-  Bernicchi Francesco Maria  -  20/10/2016

Abbandono di persone incapaci: figlia imputato e padre vittima - Cass. Pen. 44089/16 - F.M. Bernicchi

Diritto penale

 

Abbandono di persone incapaci e minori

 

La figlia che abbandona il padre è responsabile anche se il padre non è sotto la sua custodia. I valori costituzionali della famiglia tutelano la stessa nella sua interezza.

 

Si prende in esame una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sez. V Penale, sentenza 2 maggio – 18 ottobre 2016, n. 44089) relativa al tema del reato di abbandono di persone minori e incapaci e dei suoi elementi costitutivi.

Il fatto, in breve: la Corte d'appello di Bari confermava la decisione di primo grado nei confronti dell'imputata, che l'aveva vista condannata a pena di giustizia per il delitto di abbandono di persone incapaci nei riguardi dei padre.

Presentava ricorso la difesa, lamentando l'errata applicazione di legge in relazione all'art 591 cp, poiché la Corte aveva mal interpretato la disposizione incriminante, che sarebbe integrata dal pericolo per l'incolumità fisica derivante dall'inadempimento dell'obbligo di assistenza, che non gravava sull'imputata, in quanto il padre non era affidato alla sua custodia.

La parte censurava anche l'errata applicazione della stesso art 591 cp, in riferimento all'assenza di dolo, poiché i Giudici non avevano valutato che la donna era nell'impossibilità di assistere il padre in quanto impegnata nell'assistenza di tre figli ed aveva avuto più gravidanze a rischio.

I giudici di Piazza Cavour, tuttavia, considerano infondato il ricorso.

Deve premettersi il solido orientamento di questa Corte riguardo ai presupposti necessari per l'integrazione del delitto de quo, individuati nel mantenimento di condotte contrarie all'obbligo giuridico di cura, gravante sul soggetto agente e nel verificarsi di uno stato di pericolo per il soggetto trascurato.

L'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 cod. pen., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità dei soggetto passivo)

Prima di esaminare la doglianza avanzata col primo motivo deve chiarirsi che dalle sentenze di merito emerge senza margini di dubbio lo stato di pericolo concreto per la salute, in cui era da lungo tempo il padre della ricorrente; tale condizione, presupposto dei reato in parola, del resto, è stata posta in discussione dal ricorso solo con inammissibili argomenti in fatto, attraverso un'interpretazione alternativa delle deposizioni T. e L..

Va, inoltre, osservato che il primo Giudice ha ampiamente motivato sul tema del dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo all'imputata verso il padre, tramite una corretta interpretazione sistematica delle norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale ( art 29 Cost), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale ( art 3 Cost), nonchè di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento ( art 433 cc).

A completamento della ricognizione normativa, sono state convenientemente citate le norme contenute nel codice civile sull'amministrazione di sostegno, dirette ai figli, per l'attivazione di meccanismi giuridici di protezione dei genitori non autonomi.

Tale congruo apparato motivazionale è stato richiamato dalla sentenza di Appello, andando così ad integrarne l'esposizione degli argomenti logico-giuridici giustificativi della decisione, che illustrano correttamente e razionalmente le ragioni per le quali in capo alla ricorrente è stato ritenuto l'obbligo giuridico di cura nei confronti del genitore, la cui violazione ha comportato, nel verificarsi degli altri presupposti di legge, la conferma della declaratoria di responsabilità penale.

La decisione risulta in tal modo in armonia con l'antico ma chiaro indirizzo di questa Corte, che ha ritenuto il valore etico sociale della sicurezza personale come bene/interesse tutelato dalla norma incriminante, senza porre limiti nell'individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di assistenza e cura.

La norma dell'art. 591 cod. pen. tutela il valore etico ­sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In questa prospettiva, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte. Ad ogni situazione che esige detta protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, sicché ogni abbandono diventa pericoloso e l'interesse risulta violato quando la derelizione sia anche solo relativa o parziale. (Nella fattispecie concernente sanitario che rivestiva la qualifica di assistente con incarico di reperibilità presso una clinica privata che, malgrado l'evidente gravità della patologia del paziente, poi deceduto, anziché intervenire prontamente, per sopperire all'inadeguatezza del medico di guardia, palesata dalla delicatezza dei caso, si era limitato a dare per telefono generiche indicazioni ed a suggerire di attendere l'evoluzione del quadro clinico.)

Quanto al secondo motivo, deve rilevarsene l'inammissibilità, in quanto ripetitivo rispetto alla uguale doglianza formulata in appello, alla quale la Corte barese ha adeguatamente risposto, sottolineando - in conformità all'orientamento di questa Corte - la necessità dei dolo generico, che nella fattispecie è stato esattamente ritenuto integrato tramite il congruo richiamo alle informazioni che l'imputata aveva avuto da due soggetti qualificati, come il medico e l'assistente sociale, circa le pessime condizioni di vita e di salute del padre.

La non manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso consente di rilevare l'eccepita prescrizione del reato, maturatasi il 29 Dicembre 2014.

Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza deve essere annullata senza rinvio per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.




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