Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  02/10/2021

A cosa pensa un essere fragile - P.C.

Alcuni bersagli non sono alla sua portata; passa il tempo ad accarezzarli, con la fantasia: raggiungerli è complicato però. Inutile ricordare a se stesso come mai: sa bene in che modo quegli ostacoli potrebbero venir aggirati, ammorbiditi.

 

Ostacoli sì, quella la parola. Non è dentro di lui lo scoglio: gli impulsi e i contatti per l’avvenire, ecco al centro di sé che cosa pone; le scommesse dei tredici anni, le passioni e gli incanti dei sedici. Esistono degli incagli, è vero, qualche saracinesca: intorno a lui però, subito fuori; lungo i bordi della carrozzina, rasoterra all’apparecchio. Cavalli di frisia, impedimenti; la questione è come farcela a organizzarsi, a rimuoverli un po’ nella giornata, quando occorre.

 

Rimuoverli … ha già sentito quel verbo, da qualche parte esiste; una sede nobile anzi, l’art. 3 della Costituzione, secondo comma. “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli …”. Anche i suoi, di vicoli ciechi, ridimensionarli sì: se accadrà tutto questo  ecco che “diverranno realtà quei sogni”, poco a poco, non c’è da ridere.

 

Rimozione, felicità; gli impegni e le tensioni verso la prima, il diritto alla seconda. La spinta a cercarla  c’è anche nella Dichiarazione d’Indipendenza americana. Fertilità, si può dire anche così, fecondità; “florealità, fruttuosità nell’albero”, concretizzare ciò che era stato immaginato, da sempre. Fare a se stessi “quello che la primavera fa con i ciliegi”: espandersi, mettere germogli, trasformarsi in quello che ci si riprometteva.

 

Parliamo se volete di “realizzazione”: far diventare effettiva la propria combinazione esistenziale, giorno per giorno. Quella che ci distingue, rispetto a ogni altro essere: “Tu giallo chiaro? Io verde scuro”. “Tu i cani piccoli? Io gatti grossi e pigri”. Realizzazione, il punto luce da mettere nella molecola “fragilità”; in alto, fin dall’alba, mezzi svegli.

 

C’è chi come nocciolo preferisce un altro termine, “inclusione”. “Includere, inclusivo, mi hanno incluso”. Non male come frontiere, risponderei, un po’ esaltano anch’esse; hanno però quella radice del “chiudere”, non bella, non canta abbastanza; fa pensare che esista un modello uniforme di vita, in partenza, una vetrina buona per tutti, verso cui muovere. Si replicherà che non è così, il senso vero è un altro; d’accordo ma allora … possiamo tenerli comunque i due vocaboli, continuare a impiegarli: nel significato di accessibilità, ecco, di schiodatura “relazionale”; cardini ben oliati, da far scorrere, battenti che si spalancano, per chi era fuori.

 

Una coppia di parole regine, da spendere unite. Una doppia elica, anche nel diritto civile: “inclusione”, fatemi entrare con gli altri, partecipo al gioco; “realizzazione”, vorrei calare sulla terra quei miei fili, di nessun altro, da sempre li inseguo, pazienza se a voi non piacciono.

 

Non esistono in definitiva soggetti deboli, a questo mondo,  ci sono soltanto persone ‘indebolite’; per colpa della mancata fornitura, ad opera di chi dovrebbe, delle rimozioni indispensabili. Aspettiamo di sapere cosa insegue, la persona; il nostro occhio resti fisso poi, là sull’intralcio, sui movimenti dell’autorità tenuta “a far cadere i muri”, “a smussare quei gradini”. Non si sposti di lì fino allo sblocco.

 




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