-  Mottola Maria Rita  -  29/03/2011

150 ANNI DI ITALIA – Maria Rita MOTTOLA

Le polemiche non giovano, neppure le mistificazioni, o le parole taciute, le mezze verità, la confusione, il pressapochismo.

Non vorremmo né alimentare le une né cadere negli stessi errori delle altre.

Ma la storia la scrivono i vincitori e nel nostro caso la scrissero i piemontesi savoiardi. La storia ci tramanda che mille prodi liberano il popolo italiano oppresso e che consegnarono l'Italia al loro re.

E' così? È così secondo il diritto?

 Nella mia cucina trovano spazio alcuni orologi e altri giacciono nella stanza adiacente adibita a lavanderia e piccolo spazio per i lavoretti del fai da te che attendono che io li addobbi e li modifichi per trovare collocazione e dignità. Uno di questi orologi apparteneva a un lontano parente di mia suocera un garibaldino! Ogni tanto lo guardo e mi compiaccio che un pezzo di storia sia nella mia casa. Tutti noi, probabilmente, conserviamo un pezzo di storia, di quella vera, di quella fatta e raccontata dalle persone in carne e ossa.

Diversa la storia dei libri, quella scritta dai vincitori.

In Italia in quei lontani anni non vi erano dominatori stranieri tranne che nel lombardo veneto. Le altre regioni erano governate da legittimi sovrani. Esattamente legittimi e che parlavano italiano o meglio il dialetto del luogo. Non parlavano francese come i Savoia. Perché non dire queste piccole verità? Perché non dire che l'Italia repubblicana non fu certo costruita da Garibaldi o da Cavour? Perché non ricordare che dal punto di vista del diritto bellico (è pur sempre un diritto anzi una conquista di civiltà rispetto alle barbarie della violenza priva di regole) la guerra promossa dai Mille e sostenuta dai Savoia fu una vera e propria guerra di conquista. Una nazione che andava in una terra governata da un Re legittimamente insediato con un manipolo di uomini armati. Senza una dichiarazione di guerra.

Anche Pirandello è profondamente deluso: "Mangia il Governo, mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l'ingegnere e il sorvegliante... Che può avanzare per chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portar tutti sulle spalle e resta schiacciato?...".(I vecchi e i giovani).

Cavour aveva bisogno di un casus belli, dell'occasione per accorrere in aiuto delle popolazioni che avrebbero dovuto sollevarsi contro i Borboni che in quel momento godevano di una certa tranquillità. E così Rosolino Pilo e Giovanni Carraro partirono per la Sicilia e ottennero l'aiuto (di chi? Del popolo? No impossibile) dei latifondisti e dei loro picciotti, cioè di quelli che in teoria affamavano il popolo che avrebbe dovuto essere liberato. Contraddizioni italiane? O semplice gioco di potere? Ma i mazziniani non erano repubblicani? E allora perché si unirono a un monarca? Superficialità? Le rivolte furono limitate e il telegramma cifrato che avrebbe dovuto convincere Garibaldi a partire, chiaramente disponibile solo se il popolo si fosse sollevato, non lo convinse affatto. E allora come sostiene Alfonso Scirocco (Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Bari, Laterza, 2001) Crispi decodificò 'meglio' il telegramma e convinse il grande eroe dei due mondi. (Eroe o avventuriero? eroe o lanzichenecco? eroe o soldato prezzolato?)

Un inciucio, un vero e proprio inciucio. E si potrebbe così continuare.

Ma per giungere al famoso 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele fu proclamato Re d'Italia ma mantenne il numerale II a dimostrare che non si trattava di un nuovo stato, ma come il Regno d'Italia era solo la nuova denominazione del vecchio stato piemontese.

I soldati dell'esercito borbonico furono internati e trovarono la morte tra fame e stenti.

Che cosa ottennero le popolazioni meridionali? La leva obbligatoria e nuove tasse. Che cosa ottenne Cavour e i latifondisti settentrionali? Molte terre e tutti i beni ecclesiastici. La storia la scrivono i vincitori, non c'è dubbio. La popolazione meridionale oppressa e delusa dovette subire ogni sorta di oltraggio dai fratelli italiani invasori: guerra civile, 140.000 soldati sul loro territorio, la sospensione di tutti i diritti civili, il diritto di rappresaglia da parte dei soldati piemontesi nei confronti della popolazione civile, devastazioni e saccheggi. Perché non ricordare il film del 1972 Bronte - Cronaca di un massacro, che i libri di storia non hanno raccontato, tratto dal racconto di Verga Libertà? Processati sommariamente dal tribunale militare di Nino Bixio condannati a morte, innocenti.

Si potrebbe continuare.

Ma oggi dopo 150 anni perché non dire la verità? Perché non sanare ferite e ingiustizie dicendo semplicemente la verità su quegli anni?

Perché non dire che l'Italia non nacque con il Risorgimento ma nacque dal dolore, dalla morte, dalla disperazione e dalla distruzione della seconda guerra mondiale. Da quella catastrofe terribile che portò nel baratro e fece ritrovare valori veramente comuni e condivisi: libertà, lavoro e dignità. Che fece riconoscere italiani e fratelli i padri costituenti. Perché non dire che il vero eroe della unità italiana fu il maestro Manzi (io lo ricordo molto bene quando teneva le sue lezioni alla televisione disegnando con il carboncino) che insegnò l'italiano e a scrivere e a leggere? Perché non dire che l'Italia la costruì la televisione e la radio, che gli italiani si ritrovarono uniti a parlare la stessa lingua e a credere nella stessa squadra di calcio? Perché non dire che non è il Risorgimento che vorremmo festeggiare ma altro? Perché non dire che quella semplicità, quella spinta a costruire e a riscattarci che ci fa così 'italiani', quella simpatia da latin lover che faceva impazzire le donne di tutto il mondo ci manca. Ci manca da morire.




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