-  Mottola Maria Rita  -  08/11/2015

3° COMANDAMENTO. RICORDATI DI SANTIFICARE LA FESTA: DOMENICA AL CENTRO COMMERCIALE – Maria Rita MOTTOLA

Abstrat: Come abbiamo cercato di illustrare nei saggi precedenti i temi che ci propone la lettura dei comandamenti è quanto mai attuale, vitale e, per noi che scriviamo, illuminante. Risale a pochi giorni fa la sentenza della Corte di Cassazione che riconosce la non obbligatorietà del lavoro festivo e il Parlamento discute una legge che limita la liberalizzazione montiana entrata in vigore nel gennaio 2012. Ma la domanda che ci dobbiamo porre è vitale: è il sabato che è stato voluto per l'uomo o l'uomo per il sabato? (Mc 2, 27)

Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.

1. Argomento di grande attualità.

E' recentissima la sentenza della S.C. che afferma che il lavoro festivo non può essere obbligatorio. Come accade negli ultimi anni il dibattito si sposta sugli argomenti che sono portati all'attenzione della magistratura come se solo una decisione giudiziaria possa risvegliare le menti e costringerle a pensare. Certo questo è l'atteggiamento dei media che hanno costruito intorno alle decisioni dei Tribunali una sorte di dibattito permanente. Non molti anni orsono le sentenze erano esaminate, lette e discusse solo dai giuristi, nelle riviste specializzate e nelle aule di giustizia. Perché la giurisprudenza è una scienza e come tale dovrebbe essere trattata dagli specialisti onde evitare di travisare, manipolare e enfatizzare, in altre parole, distorcere la realtà. Ma a questo i giornalisti ormai ci hanno abituato. Da quando si utilizzano le scoperte scientifiche come dimostrazione della validità delle scelte politiche e sociali, ovvero da quando si è sostenuto che l'evoluzione darwiniana fosse una teoria scientifica, come ovviamente non è. Dobbiamo ringraziare però tale sistema perverso perché almeno in questo caso, riporta all'attenzione pubblica un argomento di vitale importanza. La festa, momento di aggregazione, di gioia, vitale per ogni comunità che si è cercato di annientare, speriamo, invano.

La festa è tale per tutti: occorre capire quale valore la nostra società le attribuisce e come deve essere vissuta.

2. Manovra 'Salva Italia' del Governo Monti e suoi risultati.

Il ddl 'Salva Italia' che ebbe efficacia dal gennaio 2012 dava il via a una liberalizzazione selvaggia dell'economia della nostra nazione. Tra l'altro disponeva l'apertura dei negozi e delle attività commerciali 365 giorni l'anno. L'art.31, primo comma aveva stabilito, in via generale e senza eccezioni, la totale libertà di orari, sia in termini di ore di funzionamento che di aperture domenicali e festive, di tutte le attività di commercio e di somministrazione di alimenti e bevande su tutto il territorio nazionale. La competenza in tale materia è comunale e regionale e il legislatore per intervenire sostenne che il provvedimento aveva carattere generale ed era diretto a rendere effettivo il principio di libera concorrenza. E qui ci sarebbe già da evidenziare come tale ultimo principio non appaia tra quelli fondanti la nostra Costituzionale che pone alla base del vivere civile ben altri capisaldi.

A dire dei suoi fautori la norma avrebbe incrementato i consumi, favorito le aziende, aumentato i posti di lavoro. Oggi i nostri parlamentari si accorgono che i consumi calano in picchiata, le aziende chiudono, i licenziamenti non si arrestano e stanno discutendo un progetto di legge che, in parte, reintrodurrà giornate festive con la chiusura dei negozi. Gli unici favoriti e che hanno ottenuto benefici dal provvedimento richiamato, in realtà, sono stati i centri di grande distribuzione. Avessero chiesto ai cittadini di buon senso: secondo voi quale sarà l'effetto di tale decisione? Quasi tutti avrebbero risposto che ne avrebbero beneficiato gli ipermercati a svantaggio dei piccoli negozi di vicinato. Qui non interessa dimostrare che quelle scelte erano destinate esattamente allo scopo malcelato che poi è stato raggiunto. Ciò che vogliamo trattare è l'effetto che possono aver prodotto sul modus vivendi, sulla percezione del tempo e della propria esistenza degli italiani.

3. Libero commercio e libera autodistruzione.

Come si accennava la competenza in materia di commercio è devoluta dell'art. 117 Cost. alle Regioni e proprio alcune regioni avevano promosso un referendum abrogativo della norma in questione. Alcune associazioni di categoria avevano raccolto i dati relativi al disastro economico conseguente alle liberalizzazioni (http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/negozi-aperti-si-della-lombardia-al-referendum.aspx).

Era così difficile da prevedere? L'assenza di regole non ha mai favorito né gli onesti né i piccoli. Le grandi aziende di distribuzione applicano spesso metodi poco ortodossi nello svolgimento della loro attività e usufruiscono di benefici concessi dal legislatore nazionale, per esempio le agevolazioni introdotte dalla legge finanziaria del 2005 all'art. 1 co. 429. Secondo tale norma le imprese che operano nel settore della grande distribuzione hanno facoltà di trasmettere telematicamente all'Agenzia delle Entrate, distintamente per ciascun punto vendita, l'ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, con esonero, dall'obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale.

Viceversa la UE ha ritenuto illegittima una norma che introduceva la regola di "reverse charge" per le cessioni di beni a favore della grande distribuzione, introdotta con l'art. 1, commi 629, 631 e 632, della L. 23.12.2014, n. 190, che avrebbe probabilmente generato svantaggi per gli ipermercati e i discount. Ma proprio in Europa assistiamo alla nascita di un movimento di opinione che intende salvaguardare la domenica e sta organizzandosi con energia propositiva (http://www.europeansundayalliance.eu/).

La difesa strenue del libero commercio che è coerente con i principi europei contrasta con l'impianto costituzionale e con la stessa storia della nostra civiltà. I giorni di festa erano numerosi e rispettati negli anni della repubblica e dell'impero romano, numerosi e rispettati nella comunità ebraica, numerosi e rispettati nella civiltà cristiana. La feste è un momento e un luogo. Un momento della comunità (cittadina, nazionale, religiosa) che si riunisce e che partecipa a rituali condivisi e un luogo di incontro e di comunicazione. La festa ha una funzione sociale evidente di 'mettere insieme' un gruppo intorno a un pensiero comune, celebrando un memoriale di eventi e persone, santificando una ricorrenza religiosa, aprendo le porte di un piccolo centro abitato al mondo esterno in spirito di allegria e condivisione.

Mentre il legislatore, homo economicus, cerca con ogni mezzo di eliminare la festa al fine di indurre i cittadini, ormai solo consumatori, appunto, a porre in essere l'unica funzione a cui sono chiamati, acquistare consumando e consumare acquistando, i cittadini-festaioli riportano in auge antiche festività contadine e religiose, feste ormai dimenticate e complicati cerimoniali.

'Il rito, quindi, nel recuperare alla frazione la gente che nel passato aveva abbandonato la comunità per la società industrializzata, ricompone una vecchia frattura; la partecipazione alla festa può essere intesa come il rinnovo di un contratto di appartenenza alla comunità stessa'.*

Questa resistenza all'annullamento della festa contrasta quanto si andava affermando con la cultura moderna sostenuta, da un lato, dall'austerità protestante e, dall'altro, dall'eccessivo individualismo liberista.

'Secondo la Grande Narrazione della modernità, la festa - al pari del costume, del rito, della fede - sarebbe condannata a sparire sotto 'le gelide acque del calcolo egoista" (Marx), o a restare pietrificata nella "brina dell'ascesi puritana' (Weber). In effetti la modernità nacque anti-festiva, e con essa le scienze so¬ciali, che contribuirono alla realizzazione di una critica minu¬ziosa delle condotte rituali e della cultura popolare tradizionale: entrambe infatti - si ipotizzava - sarebbero state ostacoli nell'ingranaggio della macchina del progresso e della raziona¬lità. Di conseguenza anche lo studio delle feste venne ridotto al¬lo status di folklore, e identificato come una passione di nostal¬gici i quali - dinanzi al progresso dell'omogeneizzazione indu¬striale, urbana e in seguito anche mediatica - intonavano i loro funerali e elevavano le loro piagnucolose lamentazioni'.**

Pare però che l'uomo non può essere privato della festa. Forse perché è destinato ad essa?

Che senso può avere una festa? Certamente la festa da un lato scandisce i giorni, non li rende tutti uguali, consente di progredire, di andare verso. 'Dobbiamo tener presente che sia nella nostra vita personale, sia soprattutto nella Bibbia, cioè nella storia di Israele, l'idea fondamentale è un andare "da-verso", in questo senso, l'Esodo è il modello di questa concezione: uscire da e andare verso. Sottolineo che non ho detto uscire da e arrivare, ma andare verso. La festa di Shavuoth-Pentecoste è importante sotto tanti punti di vista, non solo per il dono della Torà, e lo è soprattutto perché realizza un incontro con Dio durante un cammino, non all'arrivo finale. Nella storia di Israele e nella storia dei credenti, sia individuale, che collettiva, c'è sempre un dietro da ricordare e un davanti a cui tendere. Contare è importantissimo, al contrario di altre concezioni che pure hanno influito sul pensiero occidentale, come la metafisica di Aristotele, il neo-platonismo e altre, la Bibbia insegna una posizione "mobile", sia dell'intera umanità sia dei singoli individui. E, del resto, la parola "storia", mentre in italiano e nelle nostre lingue deriva dal greco historein, ricercare, in ebraico si dice toledot, che vuol dire generazioni, è un "conto". È sempre un contare, se si facesse uno studio sui numeri nella Scrittura vedremmo quanto essi hanno un'importanza fondamentale. C'è un versetto biblico che dice "insegnaci a contare i nostri giorni". Perché insegnaci a contare i nostri giorni? Nel contare c'è la consapevolezza che si va avanti, sicuro non quando conto i denari, contare significa sempre un procedere, con una certezza, che non è automatica, ma di fede: contando i tempi, sappiamo dove andremo, sempre che questo nostro contare coincida anche con l'aver presente che è Dio, è Lui, che ci insegna come farlo. Se noi ponessimo un poco di attenzione a quanto del Pentateuco confluisce nel calendario liturgico, sia quello ebraico, sia quello cristiano, avvertiremmo, se posso esprimermi così, che lo Spirito Santo, ispirandoci la liturgia, la colloca in un contare, per esempio, dall'uscita dall'Egitto al Monte Sinai, dal cammino nel deserto al dono della Torà e così via. Questo versetto del salmo (90,12): "insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore", ci interroga. Cosa vuol dire contare i propri giorni? Non può mica voler indicare che mi ricordo la mia data di nascita: ho tanti anni e penso me ne restino ancora tot... No. Insegnaci a contare i nostri giorni, tenendo presente che l'insegnamento viene da Dio, è come dire che il mio cammino nel tempo è un conto di giorni che ci conduce alla sapienza del cuore: è questo il grande percorso spirituale che ci hanno insegnato prima l'ebraismo e poi il cristianesimo, espressioni di fede fondate proprio su questo contare i giorni, mentre ci sono religioni primitive e orientali, che non hanno questa sensibilità'. ***

La cultura ebraica e con essa quella cristiana, contano i giorni, e ciò è inevitabile per non perdere il giorno di festa, il settimo del riposo, per non perdere la festa della Pasqua o quella delle Pentecoste 50 giorni dopo. Questo contare consente di ricordare il passato, i giorni che trascorrono, e guardare al futuro, i giorni che verranno. E' una scansione in movimento e non statica, è un andare verso. La festa pone una sosta, una sosta nel nostro viaggio, una sosta di contemplazione (Dio si riposò) di ripresa di contatto con la realtà, con la profondità delle cose, riconsegnandole al loro reale valore. I popoli andini nei loro faticosi spostamenti sull'Altopiano ogni tanto fanno una sosta 'per attendere l'anima' perché essa è più lenta del loro passo e andando velocemente senza fermarsi si rischia di 'perderla'. Ecco la festa è l'occasione per recuperare la nostra anima fatta di ammirazione per il creato e relazione con il creato e con l'umanità. E' un modo per riottenere la nostra vera essenza di uomini e di ricucire le relazioni affettive, familiari, sociali. Ed è questo forse il pericolo per il potere: la festa unisce, lascia andare la tensione e ricompone i conflitti, concede il tempo per pensare, osservare, ammirare, comprendere e comunicare. Tutte attività estremamente pericolose per il potere.

Il riposo imposto dal comandamento, rispetterai la Shabbat, impone di abbandonare le occupazioni tutte quelle creative (l'uomo è destinato a portare a conclusione l'opera creativa di Dio) e quelle schiavizzanti (l'uomo è schiavo del lavoro e il popolo di Israele è stato schiavo d'Egitto). 'Sospenderai nella Shabbat sia il lavoro creativo affine a quello divino, sia il lavoro subordinato e servile, affine a quello che hai compiuto da schiavo... sospenderai ogni esercizio di potere. Sia il potere subìto nel lavoro subordinato o servile, o costretto dalla necessità (avodà), sia il potere che tu imponi alle cose e ai viventi nell'attività di cui tu sia il soggetto determinante e sovrano (melachà).' ****

4. Chi si salverà?

Nessuno, dovrebbe essere la risposta più sensata. Nessuno può salvare questa nostra civiltà ormai fagocitante se stessa. Nessuno può intervenire in un processo di autodistruzione e di autorazzismo ormai innescato. Si potrebbe dire che le civiltà, come la storia, evolvono, si trasformano, si modificano. E qui sta il punto: come, verso cosa?

'Il Ministero della Verità (Miniver, in neolingua) differiva in maniera sorprendente da qualsiasi altro oggetto che la vista potesse discernere. Era un'enorme struttura piramidale di cemento bianco e abbagliante che s'innalzava, terrazza dopo terrazza, fino all'altezza di trecento metri. Da dove si trovava Winston era possibile leggere, ben stampati sulla bianca facciata in eleganti caratteri, i tre slogan del Partito:

LA GUERRA È PACE

LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ

L'IGNORANZA È FORZA

Si diceva che il Ministero della Verità contenesse tremila stanze al di sopra del livello stradale e altrettante ramificazioni al di sotto. Sparsi qua e là per Londra vi erano altri tre edifici di aspetto e dimensioni simili. Facevano apparire talmente minuscoli i fabbricati circostanti, che dal tetto degli Appartamenti Vittoria li si poteva vedere tutti e quattro simultaneamente. Erano le sedi dei quattro Ministeri fra i quali era distribuito l'intero apparato governativo: il Ministero della Verità, che si occupava dell'informazione, dei divertimenti, dell'istruzione e delle belle arti; il Ministero della Pace, che si occupava della guerra; il Ministero dell'Amore, che manteneva la legge e l'ordine pubblico; e il Ministero dell'Abbondanza, responsabile per gli affari economici. In neolingua i loro nomi erano i seguenti: Miniver, Minipax, Miniamor e Miniabb. Fra tutti, il Ministero dell'Amore incuteva un autentico terrore.****

Questa potrebbe essere la conclusione del nostro percorso o altro ma altrettanto inquietante. Questo è forse quello che ci attende. Lo scrittore inglese riteneva che 'le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse. Le periodiche crisi economiche del passato erano del tutto inutili e infatti oggi non si consente che si verifichino. È possibile che intervengano altri ostacoli, ugualmente rilevanti, ma non sortiscono alcun effetto da un punto di vista politico, perché il malcontento non ha alcun mezzo per esprimersi'****

Ma ognuno di noi può ribellarsi senza attendere che siano gli altri a farlo. Ribellarsi a un mondo che esclude la festa perché 'il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio' (Mt 22, 1). Il fine della nostra vita è una festa, siamo tutti destinati a un giorno eterno di festa.

Bibliografia

*Grimaldi Piercarlo ( a cura di ) Le spade della vita e della morte. Danze armate in Piemonte. Omega, Torino, 2001.

** A. Arino e L. M. Lombardi Satriani, L'utopia di Dioniso. Festa tra tradizione e modernità, Roma, Meltemi, 1997, pp. 7-21

***Debenedetti P., http://www.betmidrash.it/portadelleacque/Shavuoth.htm.

****Levi della torre S. Il settimo giorno in Santificare la festa, nella collana I dieci comandamenti ed. Il Mulino, Bologna, 2010

****Orwell G. 1984, Milano 2002




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