-  Gasparre Annalisa  -  07/04/2014

ABBANDONARE UN CANE IN AUTOSTRADA: REATO - Cass. pen. 11865/2014 - Annalisa GASPARRE

Era riconosciuto colpevole di aver abbandonato un cane sull'autostrada Caserta-Napoli ed è stato condannato dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, alla pena di Euro 3.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese di giudizio.

Una vera e propria piaga sociale quella dell'abbandono di animali, che si tinge di colori oscuri quando avviene in posti altamente pericolosi come un'autostrada, per le ripercussioni per l'animale e per la sicurezza pubblica.

La rabbia per l'ingiustizia, per l'indifferenza nei confronti di un essere senziente, cede il posto alla perplessità laddove si ponga alla mente che un animale non è un accessorio, nè una necessità, ma quando si decide di entrarvi a contatto, diventa destinatario di doveri dell'umano, una responsabilità dell'umano verso un 'incapace'... per sempre. E a tacere dell'esigenza di pensarci, ripensarci e ripensarci ancora prima di cedere alla voglia di un pelosino, qualche volta perchè succubi di mode o emotività, sarebbe bene evitare di condannare a morte un animale e trovare soluzioni alternative. Sbattuto improvvisamente da solo in strada non sopravvive: questo è certo.

Il Tribunale locale aveva istruito il processo sulla base delle dichiarazioni testimoniali, dei riscontri circa persone e cose (colore e tipo di auto di proprietà dell'imputato). La sentenza regge al vaglio della Corte di legittimità e il condannato-ricorrente è stato condannato anche alle spese del procedimento di Cassazione, nonchè alla somma 'punitiva' di ulteriori 1.000,00 alla Cassa ammende per la ritenuta inammissibilità del ricorso proposto alla Suprema Corte.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2014) 12-03-2014, n. 11865

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo - Presidente -

Dott. SAVINO Mariapia G. - Consigliere -

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -

Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 9894/2009 TRIB.SEZ.DIST. di AFRAGOLA, del 09/10/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

1. Il Tribunale di Napoli Sezione distaccata di Afragola, pronunciando, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, nei confronti dell'odierno ricorrente C.G., con sentenza del 9/10/2012 lo dichiarava responsabile del reato di cui all'art. 727 c.p. per l'abbandono di un cane sull'autostrada Caserta- Napoli all'altezza dell'uscita Afragola-Frattamaggiore, condannandolo alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese di giudizio.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato, con l'ausilio dei propri difensori, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultando i detti vizi sia dalla sentenza impugnata sia dalle risultanze processuali ossia dalle prove emerse dall'istruttoria dibattimentale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente ripercorre con dovizia di particolari la testimonianza resa dalla teste dell'accusa, evidenziando tutte quelle che a suo avviso sono le contraddizioni e le circostanze che minerebbero l'attendibilità della stessa. Detti elementi, a suo dire, sarebbero stati trascurati e/o valutati in maniera errata dal Giudice.

Evidenzia ancora la contraddittorietà della motivazione in relazione all'elemento rappresentato dall'età dell'imputato identificato dal teste come un soggetto di età molto più giovane rispetto a quella dell'imputato.

Ancora rileva l'illogicità della sentenza impugnata in relazione alla valutazione dell'inattendibilità delle testi della difesa ed alla ascrivibilita della responsabilità del reato all'imputato.

In ultimo evidenzia l'avvenuta estinzione del reato per decorso dei termini massimi di prescrizione.

Chiede, pertanto, accogliersi il ricorso con ogni pronuncia consequenziale.

1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.

2. Le doglianze proposte, ancorchè rubricate come mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione altro non configurano che una richiesta di rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione attraverso l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perchè trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).

Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, RV. 214794).

Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542) Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.

Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.

Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova" che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.

In altri termini, vi sarà stato "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato). Oppure dovrà essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrerà ancora ribadirlo - non spetta comunque a questa Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova.

Per esserci stato "travisamento della prova" occorre che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.

In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa.

Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.

Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza del Giudice Monocratico di Afragola alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali che, come detto, non è consentita in questa sede di legittimità.

Il Tribunale con motivazione specifica, coerente e logica ha, infatti, dato conto delle dichiarazioni testimoniali assunte, dei riscontri circa persone e cose (in particolare riguardo al colore e al tipo di auto di proprietà dell'imputato), nonchè del perchè abbia ritenuto l'una testimonianza maggiormente attendibile rispetto alle altre. In particolare, è stato evidenziato, come, a fronte di un compendio probatorio che individuava nel C. colui che era alla guida della Citroen Saxo, non fossero emersi elementi narrativo- descrittivi ovvero qualsivoglia riscontro oggettivo che valesse a supportare l'affermazione difensiva circa la presenza dell'imputato in altro e lontano luogo ((OMISSIS)) al momento della commissione del fatto.

3. Manifestamente infondato è anche il motivo attinente l'intervenuta prescrizione del reato.

Trattasi, infatti, di reato contravvenzionale che prevede un termine massimo di prescrizione, in presenza di atti interruttivi, di cinque anni.

Vanno poi computate le sospensioni della prescrizione:

- dal 24.2.2011 al 20.10.2011 (7 mesi e 26 gg.) a causa del rinvio operato su richiesta del difensore per concomitante impegno professionale;

- dal 20.10.2011 al 27.1.2012 (gg. 60) per rinvio determinato dall'impedimento per motivi di salute dell'imputato.

Il termine di prescrizione spirava, dunque, tenuto conto che è stata esclusa la contestata recidiva, il 5.1.2014, quindi in epoca successiva all'impugnata sentenza.

Nè può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a normadell'art. 129 c.p.p. (Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv.

217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell'8.5.2013, rv. 256463).

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2014




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