il suo percorso di formazione ha una disciplina diversa da quella che regola l"iter dei disegni di legge proposti dal Governo» (Corte cost., 23 maggio 2007, n. 171);

•          inoltre, «la necessaria omogeneità del decreto-legge […] deve essere osservata dalla legge di conversione» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          di conseguenza, «si deve ritenere che l"esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all"oggetto e alle finalità del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          in particolare, a quest"ultimo riguardo, «non si può […] escludere che le Camere possano, nell"esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità. Il testo può anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali. Ciò che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall"art. 77, secondo comma, Cost., è l"alterazione dell"omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica» (in caso contrario, si porrebbero i problemi dell"insussistenza dei requisiti di urgenza e straordinarietà) (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22);

•          «in definitiva, l"innesto nell"iter di conversione dell"ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d"urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, la violazione dell"art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per l"uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22).

4. La corretta interpretazione dell"incostituzionale norma.

L"interpretazione letterale della norma (rimane fermo l"«obbligo» al risarcimento del danno), insieme alla constatazione dell"assenza, a livello di ratio legis, di qualsivoglia indicazione del legislatore circa la "cancellazione", totale o parziale, dell"art. 1218 c.c. dalla r.c. medica (soppressione anzi smentita dal Ministro Balduzzi), e l"interpretazione sistematica della stessa (il secondo periodo è strettamente connesso e imposto dalla parziale depenalizzazione di cui al primo periodo) impongono di pervenire alla conclusione per cui nulla è sostanzialmente mutato per effetto dell"art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 158/2012, sicché i danneggiati da prestazioni mediche, in seno al processo civile, possono continuare ad avvalersi dell"azione loro garantita, al pari di tutti gli altri creditori, dall"art. 1218 c.c..

Non può seriamente pensarsi che una riforma, tale da precludere a tutta una serie di cittadini l"accesso ad una tutela rimediale recata da una norma generale del Codice Civile (l"art. 1218 c.c.), possa avere avuto luogo senza un"espressa previsione legislativa preceduta da una altrettanto espressa dichiarazione di volontà da parte del legislatore.

In altri termini, non può affermarsi che vi sia stata un"abrogazione, anche solo parziale, dell"art. 1218 c.c. (giacché è ciò di cui si sta in realtà trattando), senza che il legislatore si sia espresso al riguardo, a quest"ultimo riguardo dovendosi pure ricordare il principio di cui all"art.15 delle preleggi: «Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti».

E" pure da sottolinearsi a caratteri cubitali quanto segue: a prescindere da ogni altra considerazione la tesi dell"esclusione, totale o parziale, dell"art. 1218 c.c. dalla r.c. medica è giuridicamente insostenibile, innanzitutto dovendosi considerare i limiti posti dall"art. 77, comma 2, Cost. alla decretazione di urgenza ed alla conversione in legge dei decreti-legge.

In particolare, sia l"esclusione generalizzata dell"azionabilità della tutela risarcitoria ex art. 1218 c.c. – indubbiamente quella più dirompente (in senso negativo) per i danneggiati – e sia la tesi dell"esclusione parziale (cioè operante soltanto nei casi in cui in sede penale abbia trovato applicazione l"esimente penale) sono da considerarsi radicalmente infondate e comunqueinattuabili per i seguenti motivi:

•          in primo luogo, ai sensi dell"art. 77, comma 2, Cost. un decreto-legge non può legittimamente introdurre norme ordinamentali "a regime", cioè tali da disciplinare casi futuri, essendo questi assoggettati all"intervento del legislatore per via ordinaria; inoltre, sempre in base a tale precetto costituzionale, in sede di conversione di un decreto-legge (nel caso di specie già viziato ab origine per il difetto dei requisiti posti per la decretazione d"urgenza)è precluso al legislatore di inserire norme in alcun modo previste dal decreto-legge, sicché la legge di conversione non poteva in alcun modo prevedere, pena l"incostituzionalità della norma di nuovo conio, una macroscopica eccezione quale l"esclusione, in pregiudizio ai pazienti danneggiati, della tutela risarcitoria apprestata dall"art. 1218 c.c.; detto altrimenti, la norma interpretata secondo le strampalate teorie qui contestate, privando, del tutto o in parte, una serie di creditori danneggiati del loro diritto di agire contrattualmente o per "contatto sociale" (diritto che poggia non già su precedenti giurisprudenziali, bensì su un"interpretazione assolutamente corretta ed ineccepibile degli artt. 1173 e 1218 c.c.), introdurrebbe una modifica sostanziale protesa a disciplinare casi futuri, tra l"altro palesemente discriminatoria rispetto a tutti gli altri professionisti (art. 3 Cost.) e, comunque, non ammessa in alcun modo né per via della decretazione d"urgenza né in sede di conversione di un decreto-legge, e quindi, laddove si interpretasse la norma in questo senso, si ricadrebbe inesorabilmente in una disposizione costituzionalmente illegittima ex art. 77, comma 1, Cost.; dunque,dovendosi sempre interpretare in senso costituzionalmente orientato le norme, non può che concludersi nel senso che il legislatore (da presumersi "consapevole" innanzitutto della Costituzione) sicuramente non abbia inteso privare il paziente danneggiato dell"azione risarcitoria ex art. 1218 c.c., senz"altro più tutelante rispetto all"art. 2043 c.c.; in altri termini, giacché l"interprete (in primis il Giudice) deve sempre selezionare tra le opzioni astrattamente ipotizzabili quella che sia tale da non presupporre un legislatore "inconsapevole della Costituzione", cioè deve optare per l"interpretazione più conforme a Costituzione, o assumiamo che la norma in questione è incostituzionale (per orientamento consolidato della Corte costituzionale né il Governo in sede di decreto-legge né il Parlamento in sede di conversione possono introdurre modificazioni sostanziali a norme di portata generale) oppure la interpretiamo nel senso esplicitato brillantemente da Filippo Martini su Guida al Diritto («il semplice richiamo ai parametri risarcitori vincolati sotto egida dall"articolo 2043 del codice civile appare mera petizione di principio, posto che pacificamente la non imputabilità nel procedimento penale non vale ad escludere l"obbligo del risarcimento del danno conseguente all"errore professionale»); peraltro, poco importa che questa interpretazione conduca a ravvisare nella norma una svista: in base alla lettura costituzionalmente orientata della stessa s"impone indubbiamente di accettare un siffatto errore piuttosto che ricostruire una norma, senza neppure l"ausilio di indicazioni a livello di ratio legis, in senso tale da privare i cittadini di un"azione risarcitoria sancita dal Codice civile e ritenuta la via maestra da parte delle Sezioni Unite della Cassazione (lo si ribadisce, attraverso un"accurata esegesi del sistema delle obbligazioni);

•          del resto, un"interpretazione della norma in commento, che comportasse una siffatta privazione, sarebbe in insanabile contrasto con le finalità stesse del decreto-legge e della legge di conversione, che dichiaratamente mirano a realizzare per i cittadini «un più alto livello di tutela della salute» (questo – lo si ribadisce – il titolo del decreto-legge!!!), obiettivo sicuramente primario (in quanto costituente l"oggetto stesso del testo di legge) rispetto a quello secondario e decisamente generico, in termini innanzitutto giuridici, del contrasto alla cosiddetta «medicina difensiva» (tra l"altro lungi dall"essere stata rappresentata correttamente dal legislatore), fermo restando che gli esiti della lotta a tale fenomeno non dipendono in alcun modo dal particolare regime di responsabilità civile impiegato nel contenzioso;

•          le finalità del decreto-legge vanno altresì interpretate alla luce di quanto espressamente puntualizzato dal Ministro Balduzzi in occasione della già ricordata seduta n. 825 del 30 ottobre 2012 avanti l"Assemblea del Senato: «La norma che attualmente è presente nel decreto-legge non stravolge la disciplina della responsabilità, non deresponsabilizza l"esercente la professione sanitaria»;

•          sempre a livello di ratio legis deve osservarsi come durante tutto l"iter di conversione del decreto-legge in alcuna seduta parlamentare (né alla Camera né al Senato) si sia mai prospettato l"intendimento del Parlamento di "rivoluzionare" drasticamente la responsabilità civile del medico al punto di esonerarlo dalla responsabilità contrattuale; anche il Ministro Balduzzi nei suoi vari interventi alla Camera ed al Senato non ha mai fatto minimamente cenno alla prospettiva di una siffatta drastica e macroscopica "rivoluzione" in peiusper la tutela civilistica dei danneggiati da prestazioni mediche; anzi, come si è detto, ha negato lo stravolgimento delle regole attuali della r.c. medica;

•          neppure con riferimento alla norma originaria il Governo, in seno alla relazione illustrativa del disegni di legge recante il decreto-legge per la sua conversione, aveva manifestato la sua intenzione di circoscrivere l"operatività dell"art. 1218 c.c. nel settore in disamina, viceversa avendo optato, al fine di «determinare i casi di esclusione dalla responsabilità per i danni derivanti dall"esercizio della professione sanitaria», per una soluzione tutta centrata sulla colpa e sull"art. 2236 c.c., «stabilendo che il giudice, nell"accertamento della colpa lieve, tiene conto dell"osservanza da parte degli esercenti le professioni sanitarie nello svolgimento della prestazione professionale delle linee guida e delle buone pratiche della comunità scientifica nazionale e internazionale»;

•          ovviamente alcuna rilevanza, ai fini della ricostruzione della ratio legis, può attribuirsi alla "scheda di lettura" divulgata dal Servizio Studi (Ufficio ricerche sulle questioni del lavoro e della salute) del Senato sul disegno di legge A.S. n. 3534 (recante il testo del decreto-legge n. 158/2011 così come modificato in seno alla prima lettura avanti la Camera), ove si commentava il primo comma dell"art. 3 nei seguenti termini: «Nella versione approvata dalla Camera, il comma 1 esclude la responsabilità penale per i casi di colpa lieve, a condizione che, nello svolgimento dell"attività il soggetto si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Il medesimo comma fa salva, invece, la responsabilità civile che viene dalla norma in esame ricondotta nell"ambito della cosi detta responsabilità extracontrattuale. Si prevede, tuttavia, che, nella determinazione della misura del risarcimento del danno, il giudice tenga debitamente conto dell"eventuale conformità dell"operato alle linee guida e buone pratiche summenzionate»; infatti, le "schede di lettura" redatte da tale ufficio non rappresentano e non testimoniano in alcun modo, quali atti meramente interni, la "volontà" del Senato, che peraltro, nel caso di specie, stante il voto di fiducia neppure ebbe il tempo di approfondire la questione, essendosi altresì impedito alla 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) di completare la disamina del disegno di legge; tra l"altro, vi è da dubitare fortemente sia della qualità e sia del grado di competenza di coloro che hanno redatto la "scheda" in questione, rimasti fermi alla giurisprudenza ante 1999 (!); infatti, in detto documento – manifestamente approssimativo – si affermava che «nell"attuale [sic!!!]ordinamento è controverso se la responsabilità dell"esercente una professione sanitaria che operi come lavoratore dipendente o come collaboratore di una struttura sanitaria sia riconducibile a responsabilità contrattuale o invece a quella extracontrattuale»;

•          la ratio legis della norma in commento va semmai rinvenuta, nella trasformazione (operazione anche questa di dubbia costituzionalità) della norma originaria recata dal decreto-legge da disposizione di natura esclusivamente civilistica in norma innanzitutto penale; in questa trasformazione il secondo periodo della norma, resosi necessario stante la predetta trasformazione, costituirebbe un mero raccordo tra il primo periodo ed il terzo, ove il legislatore ha poi mantenuto sul fronte della responsabilità civile una precisazione non dissimile da quella originariamente prevista, cioè intesa a specificare che il giudice, nella valutazione della condotta del medico, deve per l"appunto tenere conto del rispetto da parte di questo delle linee guida; insomma, pur riferendosi al solo art. 2043 c.c. (ed in ciò errando), il legislatore, in linea con il decreto-legge, ha inteso riferirsi ad una questione nettamente diversa rispetto a quella del regime di responsabilità azionabile dal danneggiato;

•          infine (last but not least!) la lettera della norma non indica in alcun modo la soppressione dell"azione ex art. 1218 c.c.; infatti, il secondo periodo – lo si ribadisce – si limita ad affermare che «resta comunque fermo l"obbligo di cui all"articolo 2043 del codice civile», e cioè l"accertamento in sede penale dei presupposti operativi della nuova esimente (come ovvio accertamento che deve rinvenirsi in una sentenza passata in giudicato) non inficia l"applicazione l"obbligo al risarcimento dei danni; l"art. 1218 non è in alcun modo menzionato dalla norma e quindi deve assumersi che anche su questo versante tutto rimane immutato (come per l"art. 2043 c.c.); peraltro, come già si ricordava innanzi l"art. 15 delle preleggi stabilisce che «Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti»; orbene, trattandosi qui dell"eventualità dell"abrogazione (totale o parziale) dell"art. 1218 c.c., è del tutto evidente come questa non sia ravvisabile, difettando l"espressa dichiarazione del legislatore e, per certo, non essendo le nuove disposizioni (centrate invero sulla novella esimente penale) incompatibili con l"azionabilità delle pretese risarcitorie ai sensi del regime generale della responsabilità da inadempimento.

Dunque sia chiaro che chi insiste nel sostenere le tesi limitatrici dell"operatività dell"art. 1218 c.c. nel contenzioso da attività medico-sanitarie:

•          incorrere in un"interpretazione contraria alla lettera della norma, facendo dire a questa ben di più di quanto si tragga e si possa legittimamente desumere dal suo testo (tenuto conto anche di quanto statuito dall"art. 15 preleggi);

•          afferma una regola contraria alla ratio legis, atteso che il legislatore nulla ha espresso circa una sua volontà soppressiva dell"art. 1218 c.c. in seno alla r.c. medica, per certo non potendosi sostenere che il legislatore, senza nulla riferire nel testo della norma e senza alcunché affermare in sede di conversione del decreto-legge, implicitamente abbia riformato in peius, tra l"altro stravolgendola, la tutela rimediale di diritti fondamentali, quali vita e salute; anzi, sostiene una regola diametralmente opposta a quanto dichiarato dal Ministro Balduzzi, l"ideatore e promotore della norma in commento;

•          sponsorizza un"interpretazione palesemente in contrasto con l"art. 77, comma 2, Cost. (e pure altri principi costituzionali).

5. Gli sterili attacchi alla responsabilità contrattuale e da contatto sociale (rectius, da obbligazione ex lege).

Gli interpreti "reazionari", che già non lesinavano critiche alla "contrattualizzazione" della r.c. medica, hanno indubbiamente rinvenuto nell"art. 3, comma 1, del decreto-legge "Balduzzi" (così come convertito in legge) - e nella prospettiva di questo estemporaneo provvedimento, qui radicalmente contestata, di incidere sulla azionabilità dell"art. 1218 c.c. da parte dei danneggiati - una nuova e ghiotta occasione per mettere in discussione il ricorso alla responsabilità contrattuale ed alla responsabilità da "contatto sociale" con riferimento ai danni da attività medico-sanitarie.

Per questi interpreti, per effetto dell"applicazione dell"art. 1218 c.c., la giurisprudenza (innanzitutto quella della Suprema corte) avrebbe sviluppato, attraverso gli artt. 1218 e 1228 c.c., delle regole (in primis proprio sul fronte della causalità civile) della responsabilità medico-sanitaria estremamente penalizzanti, se non addirittura vessatorie, per medici e aziende ospedaliero-sanitarie (e, quindi, per le compagnie assicuratrici e gli altri soggetti che coprono i rischi in questo settore).

In particolare, la responsabilità sanitaria sarebbe stata ampliata a dismisura, eccessivamente; si sarebbero così imposti a medici e strutture fardelli probatori smisurati, nonché principi estremi (imputazione a questi convenuti delle lacune probatorie discendenti da omissioni nella redazione delle cartelle cliniche; criterio del "più probabile che non"; doctrine della "causalità da perdita di chance", ecc.), tali comunque da realizzare un"asimmetria processuale particolarmente sbilanciata a favore dei pazienti e da condurre quella del medico e delle strutture sanitarie ad una responsabilità praticamente oggettiva.

Si è altresì aggiunto - in critica all"attuale modello giurisprudenziale e per sostenere l"interpretazione dell"art. 3, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge "Balduzzi" (così come convertito in legge) nel senso di una "restaurazione" della responsabilità aquiliana in questo settore - che, essendo il fenomeno della responsabilità sanitaria ormai dilagante e riversandosi negativamente sull"economia nazionale (i costi sanitari sono enormi e i premi assicurativi inavvicinabili), andrebbe rivisto l"intero sistema, comunque dovendosi principiare in questa direzione riformatrice con il concludere per l"intenzione del legislatore, che ha dato vita al decreto-legge n. 158/2012, di restringere i limiti non solo della responsabilità penale, ma anche di quella civile (conseguentemente con il ritorno all"art. 2043 c.c.).

Taluni interpreti hanno espresso il timore che la perdita di equilibrio tra i soggetti processuali contrapposti nel contenzioso sanitario e le conseguenze del regime di cui all"art. 1218 c.c. sul piano del costo sociale del settore, possano peraltro indurre il legislatore a procedere  verso l"elaborazione di una futura normativa a forte componente pubblicistica ed indennitaria.

In breve, come è ormai da tempo evidentissimo con riferimento alla r.c.a., ora anche il modello della r.c. medico-sanitaria ex art. 1218 c.c. è sotto attacco, tra l"altro non solo sul versante delle liquidazioni, ma, per l"appunto, anche ed in primo luogo sugli schemi stessi per l"accertamento delle responsabilità. Non già che la r.c. medico-sanitaria non fosse presa di mira da parte dei "tort reformers" nostrani, ma senz"altro il decreto-legge "Balduzzi" è stato colto da una serie di interpreti quale l"occasione e lo strumento per sferrare un ulteriore attacco al modello messo a punto dalla Cassazione nell"ultimo decennio.

Orbene, questo attacco andrebbe avversato con decisione da parte della magistratura e della dottrina "responsabile".

In primo luogo non corrisponde affatto al vero che i pazienti danneggiati godano di un trattamento privilegiato loro accordato, del tutto arbitrariamente, da una giurisprudenza "compassionevole" che avrebbe operato delle policy azzardate per ragioni sostanzialmente ispirate alla solidarietà umana: infatti, deve (dovrebbe!) essere ben chiaro che questi danneggiati, al pari di ogni altro creditore, semplicemente accedono ad un particolare regime di responsabilità civile (quello di cui agli artt. 1218 e 1228 c.c.) riconosciuto loro dal Codice civile; la giurisprudenza di legittimità (a partire soprattutto dal 1999) è semplicemente addivenuta a dare piena attuazione a delle norme codicistiche già inconfutabili, sul piano letterale e sistematico, sul punto (artt. 1173 e 1218 c.c.). Insomma sono l"impianto sistematico del Libro IV sulle obbligazioni e le espressioni impiegate dall"art. 1218 c.c. («debitore», «inadempimento», «prestazione») che impongono il riconoscimento, in favore dei danneggiati da prestazioni sanitarie, dell"azione contrattuale così come di quella da "contatto sociale", non già una sorta di favor "extra-giuridico" o di mera "politica del diritto" cui si sarebbe aperta la giurisprudenza di legittimità.

In altri termini, l"asimmetria processuale rilevata da vari interpreti, critici del modello realizzato dalla Cassazione, non costituisce affatto un"anomalia del "diritto vivente" (contrapposto al diritto positivo) e non è in alcun modo il frutto di un "regime speciale" creato ad hoc dai giudici per (e contro) medici e strutture sanitarie, bensì è la mera ed inevitabile conseguenza dell"applicazione di uno schema generale di responsabilità previsto dal Codice civile, dunque una regola del tutto "normale" ed imposta dal diritto positivo, non già una serie di criteri del tutto straordinari e di fatto arbitrari. L"attuale assetto della r.c. medico-sanitaria, in breve, non è il risultato di una particolare ed abusiva fantasia creatrice della giurisprudenza o di un "diritto vivente" disancorato dalle norme di cui al Codice civile: negli ultimi venti anniCassazione e giudici di merito hanno semplicemente ricondotto la responsabilità civile di medici ed aziende sanitarie entro le regole apprestate dal Codice civile per l"inadempimento delle obbligazioni contrattuali e da "contatto sociale". E" quindi un falso "mito" che medici e strutture siano assoggettati ad un regime creato ad hoc per loro (quasi con finalità punitive e in senso discriminatorio).

Ed è pure un falso "mito", una rappresentazione del tutto infedele, che la r.c. da "contatto sociale" sia stata inventata di sana pianta dalla magistratura al di fuori di qualsivoglia ancora normativa: il suo fondamento risiede nel diritto positivo e, più nello specifico, nel sistema che ruota intorno agli art. 1173, 1218 e 2043 c.c..

Quanto alla responsabilità da "contatto sociale" ed alla responsabilità da obbligazioneex lege, infatti, può ricordarsi per sommi capi come le estensioni della responsabilità ex art. 1218 c.c. fuori dai rapporti contrattuali si siano venute ad affermare essenzialmente sulle seguenti basi, senz"altro in piena sintonia con il dato normativo (nello specifico, per l"appunto, gli artt. 1173 e 1218 c. c.):

1.         per "fonte dell"obbligazione" si intende in diritto, in estrema sintesi, un qualsiasi evento, naturalisticamente inteso, tale da dare luogo ad una relazione, giuridicamente rilevante per i diritti e doveri che ne discendono, di una parte con un"altra parte, perlomeno una delle quali gravata nei confronti dell"altra di un dovere di prestazione economicamente valutabile e corrispondente ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore (art. 1174 c.c.) [cfr. amplius P. Rescigno, Obbligazioni (nozioni), in Enc. Dir., XXIX, Milano, 1979, 133 e ss.; cfr. U. Petronio, Art. 1173 - Fonti delle obbligazioni, in Delle Obbligazioni, a cura di V. Cuffaro, in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Milano, 2012, 5 e ss.; deve peraltro notarsi come il legislatore del 1942 rinunciò a fornire una definizione del concetto di obbligazione, preferendo invece, ai fini della sua configurazione pratica, di delimitarne l"oggetto attraverso la definizione di "prestazione" di cui al successivo art. 1174 c.c. (cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile, n. 557, in Gazz. Uff., 4 aprile 1942];

2.         come statuito dall"art. 1173 c.c. tale evento, produttivo di un rapporto obbligatorio siffatto, può alternativamente consistere: a) nella volontà delle parti di dare luogo alla suddetta relazione (questo il caso del contratto); b) nella commissione di un"azione o di un"omissione produttiva di un danno ingiusto (il caso del "fatto illecito"); c) in «ogni altro atto o fatto idoneo» alla produzione di una relazione comunque rilevante sul piano giuridico-obbligatorio (un "contatto sociale", un obbligo ex lege);

3.         nel caso del "fatto illecito" - questa è del resto la sua peculiarità nel sistema delle fonti delle obbligazioni - non occorre che tra le parti sia intercorso un particolare rapporto antecedente l"evento dannoso (a precedere l"evento, in termini di doveri, è unicamente il vincolo consistente nel precetto del "neminem laedere", cioè il dovere, quello più generale tra tutti, di rispettare le posizioni altrui tutelate dall"ordinamento);

4.         situazione completamente diversa dalla fattispecie del "fatto illecito" è, invece, quella in cui l"evento dannoso s"inserisca nell"ambito di un vero e proprio preesistente rapporto giuridico, relazione che, stante la previsione della terza categoria di obbligazioni di cui all"art. 1173 c.c. («… ogni altro atto o fatto idoneo a produrle»), non necessariamente deve risultare di origine contrattuale, bensì può pure sussistere anche solo in ragione di doveri gravanti ex lege sul soggetto agente;

5.         è allora chiaro, sempre alla luce dell"art. 1173 c.c., che la "fonte" dell"obbligazione risarcitoria (cioè dell"obbligo di un soggetto a risarcire un"altra persona) può essere alternativamente: a) un rapporto obbligatorio contrattuale (nel qual caso si parla correttamente di "responsabilità contrattuale"); b) un "fatto illecito"; c) un vincolo sorgente (cioè imposto) dalla legge ("obbligazione legale"); d) un qualsiasi altro atto o fatto idoneo, in conformità con l"ordinamento, a produrre tale obbligo (in questa categoria si collocano notoriamente le obbligazioni ex lege);

6.         pertanto, la matrice dell"obbligazione risarcitoria (cioè l"elemento qualificante la sua natura e quindi la sua riconducibilità ad un determinato regime responsabilità) dipende dal tipo di rapporto intercorso tra le parti e dall"esistenza o meno di doveri specifici (cioè diversi dal precetto del "neminem laedere") precedenti il verificarsi dell"evento e già tali da configurare in capo ad una parte nei confronti di un"altra un dovere di prestazione già suscettibile di valutazione economica e tale da corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore (art. 1174 c.c.);

7.         è, dunque, di tutta evidenza come la fonte dell"obbligazione risarcitoria (cioè dell"obbligo di un soggetto a risarcire un"altra persona) possa consistere alternativamente: a) in un fatto illecito (responsabilità extracontrattuale); b) in un rapporto obbligatorio contrattuale (nel qual caso si parla di responsabilità contrattuale); c) in qualsiasi altro atto o fatto idoneo, in conformità con l"ordinamento, a produrre tale obbligo, quale sicuramente un vincolo sorgente (cioè imposto) dalla legge (responsabilità da inadempimento di obbligazione ex lege; responsabilità da "contatto sociale");

8.         orbene, i rapporti, che non ricadono nella categoria dei meri "fatti illeciti", sono assoggettati (pur potendo ad essi associarsi un danno ingiusto) alla medesima clausola generale di responsabilità, quella di cui all"art. 1218 c.c.; infatti, va considerato come il Libro IV del Codice civile distingua nettamente, a livello sistematico, fra due macro-categorie della responsabilità civile: da un lato, quella fondata sulla fattispecie del "fatto illecito" (artt. 2043 e ss. c.c.); dall"altro lato, la responsabilità civile di cui all"art. 1218 c.c., che per l"appunto, come lucidamente illustrato dalle Sezioni Unite della Suprema corte (Cass. civ., SS.UU., 26 giugno 2007, n. 14712), non concerne soltanto la responsabilità cosiddetta "contrattuale", ma, come si trae altresì dal titolo stesso di tale articolo, si riferisce anche a tutte le altre ipotesi di "inadempimento" (dunque, con la sola esclusione dei casi di "fatto illecito"), ivi comprese quelle sorgenti direttamente dalla legge (le cosiddette "obbligazioni ex lege") e quelle fondate sui cosiddetti obblighi di protezione e/o di sicurezza (le cosiddette "obligations de sécurité").

Da queste considerazioni, sviluppate in primis dalla Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. III, 21 luglio 2011, n. 15992), si ricava come l"art. 1218 c.c. possa trovare applicazione anche nei casi in cui, pur in assenza di un contratto tra le parti in causa (dunque, per esempio, anche tra medico dipendente di una struttura sanitaria e paziente), siano ravvisabili, prima del verificarsi dell"evento dannoso, in capo ad una parte degli obblighi (ad esempio, di protezione o, comunque, di sicurezza) nei confronti di un"altra parte.

In definitiva, mentre la responsabilità da fatto illecito è disciplinata dagli artt. 2043 e ss. c.c., viceversa le altre forme di responsabilità (da inadempimento contrattuale, da "contatto sociale", da obbligazione ex lege) trovano, in base al dato normativo, la loro disciplina generale nell"art. 1218 c.c., norma che per l"appunto non si riferisce esclusivamente alla responsabilità contrattuale, la quale costituisce soltanto una delle fattispecie assoggettate a questo articolo.

Cfr. ex plurimis: Cass. Civ., Sez. III, 27 marzo 2015 n. 6243; Cass. civ., Sez. III, 21 luglio 2011, n. 15992; Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2011, n. 10813; Cass. civ., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9147; Cass. civ., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712; Cass. civ., Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589.

Peraltro, risulta alquanto risibile chi sostiene l"assenza di un obbligazione ex lege in capo ad un medico pubblico: è manifesto che questo sia legato a precisi dovere istituzionali preesistenti verso i pazienti.

Il medico, che incontriamo in ospedale, non è un quisque de populo alla stregua di un passante che ci può urtare per strada.

Peraltro, anche a voler obliterare ciò, nella stragrande maggioranza dei casi il paziente acconsente a farsi operare dai medici e si affida a questi: qui siamo dinanzi ad un vero e proprio rapporto contrattuale, senza neppure la necessità di scomodare la responsabilità da obbligazione ex lege o istituzionale o da contatto sociale!!!

Ciò chiarito, il modello della distribuzione degli oneri probatori affermato dalla Cassazione corrisponde ad una corretta applicazione dell"art. 1218 c.c.: esso è invero imposto dalla lettera di questa norma, laddove pone in capo ai convenuti la dimostrazione dell"esatto adempimento o della causa non imputabile.

Peraltro, tale modello non appartiene soltanto al nostro ordinamento giuridico, ma risale alla notte dei tempi ed è rinvenibile anche in sistemi giuridici lontani dal nostro.

Già nel 1774 Lord Mansfield, in Blatch v. Archer, dava come assodata la regola per cui l"onere probatorio non necessariamente dovesse gravare solo sull"attore, ma anzi vi fosse una sostanziale compartecipazione delle parti alla prova, con la corte investita del compito finale di raffrontare gli elementi di prova acquisiti nel procedimento con le rispettive possibilità probatorie in concreto ravvisabili in capo ad attore e convenuto: «It is certainly a maxim that all evidence is to be weighed according to the proof which it was in the power of one side to have produced, and in the power of the other to have contradicted».

Questa impostazione, lucidamente stigmatizzata da Lord Mansfield, è poi venuta a caratterizzare nei Paesi di common law sia il campo della responsabilità medica che quello degli infortuni e delle malattie professionali, così dando luogo al principio per cui l"attore, il quale offra una prova positiva piuttosto limitata del nesso di causa, può tuttavia avere successo nell"azione risarcitoria in considerazione della conoscenza dei fatti che la parte convenuta possiede e della possibilità di quest"ultima di provare il contrario. Al riguardo, rimane ancora celebre il principio stabilito da Lord Wilbeforce in McGhee v. National Coal Board(1972): «it is a sound principle that where a person has, by beach of a duty of care, created a risk, and injury occurs within the area of that risk, the loss should be borne by him unless he shows that it had some other cause». Lord Wilberforce affermava in tutta evidenza la regola per cui si ha l"inversione dell"onere della prova del nesso di causa ogniqualvolta il soggetto imputato del danno sia nel dovere di controllare un determinato rischio e le lesioni occorse alla vittima si collochino nell"area di siffatto rischio. La scelta di Lord Wilberforce era molto chiara: «as a matter of policy or justice» è su chi origina un rischio, e cioè sul soggetto che è tenuto a prevedere e prevenire l"evento dannoso, che si devono fare ricadere le conseguenze del rischio prodotto, a meno che il soggetto imputato non dimostri la sua estraneità alla causazione del danno. La regola operativa oggi applicata dalle corti di common law rimane ancora ancorata all"idea per cui il peso della prova del nesso di causa non possa venire addossato unicamente in capo alla vittima. La Supreme Court of Canada, ad esempio, ha affermato che nei casi di medical malpractice, poiché la maggior parte delle circostanze rientrano nella disponibilità conoscitiva dei convenuti («the knowledge of the defendant»), «very little affirmative evidence on the part of the plaintiff will justify the drawing of an interference of causation in the absence of evidence to the contrary»: «the defendant runs the risk of an adverse inference in the absence of evidence to the contrary» [Snell v. Farrel (1990) 72 DLR (4th) 289]. Le ragioni di questa impostazione sono quelle già espresse a suo tempo da Lord Wilberforce, e cioè le attuali regole rimangono fedeli alla teoria del rischio oggettivamente prevenibile anche sul piano dell"accertamento del rapporto causale.

Si noti peraltro che, mentre in common law, non si rinviene un regime di responsabilità analogo a quello di cui all"art. 1218 c.c., da noi è lo stesso diritto positivo ad imporre tale distribuzione degli oneri probatori.

E poi vero che per i danneggiati la r.c. ex art. 1218 c.c. dischiuda una sorta di "autostrada" dei risarcimenti?

La pratica dimostra inequivocabilmente come l"applicazione di questo regime (e di istituti quali, per esempio, la "causalità da perdita di chance") non si risolva affatto in vere e proprie "autostrade" per i danneggiati.

Al di là delle regole declamate gli esiti delle cause dipendono ancora ampiamente (e pure eccessivamente) dai CC.TT.UU. (tra l"altro non di rado lungi dall"essere neutrali), sicché è ben difficile e raro che vi siano condanne fondate esclusivamente sull"applicazione di criteri presuntivi. E" invero soltanto una leggenda, tipica della retorica degli interpreti "reazionari", che la r.c. medica si sia trasformata in una forma di responsabilità oggettiva. Del resto, non è affatto vero che l"art. 1218 c.c. costituisca una forma di responsabilità oggettiva: sanitari e strutture possono liberarsi da ogni imputazione provando l"esatto adempimento oppure la causa non imputabile, al pari di ogni altri debitore (datori di lavoro, avvocati, geometri, tour operator, vettori, conducenti di automobili fuori dai casi di scontro, ristoratori, ecc.).

Il falso mito della r.c. medico-sanitaria quale "responsabilità oggettiva" fa parte di una ben precisa strategia protesa a trasformarla in un sistema (questo sì) speciale, tale da alleggerire i carichi probatori gravanti su medici e strutture sanitarie rispetto ad ogni altro debitore.

Se poi le controversie in materia di responsabilità medica sono "dilaganti", davvero, sul serio, lo vogliamo proprio imputare al fatto che l"azione è ex art. 1218 c.c. e che vi sarebbe una super-tutela dei danneggiati?

A questo proposito si è già osservato innanzi (§1), come le reali cause dell"elevato contenzioso nel settore smentiscano radicalmente la tesi per cui la litigation sia da imputarsi in via prevalente, se non addirittura esclusiva, all'applicazione di un determinato regime di responsabilità od al "mito" dei cittadini "aggressivi" nei confronti della classe medica.

Quanto poi allo spettro della "medicina difensiva" si è già riferito come esso, laddove richiamato per operare riforme della responsabilità medica, costituisca un mero pretesto, a sua volta retto su falsi "miti".

Se si intendesse sul serio prevenire i contenziosi in materia (anche a tutto beneficio della classe medica e dello stesso Stato), andrebbero semplicemente aumentati gli investimenti nel settore medico-sanitario, mirando ad una prevenzione, effettiva ed economicamente supportata, dei rischi così come poi delle controversie (ciò attraverso un"adeguata gestione stragiudiziale delle richieste risarcitorie).

Con tutto ciò non si intende ovviamente negare che i medici, posti in serie difficoltà da una "politica" votata al risparmio sulla sanità (e pure a fenomeni di "cattiva" amministrazione del bene pubblico), si trovino esposti ad un serio problema – quello del contezioso – che andrebbe diversamente gestito. Si è invero qui convinti che nella maggior parte dei casi i medici andrebbero sollevati dal peso del contenzioso tramite una diversa gestione di questo.

In particolare, il ricorso alla magistratura penale potrebbe essere scongiurato istituendo delle commissioni tecniche, alle quali siano demandate le indagini del caso e che al termine di queste, in totale trasparenza, illustrino alle parti offese le loro conclusioni, soltanto a questo punto divenendo possibile rivolgersi al giudice penale.

Inoltre, il contenzioso - innanzitutto quello civilistico - potrebbe essere ampiamente arginato a tutto beneficio dei medici e degli stessi danneggiati, se solo si provvedesse a riformare seriamente gli aspetti assicurativi del rischio sanitario, andandosi a garantire in concreto i medici in relazione a questo specifico versante. In qualsiasi Paese "normale" è da lustri che sono stati apprestati veri e propri sistemi di gestione assicurativa dei contenziosi sanitari. A questo proposito sovviene soprattutto l"esempio nel Regno Unito in cui al ricorso al sistema assicurativo privato si è preferita l"istituzione di un articolato modello gestionale pubblico, attribuito nel 1995 alla National Health Service Litigation Authority, ente che amministra un fondo nazionale con l"obiettivo di supportare gli organi del National Health Service rispetto ai costi derivanti dalla responsabilità medico-sanitaria (senza peraltro che sia risultato necessario passare a sistemi no-fault).

In Italia, invece, ci troviamo non solo dinanzi all"assenza di un sistema razionale e strutturato di assicurazione dei medici, ma non si rispettano, di fatto, neppure i principi recati nei contratti collettivi nazionali in materia di copertura assicurativa dei professionisti sanitari.

E" ovvio che in questo contesto i medici si trovino esposti direttamente alle vicende del contenzioso, ma riformare il sistema della responsabilità medico-sanitaria attraversorevirement giurisprudenziali oppure provvedimenti (peraltro sciatti ed incostituzionali) quali il decreto "Balduzzi" non costituisce la soluzione corretta: per questa via si scaricano unicamente sui cittadini tutte le pecche ed inefficienze dello Stato e delle regioni. I "costi" della responsabilità medica - lo si ribadisce - sono in larga misura scongiurabili tramiti investimenti adeguati e razionali sul sistema sanitario, esattamente come la crisi del "sistema giustizia" può risolversi soltanto attraverso l"impegno finanziario dello Stato, che invece pensa solo a disincentivare i cittadini dall"intraprendere azioni a loro tutela, al contempo tagliando fondi per magistrati e cancellerie, di fatto sospingendo il magistrato in una posizione conflittuale con il cittadino.

6. Appello ai magistrati.

Forse sarebbe opportuna maggiore cautela da parte della magistratura, soprattutto quella del merito, nel reagire a riforme incostituzionali scritte male interpretandole nel senso che sarebbero tali da sovvertire principi consolidati in Cassazione.

Sono intervenuto con riferimento ad un "dialogo" fra giuristi.

Purtroppo, questo dialogo è in effetti divenuto arduo, perché esponenti della dottrina non lesinano false rappresentazioni, mistificazioni e omissioni. Parte della magistratura è sviata da tali "giuristi".

Prima di innalzare sugli altari tesi sostenute da noti accademici e commentatori forse i magistrati farebbero bene a verificare da che parte stanno questi: magari assistono compagnie assicuratrici, aziende sanitarie, case farmaceutiche, ecc.

Si dirà che anch"io sto da una parte: quella dei danneggiati. A parte il fatto che ciò non corrisponde al vero (annovero tra i miei clienti anche un"assicurazione che si occupa di rc sanitaria, oltre imprese e professionisti), rimane il fatto che mi sforzo di giustificare le mie tesi alla luce dei precetti costituzionali, dei criteri ermeneutici dettati dalle preleggi, di un"attenta verifica dei lavori preparatori delle leggi, di uno scrutinio maniacale delle fonti citate, ecc.

Soprattutto, sono un libero pensatore che tenta di non farsi ingannare dalle false rappresentazioni ed avversa un diritto asservito all"economia.

 




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