-  Tenuta Marco  -  25/08/2015

SOSTEGNO SCOLASTICO E ASSISTENZA AD PERSONAM AL TRIBUNALE ORDINARIO – Tar Lazio n. 4705/2015 - Marco TENUTA

Il caso in questione nasce da un ricorso al T.A.R. Lazio da parte di un genitore di un minore con grave disabilità ex lege n. 104/1992, art. 3 c. 3, [1] in merito a un"assegnazione di ore di assistente educatore culturale (AEC) inferiore rispetto a quanto previsto nel Piano educativo individualizzato (PEI). Il ricorso è stato respinto per difetto di giurisdizione, in quanto il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto che la competenza fosse da attribuire al Giudice Ordinario.

Ciò che è interessante è l"excursus normativo e giurisprudenziale richiamato nella sentenza a sostegno della motivazione e l"analogia in merito alle modalità di assegnazione delle ore di AEC e di quelle di sostegno in relazione a quanto stabilito nel PEI, qualificandoli di fatto, come già evidenziato da giurisprudenza precedente, come dei diritti soggettivi. In particolare il T.A.R. cita la recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 25011/2014, che ha rivisto il proprio precedente indirizzo, stabilendo che la giurisdizione sulla materia de qua spetta al Giudice Ordinario partendo dal presupposto per cui "il diritto all"istruzione è parte integrante del riconoscimento e della garanzia dei diritti dei disabili, per il conseguimento di quella pari dignità sociale che consente il pieno sviluppo e l"inclusione della persona umana con disabilità".

Il diritto all'istruzione delle persone con disabilità è oggetto di specifica tutela sia da parte dell'Ordinamento internazionale che di quello europeo e italiano, infatti la Suprema Corte ricorda che "a livello internazionale viene in rilievo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 3 marzo 2009, n. 18." [2]

L'art. 24 della Convenzione pone a carico degli Stati il compito di dar vita a un sistema educativo che preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli e offra, nel corso dell'intera vita, possibilità di istruzione finalizzate: al pieno sviluppo del potenziale umano, del senso di dignità e dell'autostima e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della diversità umana; allo sviluppo, da parte delle persone con disabilità, della propria personalità, dei talenti e della creatività, come pure delle proprie abilità fisiche e mentali, fino al loro massimo potenziale; a mettere in grado le persone con disabilità di partecipare effettivamente a una società libera.

"La stessa disposizione (al par. 2, lett. c) prevede che l'intervento dello Stato e delle strutture pubbliche deve mirare alla modificazione del contesto mediante l'abbattimento delle barriere in esso presenti che impediscono l'integrazione del disabile e la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, vale a dire di misure pensate per andare incontro alle esigenze individuali del disabile."

A livello europeo, nel quadro dei valori di rispetto della dignità umana e dell'uguaglianza proclamati nell'art. 2 del Trattato sull'Unione Europea, gli artt. 9 e 10 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione definiscono due criteri-obiettivo nella determinazione delle politiche ed azioni dell'Unione: la promozione di un elevato livello di istruzione e la lotta contro ogni tipo di discriminazione, compresa quella fondata sulla disabilità. Il contrasto alle discriminazioni fondate, tra l'altro, sulla disabilità costituisce oggetto della previsione contenuta nel successivo art. 19 del TFUE.

Inoltre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea prevede che "Ogni persona ha diritto all'istruzione (art. 14)", che "tutte le persone sono uguali davanti alla legge (art. 20)", che "è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, ... sulla disabilità (art. 21)", e che "l'Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità (art. 26)."

Sempre la Suprema Corte ricorda che "In attuazione dell"art. 3 Cost. e art. 38 Cost., comma 3, - che costituiscono attuazione dei principi fondamentali, di cui agli artt. 2 e 3 Cost., di pari dignità sociale e di eguaglianza sostanziale, con la solidarietà che funge da motore affinché le differenze di cui ciascuno è portatore non si trasformino in fattori di inferiorità e di esclusione – la L. 5 febbraio 1992, n. 104, all'art. 12, attribuisce al disabile il diritto soggettivo all'educazione ed all'istruzione nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie."

Dunque a livello nazionale il diritto all"istruzione è riconosciuto attraverso la legge n. 104/1992 che all"art. 12 garantisce il diritto all"educazione e all"istruzione e all"art. 13 l"integrazione scolastica; in particolare l"art. 13 comma 3 della legge n. 104/92 recita: "Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati."

L"inclusione degli alunni con disabilità è un valore socio-culturale del sistema scolastico italiano, in quanto l"istruzione rappresenta un elemento fondamentale dello sviluppo e dell"evoluzione della persona.

L"insegnante di sostegno ha un ruolo centrale nel garantire l"efficacia di tale processo, ma in ciò è affiancato da altri soggetti, tra cui l"assistente educatore culturale (AEC). In tal senso è necessario che vengano rispettati tutti i processi normativi e professionali formali e sostanziali affinché i diritti costituzionali degli studenti con disabilità siano garantiti.

La legge n. 104/92, art. 12 comma 3, stabilisce infatti che: "L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione", e che tale finalità si persegue attraverso la "(…) formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola".

Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) non è un progetto didattico di competenza esclusivamente scolastica, bensì esso è la sintesi dei "(…) progetti didattico-educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché le forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche, di cui alla lettera a), comma 1, dell"art. 13 della legge n. 104 del 1992." [3]

Il PEI esplicita ed evidenzia gli interventi rivolti alla piena realizzazione del diritto all"educazione, all"istruzione ed integrazione scolastica dell"alunno a cui devono concorrere tutti i componenti del gruppo di lavoro che si occupa di ciascuna situazione e le diverse Istituzioni presenti "(…) in base alla propria esperienza pedagogica, medico-scientifica e di contatto e sulla base dei dati derivanti dalla diagnosi funzionale e dal profilo dinamico funzionale (…)" [3]. Tali interventi propositivi sono integrati tra di loro, in modo "(…) da giungere alla redazione conclusiva di un piano educativo che sia correlato alle disabilità dell"alunno stesso, alle sue conseguenti difficoltà e alle potenzialità dell"alunno comunque disponibili." [3]

La finalità della normativa, infatti, è quella di favorire un modello basato sulla corresponsabilità educativa diffusa interna ed esterna alla scuola, nella quale tutte le figure di riferimento, i professionisti e le Istituzioni che si occupano della persona con disabilità concorrano alla costruzione e alla realizzazione del progetto di vita della persona, il quale va certamente oltre all"ambito scolastico.

I diversi professionisti che intervengono per la realizzazione di tali obiettivi hanno compiti e funzioni specifici che sono complementari ma non sovrapponibili, concorrendo insieme all"attuazione del PEI nell"ambito delle proprie competenze.

Per questo motivo non può essere considerato legittimo un Piano Educativo Individualizzato che non comprenda uno dei soggetti summenzionati e che non preveda l"indicazione puntuale e precisa di tutti gli interventi, in termini di risorse e professionalità (soggetti impegnati, numero di ore, obiettivi, modalità di progettazione etc…), messe a disposizione dalle diverse Istituzioni di appartenenza dei professionisti.

Nel caso in cui non vi sia la predisposizione delle collaborazioni tra i professionisti e le Istituzioni previste dalla legge a garanzia di qualità ed efficacia degli interventi e il progetto contempli il solo intervento dell"insegnante di sostegno quale unico attuatore degli obiettivi previsti nel PEI, si evidenzia che tale omissione potrebbe configurare, in particolare nelle situazioni di maggiore complessità, una possibile responsabilità diretta a carico del dirigente scolastico e un"ipotesi di danno erariale se dal fatto derivi per l"Amministrazione un aggravio di spesa, se questa poteva essere evitata applicando le normative vigenti. Analogo discorso rispetto al danno erariale può essere fatto nei confronti del Dirigente dell"Ente locale nel caso in cui vi sia un"attivazione di ore di assistenza ad personam che ecceda le ore definite nel PEI o che sia volta ad integrare le ore di sostegno scolastico, assegnate in modo insufficiente seppure necessarie e previste nel PEI.

In raccordo e attuazione delle normative succitate è stato adottato il D.P.C.M. del 23 febbraio 2006, n. 185, [4] dal quale si desume, in coordinamento con quanto previsto dal citato art. 12 della legge 1992 n. 104, che:
a) per individuare l'alunno come soggetto in situazione di handicap, le Aziende per i Servizi Sanitari "dispongono appositi accertamenti collegiali, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 12 e 13 della legge 5 febbraio 1992, n. 104", accertamenti cui segue "la redazione di un verbale di individuazione dell'alunno come soggetto in situazione di handicap" recante "l'indicazione della patologia stabilizzata o progressiva ... nonché la specificazione dell'eventuale carattere di particolare gravità della medesima" e "l'eventuale termine di rivedibilità dell'accertamento effettuato";
b) tali accertamenti "sono propedeutici alla redazione della diagnosi funzionale", che deve essere trasmessa anche "all'Istituzione scolastica presso cui l'alunno va iscritto, ai fini della tempestiva adozione dei provvedimenti conseguenti";
c) a tali attività "fa seguito la redazione del profilo dinamico funzionale e del piano educativo individualizzato" ad opera dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 2, del D.P.R. 24 febbraio 1994 (operatori sanitari individuati dalle Aziende per i Servizi Sanitari e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola e con la partecipazione, ove presente, dell'insegnante operatore psicopedagogico, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale dello studente);
d) in particolare, tali soggetti, "in sede di formulazione del piano educativo individualizzato, elaborano proposte relative alla individuazione delle risorse necessarie, ivi compresa l'indicazione del numero delle ore di sostegno".[5]

È importante dunque sottolineare che le indicazioni succitate vincolano l"Amministrazione scolastica a norma dell"art. 12 comma 5 della legge n. 104/1992, esaurendo ogni ipotizzabile ambito di discrezionalità e dando luogo a una situazione di «vero e proprio diritto soggettivo, incomprimibile in dipendenza di carenze organiche del personale scolastico, ovvero di esigenze di bilancio» [6], come evidenziato anche da pronunciamenti della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato, e fondato su norme di rilievo come l"art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani, nonché della nostra Costituzione (artt. 2, 3, 32, 34 e 38) e dal succitato art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Ne consegue che una volta indicato e definito nel PEI come indispensabile il sostegno didattico mediante insegnanti specializzati non può essere ridotto in modo arbitrario dall"Amministrazione rispetto alla quantificazione delle ore previste nel PEI stesso.

La scelta dell"Amministrazione scolastica di assegnare un numero inferiore di ore d"insegnamento specialistico, rispetto al numero usufruito sino a quel momento, integra pertanto una determinazione che non può essere sganciata dai bisogni concreti dello studente con disabilità, perché non è rapportata né alle sue condizioni effettive di salute, né a un"analisi oggettiva delle misure da adottare al fine di soddisfare il diritto fondamentale all"istruzione e ciò può comportare anche un riconoscimento del risarcimento del danno subito. Analogo discorso può essere effettuato per l"assistenza ad personam, in riferimento a quanto definito nel PEI.

Ciò deriva proprio da quanto stabilito dalla sentenza n. 80/2010 [7] della Corte Costituzionale che, pur non negando l"esistenza di margini di discrezionalità del legislatore nell"individuare le misure occorrenti per dare attuazione ai diritti delle persone con disabilità, ha comunque ribadito come detto potere discrezionale incontri il limite del "rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati".

La Corte Costituzionale, intervenendo in materia di integrazione e sostegno scolastico in favore della persona con disabilità, ha dunque ribadito la natura fondamentale costituzionalmente garantita del diritto della persona con disabilità all"istruzione. Per questo motivo è necessario che vengano previsti tutti gli strumenti atti a dare attuazione pienamente e compiutamente all"inclusione scolastica.

Dopo questo excursus sui principi fondamentali e sulla normativa vigente nazionale e internazionale sulla materia de qua si evidenzia che il T.A.R. Lazio, nella sentenza in esame, argomenta che la Corte di Cassazione, Corte regolatrice della giurisdizione, nella sentenza n. 25011/2014 parte dalla legge 1 marzo 2006, n. 67 [8], che "nel promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali, traccia all"art. 2 una rilevante distinzione tra due possibili forme di violazione di tale parità (la discriminazione diretta, che ricorre quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga; e la discriminazione indiretta, che si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone), e, all"art. 3, affida al giudice ordinario la competenza giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti discriminatori, richiamando le nuove norme sulla tutela antidiscriminatoria previste dall"art. 28 del d.lgs. n. 150/2011". [9]

Il T.A.R. prosegue rilevando che la stessa Corte richiama anche quanto già disposto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 215 del 1987, in cui è chiarito che la frequenza scolastica è, "insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia", "un essenziale fattore di recupero del portatore di handicap e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull"altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità".

Il diritto all'istruzione delle persone con disabilità è dunque ascritto alla categoria dei diritti fondamentali, la cui tutela passa attraverso l'attivarsi della Pubblica Amministrazione per il suo riconoscimento e la sua garanzia, mediante le doverose misure di integrazione e sostegno atte a rendere possibile alle persone con disabilità la frequenza delle scuole, a partire da quella materna.

Ai fini della statuizione riguardo al riparto di giurisdizione, su tali presupposti e motivazioni, la Corte di Cassazione non ha dubbi nell"applicare quanto stabilito dall"art. 3 della legge n. 67/2006 e rinviare, quanto alla giurisdizione, all"art. 28 del Decreto legislativo n. 150/2011, in cui si individua chiaramente il Giudice Ordinario quale competente a occuparsi della repressione di comportamenti discriminatori. [10]

Il T.A.R. Lazio afferma anche di essere a conoscenza del diverso orientamento assunto da alcuni T.A.R. (Sicilia, Palermo sentenza 3 dicembre 2014 e Toscana sentenza del 11 dicembre 2014), i quali sostengono che la natura fondamentale del diritto all"istruzione della persona con disabilità non è di per sé sufficiente a ritenere devolute le controversie che ad esso si riferiscono alla giurisdizione del Giudice Ordinario, quale giudice naturale dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale in quanto è necessario considerare l'art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c) [11] che, in continuità con l'abrogato Decreto legislativo n. 80 del 1998, art. 33 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi (...) relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica Amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo. Inoltre, secondo le pronunce del T.A.R. Sicilia e del T.A.R. Toscana la categoria dei diritti fondamentali non delimita, in generale, un'area inaccessibile all'intervento di poteri pubblici autoritativi. Questi ultimi del resto devono intervenire sempre più spesso al fine di far rispettare e concretizzare i compiti rivolti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, contestualmente però a una crescente azione di tutela complessiva e sistemica, al fine di bilanciare le esigenze di funzionalità del Servizio Pubblico con il limite delle risorse disponibili secondo le decisioni di allocazione delle risorse attuate dagli organi competenti, ai fini del soddisfacimento dell'interesse generale.

Tuttavia il T.A.R. Lazio ritiene, in linea con la succitata sentenza della Corte di Cassazione n. 25011/2014 in sede regolativa della giurisdizione, "che non residui in capo all"amministrazione una discrezionalità nell"assegnare le ore di sostegno una volta che l"Istituto scolastico abbia adottato un piano educativo individualizzato o uno strumento equipollente, dimodochè non può neppure predicarsi la sussistenza della giurisdizione esclusiva (in materia di Servizi Pubblici) del Giudice Amministrativo, che comunque richiede la sussistenza di un potere della Pubblica Amministrazione (secondo l"insegnamento della Corte Costituzionale, sentenza 6 luglio 2004 n. 204)."

In tal senso il T.A.R. Lazio afferma che la controversia in questione promossa dalla persona con disabilità e dalla sua famiglia contro l"Amministrazione scolastica e comunale, rientra nella giurisdizione del Giudice Ordinario in funzione di giudice del lavoro, ai sensi e per gli effetti dell"art. 11 c.p.a. [12] "poiché verte in materia di assegnazione al minore di un numero di ore di AEC, inferiore al numero di ore pari all"intero orario di frequenza e la condizione di handicap grave del minore, ai sensi dell"art. 3, comma 3, della Legge 104/1992, risulta certificata dalle autorità sanitarie competenti, per cui l"accertamento dei presupposti del diritto può dirsi acclarato." [13]

La pronuncia in esame, in linea con l"orientamento della Suprema Corte summenzionato, è coerente con la definizione contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006, ove si afferma che «la finalità comune dei diversi Ordinamenti viene identificata nella piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri», nonché con la classificazione adottata nel 1999 dall"Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sostituito il termine «disabilità» con «attività personali» e i termini «handicap» e «svantaggio esistenziale» con il termine «partecipazione sociale». [14]

Anche il Giudice costituzionale ha osservato che "il diritto all"istruzione dei disabili è oggetto di specifica tutela da parte sia dell"Ordinamento internazionale che di quello interno. In particolare, per quanto attiene alla normativa internazionale, viene in rilievo la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall"Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall"Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18, il cui art. 24 statuisce che gli Stati Parti «riconoscono il diritto delle persone con disabilità all"istruzione». Diritto, specifica la Convenzione in parola, che deve essere garantito, anche attraverso la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, al fine di «andare incontro alle esigenze individuali» del disabile (art. 24, par. 2, lett. c), della Convenzione). Quanto all"Ordinamento interno, in attuazione dell"art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all"istruzione delle persone con disabilità e l"integrazione scolastica degli stessi sono previsti, in particolare, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l"assistenza, l"integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate); legge che, come già osservato da questa Corte, è volta a «perseguire un evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale è quello di garantire in tutto il territorio nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali dei soggetti portatori di handicaps» (sentenza n. 406 del 1992). In particolare, l"art. 12 della citata legge n. 104 del 1992 attribuisce alla persona con disabilità il diritto soggettivo all"educazione e all"istruzione a partire dalla scuola materna fino all"Università (comma 2). Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la partecipazione della persona con disabilità «al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato» (sentenza n. 215 del 1987)". [15]

Sostanzialmente la Corte riconosce che "il diritto del disabile all"istruzione si configura come un diritto fondamentale", che deve essere assicurato attraverso misure di integrazione e sostegno idonee a garantire alle persone con disabilità "la frequenza degli Istituti d"istruzione", tra le quali viene in rilievo la figura del docente specializzato, chiamato ad adempiere a forme di integrazione e di sostegno, ineliminabili anche sul piano costituzionale, a favore degli alunni con disabilità.

Ne consegue che esiste un nucleo indefettibile di garanzie che si pone quale limite invalicabile anche per la discrezionalità del legislatore, così da assicurare una specifica forma di tutela alle persone con disabilità che si trovino in condizione di particolare gravità, mediante la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno correlate alle loro effettive necessità, al fine di rendere effettivo il diritto fondamentale all"istruzione.

Risulta quindi chiaro che il sostegno scolastico ad opera di un docente specializzato è funzionale al diritto all'istruzione dell"alunno con disabilità non solo per il suo processo formativo, ma anche per promuovere e favorire il processo d"inclusione scolastica; ne deriva che esso va riconosciuto in base a quanto previsto nel piano educativo individualizzato (PEI), soggetto a verifica e aggiornamento in base alle mutate, specifiche e attuali esigenze dell"alunno con disabilità.

Il medesimo ragionamento può essere fatto per il servizio di assistenza ad personam fornito dagli Enti Locali, come evidenziato dal caso di specie descritto nella sentenza in questione del T.A.R. Lazio n. 4705/2015.

L'Amministrazione scolastica e quella dell"Ente Locale, competente per l"assistenza ad personam, risultano quindi prive di un potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, che possa rimodulare o ridurre in via autoritativa, a causa delle risorse scarse a disposizione per l"attivazione dei servizi, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal PEI. Al contrario le succitate Amministrazioni hanno il compito e il dovere di garantire l'assegnazione, a favore dello studente, del personale docente specializzato e dell"assistente educatore culturale (AEC), anche facendo ricorso, soprattutto alla luce di situazioni di grave disabilità ex lege n. 104/1992, art. 3 c. 3 che richiedano interventi continuativi e maggiormente significativi dal punto di vista delle ore e della complessità, all"attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto studenti/insegnanti.

L'omissione o la predisposizione da parte dell'Amministrazione scolastica e di quella dell"Ente Locale di interventi inadeguati in riferimento alla complessità della situazione e difformi da quanto stabilito dal PEI configurerebbero una sostanziale contrazione del diritto fondamentale dello studente con disabilità all'attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle specifiche esigenze rilevate, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico. La finalità è infatti quella di rendere possibile la fruizione effettiva del diritto, costituzionalmente protetto, dello studente con disabilità all'istruzione, all'integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini.

In conclusione si può affermare che la sentenza del T.A.R. Lazio è estremamente rilevante in quanto ribadisce, in linea con l"orientamento della pronuncia a Sezioni Unite n. 25011/2014 della Corte di Cassazione, che l"assistenza ad personam e il sostegno scolastico di studenti con disabilità sono diritti soggettivi di competenza del Giudice Ordinario.

Ne discende che il diritto all"istruzione non può essere vincolato ad esigenze di bilancio, come alcuni T.A.R. hanno iniziato a sostenere, alla luce anche dell"attenzione al pareggio di bilancio, il cui principio ha assunto anch"esso rango costituzionale a seguito della sua recente introduzione in Costituzione, oltre alla definizione, sempre da parte di alcuni Tribunali Amministrativi del diritto all"istruzione come un interesse legittimo piuttosto che un diritto soggettivo, a maggior ragione in seguito alla redazione del PEI, così come qualificato nuovamente dalla Suprema Corte.

Tali considerazioni derivano direttamente dalla già citata sentenza n. 80/2010 della Corte Costituzionale che ha affermato e sancito l"incomprimibilità, rispetto a esigenze di finanza pubblica, del diritto fondamentale della persona con disabilità grave ex lege n. 104/92 art. 3 c. 3 a fruire di un percorso scolastico effettivo. La Consulta inoltre ha espressamente circoscritto lo spazio della discrezionalità legislativa in materia entro limiti tali da non interferire con la garanzia del richiamato diritto fondamentale, escludendo in tal modo che quest"ultimo possa qualificarsi come diritto finanziariamente condizionato. Il diritto della persona con disabilità all"istruzione e all"educazione scolastica appartiene dunque al catalogo dei diritti incomprimibili, per attuare i quali è giustificata anche la riduzione degli spazi di discrezionalità legislativa.

 

 

[1] Legge 5 febbraio 1992, n. 104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate."

[2] Legge 3 marzo 2009, n. 18 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità".

[3] Decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994 "Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap".

[4] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 23 febbraio 2006, n. 185: "Regolamento recante modalità e criteri per l'individuazione dell'alunno come soggetto in situazione di handicap, ai sensi dell'articolo 35, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289."

[5] Si veda l"art. 3, comma 2, del D.P.C.M. succitato.

[6] T.A.R. Toscana, sez. I, 13/01/2014, n. 54.

[7] Sentenza della Corte Costituzionale 22 febbraio 2010, "Diritto del disabile all"assistenza didattica".

[8] Legge 1 marzo 2006, n. 67 "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni".

[9] Decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell"articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69."
L"art. 28 (Delle controversie in materia di discriminazione) recita:
"1. Le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
2. È competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio.
3. Nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente.
4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata.
5. Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano e' adottato sentito l'ente collettivo ricorrente.
6. Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
7. Quando accoglie la domanda proposta, il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale. Dell'ordinanza e' data comunicazione nei casi previsti dall'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e dall'articolo 55-quinquies, comma 8, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198."

[10] L"art. 3 (Tutela giurisdizionale) della legge n. 67/2006 recita:
"1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all'articolo 2 della presente legge è attuata nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
2. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta nei limiti di cui all'articolo 2729, primo comma, del codice civile.
3. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l'adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
4. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui al comma 3, a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato."

[11] L"art. 133 (Materie di giurisdizione esclusiva) del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 "Attuazione dell"articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo" recita:
"1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge:
……
c) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità;
….."

[12] L"art. 11 (Decisione sulle questioni di giurisdizione) del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 "Attuazione dell"articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo" recita:
"1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito.
2. Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato.
3. Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest"ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d"ufficio il conflitto di giurisdizione.
4. Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest"ultima al giudice amministrativo, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite.
5. Nei giudizi riproposti, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, può concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti.
6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.
7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione."

[13] L"articolo 4 (Accertamento dell'handicap) della legge 5 febbraio 1992, n. 104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate" recita:
"1. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all'articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali."

[14] Corte di Cassazione, sezioni unite n. 16102/2009.

[15] Sentenza della Corte Costituzionale del 26 febbraio 2010, n. 80: "Diritto del disabile all"assistenza didattica".




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