-  Todeschini Nicola  -  27/07/2014

MALASANITÀ, ALLARME: LE COMPAGNIE FALLISCONO! ANZI NO, SPRECANO DENARI, ECCO LA PROVA. - Nicola TODESCHINI

E' incessante il grido d'allarme che strutture ospedaliere e medici, da un parte, e compagnie di assicurazione, dall'altra, levano al cielo additando a responsabili magistrati, incertezza delle regole, avvocati rampanti, istinti locupletori. Invocano, quasi fossero uniti in una battaglia di principio, maggior certezza, significativa riduzione degli esborsi, regole nuove, moltiplicazione dei pani e dei pesci, la riduzione coatta della nascita di futuri giuristi poco disposti a mistificare il principio del risarcimento integrale.

Da ultima la tendenza al fai da te, motivato dal costo ingravescente delle polizze (notizia adnKronos).

Al di là della facile ironia un primo dato preoccupa: veder uniti in un sol gruppo tre protagonisti che in realtà dovrebbero guardarsi le spalle a vicenda. A fare da collante, malizioso, dell'insolita truppa, le compagnie di assicurazione, che tengono in scacco gli allegri compagni di protesta facendo loro credere d'essere uniti, di lamentare una grave ingiustizia che, invero, non c'è o è comunque molto diversa da quella descritta.

Perché, vi chiederete, dovrebbero invece diffidare gli uni degli altri ?

Iniziamo dai sanitari, che delegano ad altri, spesso assai interessati, la loro conoscenza delle regole che rifiutano, in particolar modo se appartenenti al diritto, come se la loro fosse arte sciolta da qualsiasi controllo. Rimanendo ignoranti delle regole giuridiche, e spesso addirittura mal informati -volutamente?- dagli esiti di luccicanti consessi all'uopo predisposti, fanno prima di tutto un torto a loro stessi, aumentando il rischio di commettere errori giuridicamente rilevanti e per conseguenza mettono in difficoltà i loro datori di lavoro, pubblici e privati e le relative compagnie di assicurazione. Ma, al contempo, sono vittime predilette proprio delle strutture pubbliche e private -che con il loro colposo difetto d'organizzazione assai spesso li inducono in errore ma poco o nulla fanno per evitarlo- nonché delle compagnie di assicurazione che anziché contribuire ad informarli correttamente sovvenzionano alfieri, per non dire eserciti, che distribuiscono mala informazione, si radunano in consessi dall'apparente equilibrio e prestigio, ma concretamente sprecano ogni giorno preziosissime risorse nei processi, si dimostrano inadatte a gestire un contenzioso invece altamente complesso, si rendono responsabili dello spreco di risorse anche pubbliche.

Se al singolo sanitario si può in parte perdonare la dèfaillance di conoscenza (ma non il rifiuto di colmare la lacuna), imperdonabile è la difettosa gestione del contenzioso nelle strutture sanitarie e nelle compagnie di assicurazione, i cui effetti si riverberano sui sanitari stessi -contro i quali si scagliano i danneggiati ritenendoli -ingiustamente- colpevoli anche della difettosa gestione dei casi lamentati-, sulla collettività, che nel pubblico viene spremuta da costi sempre e colpevolmente più alti dei premi assicurativi reclamati.

Ma quale difettosa gestione del contenzioso se è vero che, come sostengono sigle sindacali di sanitari, associazioni di difesa dei sanitari stessi, compagnie di assicurazione, i medici non verrebbero condannati quasi mai? (si vedano sul punto le statistiche paventate da Amami, per esempio).

Di che cosa parlo? Molto semplicemente della mia esperienza personale, non delle cifre che altri maneggiano senza avere contezza di come i dati siano stati raccolti, da chi, con quale autorevolezza, preparazione, orientamento. Esperienza di centinaia di casi, l'esperienza di un avvocato che si occupa giornalmente di questo vituperato contenzioso. Ma non voglio procedere anche io per proclami e auto investiture ma raccontarvi, da ultimo, l'esito di una vicenda vera che subisce Caterina (nome di fantasia), a conferma del malcostume che ho sin qui descritto. Divenuta incontinente all'esito dell'errore di un chirurgo, riceve, grazie alla sentenza del Tribunale di Conegliano, sezione distaccata di Treviso, un importo significativo di circa 250.000 euro ma viziato da due grossolani errori; l'uno, di calcolo, grazie al quale circa quattromila euro vengono dimenticati nella somma; l'altro, ben più significativo, dovuto alla mancata applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano nonostante il Tribunale di Treviso avesse chiaramente affermato il proprio orientamento positivo.

Vengono utilizzate invece le tabelle del Tribunale di Venezia, peraltro in modo assai discutibile. Caterina fa presente l'errore, tramite il suo avvocato, e propone alla compagnia di assicurazione di emendarlo volontariamente, quanto meno per la parte che riguarda un mero errore di calcolo. Ma la compagnia non risponde positivamente, e dopo aver accusato la povera Caterina, nei suoi scritti difensivi, d'essere addirittura una una che ci prova pur sapendo che i suoi postumi sono attribuibili ad altre cause (un colpo di frusta, sigh), preferisce farsi trascinare anche in appello.

Quando ci costituisce in giudizio, peraltro, non contesta l'errore di calcolo (ma non sa bene perché prima non lo abbia voluto correggere) ma insiste nel considerare locupletorie le maggiori richieste avanzate. La Corte d'Appello di Venezia, alcuni giorni or sono, dando ragione a Caterina in ordine alla quantificazione del danno non patrimoniale, non solo emenda l'errore di calcolo, ma condanna la ULS7 a versare poco più di ulteriori 70.000 euro, oltre alle spese del giudizio.

La Corte d'Appello di Venezia riconosce la necessità di personalizzare il danno, anche per la riconosciuta componente esistenziale connessa all'incontinenza, ed utilizzando le Tabelle del Tribunale di Milano si accorge dell'errore importante commesso dal magistrato in primo grado.

Se solo avesse voluto ascoltare Caterina, la ULS7, o per meglio dire la sua compagnia di assicurazione, avrebbe risparmiato decine di migliaia di euro, anche per spese, interessi, rivalutazione, ma inspiegabilmente non lo ha fatto.

La stessa struttura pubblica, un paio di anni or sono, dopo essere stata condannata dal Tribunale di Conegliano a versare circa 700.000 euro a seguito di un'ordinanza anticipatoria di condanna al risarcimento di altro errore, pacifico ma ciononostante negato sino all'ultimo istante, preferiva non desistere dall'infondata resistenza e farsi condannare, ad una somma anche maggiore, attendendo la sentenza e versando così diverse decine di migliaia di euro di sole tasse di registro, oltre alle spese del processo.

E quando è stata convenuta in appello, dopo aver sostenuto che la redazione del ricorso fosse parto di uno stolto, si è determinata a versare altri 400.000 euro, per un totale che, se trattato in via stragiudiziale, avrebbe determinato per la compagnia di assicurazione un risparmio che non è azzardato indicare in più di 150.000 euro.

Potrei continuare, forse lo farò in un libro che raccoglierà la mia esperienza di "malassicurazione", ma ora mi fermo qui e chiedo, a chi non voglia essere vittima della disinformazione alimentata dal potere delle compagnie di assicurazione che varrebbe la pena chiedere loro perché questi denari, sprecati nei giudizi, siano per loro invece -evidentemente- ben spesi; come mai chi ne origina la spesa, agevolando difese peregrine e partigiane, sino al ridicolo, continui ad operare nello stesso modo, perché mai le strutture sanitarie pubbliche, che pagano salati questi errori, nulla facciano per fronteggiare il costante spreco di denaro pubblico che ne deriva.

La risposta, probabilmente, non sarebbe soddisfacente, perché nessun imprenditore può permettersi d'impiegare denaro inutilmente, di sperperarlo, e quindi bisogna forse concludere che sia in realtà investito in una promozione dell'immagine, volutamente alterata, delle compagnie di assicurazione come stritolate da ingravescenti risarcimenti inventati da giuristi in vena di dispensare doni insperati, perché conviene forse spendere di più per raccogliere maggiori premi e soprattutto spingere un legislatore sempre più partigiano e disattento a concedere ulteriori regali che significano, quelli si, risparmi incredibilmente importanti.

Così è successo nel 2002, di recente con il codice delle assicurazioni, ed in futuro vorrebbero accadesse ancora con le nuove tabelle sulle macro invalidità (spinte da forze assai vicine alle compagnie di assicurazione) che si vorrebbero dimezzate nella loro valutazione economica.

Allora sì sarebbe completata la parabola della svendita del diritto del risarcimento del danno, ma parlarne, si sa, costa fatica, reazioni scomposte dalle melliflue -anche istituzionali- forme, effetti, insomma, raramente remunerativi.




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