-  Gasparre Annalisa  -  22/12/2014

A PROPOSITO DI PRINCIPIO DI CORRELAZIONE TRA ACCUSA E SENTENZA - Annalisa GASPARRE

Il principio di correlazione tra accusa e sentenza così come interpretato dalla nostra giurisprudenza e da quella della Corte Edu

Il principio di correlazione tra accusa e sentenza, di cui alla rubrica dell'art. 521 c.p.p. che disciplina il potere del giudice di dare una qualificazione giuridica diversa a quella di cui al capo di imputazione, è precipitato del diritto di difesa, affermato in via principale dalla Costituzione (art. 111 co. 3), che impone che ogni persona accusata debba essere informata della natura e dei motivi dell'accusa onde predisporre la migliore difesa. Tale enunciato di principio, oltre che in varie norme del codice di rito che lo presuppongono (es. contenuto del decreto che dispone il giudizio), trova corrispondenza sovranazionale nell'art. 6 Convenzione europea diritti dell'uomo, norma che, come noto, per effetto dell'interpretazione dell'art. 117 Cost. è fonte interposta nell'ordinamento nazionale e, quindi,penetra nel tessuto ordinamentale italiano. Il contenuto dell'art. 6 Cedu, in particolare, il co. 2, è stato oggetto di interpretazione da parte della Corte di Strasburgo anche con specifico riferimento alla compatibilità con l'ordinamento interno.

Nella nota sentenza Drassich c/ Italia è stato affermato che non è sufficiente che l'accusato conosca il fatto che gli è addebitato dovendo altresì essere edotto circa la corretta e precisa qualificazione giuridica dell'accusa. A seguito di questa pronuncia del 2007 l'interpretazione (fino ad allora) granitica dell'art. 521 c.p.p. ha cominciato ad essere posta in discussione, atteso che il codice di rito riserva al giudice il potere di dare in sentenza l'esatta qualificazione dell'addebito, individuando la norma incriminatrice violata. Nel nostro ordinamento, infatti, domina il principio iura novit curia che, per effetto della pronuncia della Corte Edu, rischiava di porsi in antitesi con il più ampio diritto di difesa ivi affermato.

Senonchè, la Corte costituzionale, nel 2012, ha dichiarato che l'art. 521 c.p.p. è costituzionale e va letto secondo una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata. In questo solco, la Cassazione, nel 2013, è intervenuta ridimensionando gli effetti della pronuncia Drassich sul piano interno, in particolare affermando che non è leso il diritto di difesa anche quando il giudice di secondo grado abbia riqualificato giuridicamente l'addebito, atteso che l'interessato può ricorrere in Cassazione censurando la violazione di legge.

Delineato in premessa il panorama interpretativo sullo sfondo del principio di correlazione tra accusa e sentenza, deve precisarsi quale sia l'effettivo campo di azione del giudice che può dare una qualificazione giuridica diversa solo in sentenza.

In via prioritaria occorre descrivere i connotati della fase del processo che ci occupa, che è quella del dibattimento, luogo sovrano in cui si forma la prova, nel contraddittorio tra le parti. In tale contesto, le parti (pubblico ministero e imputato) devono poter interloquire, anche sui contorni del fatto (e, quindi sulla fattispecie normativa ascritta). Per descrivere il fenomeno si è parlato di contraddittorio argomentativo. D'altra parte, è condivisibile e coerente che, poiché il dibattimento non è mero luogo di conferma di opzioni già individuate, in quella sede possano emergere dati e fattori che inducono lo stesso organo dell'accusa a modificare il capo d'imputazione. Tale possibilità è stata cristallizzata nel codice di rito (artt. 516 e 517) che consente al pubblico ministero di modificare l'imputazione nel corso del dibattimento, nei casi in cui, a seguito dell'esplicarsi dell'istruttoria, risulti un fatto diverso da quello descritto nell'imputazione, purchè non appartenga alla competenza di giudice superiore rispetto a quello davanti a cui si celebra il dibattimento. In tal caso il pubblico ministero modifica l'imputazione e procede a formale contestazione. Nello stesso modo si procede qualora emerga un reato connesso ex art. 12 co. 1 lett. b) o una circostanza aggravante. Questa procedura si arricchisce di altro incombente qualora l'imputato sia assente o contumace. L'art. 520 c.p.p. infatti afferma che, in tali casi, la contestazione deve essere inserita a verbale del processo da notificarsi per estratto all'imputato.

Poiché il codice espressamente menziona la possibilità che dal dibattimento emerga un fatto nuovo (art. 518) e che, in tali casi, il pubblico ministero debba procedere nelle forme ordinarie (e non secondo lo schema modifica-contestazione-eventuale termine a difesa-eventuale notifica) è bene soffermarsi sul discrimine tra fatto diverso e fatto nuovo, perché su questo si fonda la possibilità di far retrocedere il procedimento alla fase delle indagini preliminari. In estrema sintesi, fatto diverso è quello che lascia immutato il contenuto essenziale (soggetto-condotta-nesso causale-evento) mentre fatto nuovo è quello che è radicalmente "altro", eterogeneo rispetto a quello descritto in imputazione. E ancora, fatto diverso è quello incompatibile con quello originariamente descritto in imputazione (a pena di violazione del divieto di ne bis in idem), mentre fatto diverso è quello che può convivere con esso e che può dare luogo ad autonomo e parallelo procedimento.

Il co. 2 dell'art. 520 contempla un caso peculiare di consenso dell'imputato a che il fatto nuovo sia contestato in udienza e che deve essere poi autorizzato dal Presidente se non pregiudica la speditezza del procedimento.

Queste norme sono importanti per inquadrare il sotteso diritto di difesa, alla base anche del principio di correlazione tra accusa e sentenza e della possibilità, per il giudice, di dare in sentenza una diversa qualificazione giuridica al fatto (purchè ciò rappresenti un "epilogo prevedibile" del processo e che, di fatto, l'imputato sia stato nelle condizioni di difendersi rispetto a quel fatto). È sulla premessa della conoscenza dei fatti addebitati che si fondano strategia e scelte difensive dell'imputato, anche in chiave di preferenza ponderata per un eventuale rito speciale, con i connessi benefici premiali.

Di questa problematica si è occupata la Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 nella parte in cui non prevedono la facoltà per l'imputato di chiedere l'applicazione della pena ex art. 444 cpp relativamente al fatto diverso o al reato concorrente nei limiti in cui la nuova contestazione (o il reato concorrente o la circostanza aggravante) concerna fatto già risultante dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (e che dunque poteva già essere contestato non essendo emerso solo in fase istruttoria) oppure nell'ipotesi in cui l'imputato avesse già ritualmente proposto richiesta ex art. 444 in riferimento alle contestazioni originarie. La stessa soluzione è stata affermata riguardo al rito abbreviato.

La violazione delle norme in tema di modifica dell'imputazione, contestazione di reato connesso o aggravanti e disciplina del fatto nuovo emerso in dibattimento, nonché della norma che impone la correlazione tra accusa e sentenza con possibilità per il giudice di dare, in sentenza, una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, è causa di nullità a regime intermedio (art. 180).




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