Fragilita, storie, diritti  -  Redazione P&D  -  09/05/2022

Adozioni speciali. La storia di Luca Trapanese, papà di Alba

Single, cattolico, gay, oggi è papà di una bambina con sindrome di Down. Che ha adottato dopo l’abbandono da parte della madre. E poi ha scritto un libro per raccontare la sua versione dei fatti. E sfidare i pregiudizi. “Non giudico le coppie che l’hanno rifiutata, ma la ragione che sta dietro quei no: la paura della disabilità”

"Alba non è stata una seconda scelta. Se avessi potuto accedere al Registro delle adozioni, avrei comunque fatto domanda per un bambino con disabilità". Luca Trapanese, il 42enne single che nell’estate del 2017 ha preso in affido e poi adottato Alba, neonata con sindrome di Down non riconosciuta dalla madre alla nascita, non ha dubbi.

La legge italiana dà la possibilità ai single di adottare un bambino solo in alcuni casi particolari, quelli previsti dall’articolo 44 della legge 184 del 1983: uno di questi è la disabilità. Suona un po’ come una discriminazione, ma Trapanese non l’ha vissuta in questi termini. "La legge non è discriminatoria, è vecchia e fa riferimento a una famiglia che non esiste più", dice. "Io sono a favore dell’adozione da parte di uomini e donne singoli, al di là dell’orientamento sessuale, perché ci sono tante persone che, pur non avendo una relazione, possono essere ottimi genitori". Trapanese ha una lunga esperienza con la disabilità: nel 2007 ha fondato a Napoli l’associazione A ruota libera onlus per dare alle persone disabili la possibilità di socializzare, coltivare talenti, integrarsi, oltre a una comunità per ragazzi orfani e disabili, una scuola di recupero di antichi mestieri per giovani disagiati e una casa-famiglia per bambini con gravi patologie.

Quando ha ricevuto la telefonata del Tribunale era fine luglio, Alba aveva poco meno di un mese di vita e già diverse famiglie ne avevano rifiutato l’adozione. La prospettiva per la bambina era quella di rimanere in ospedale e poi in istituto. Trapanese l’ha accolta in affido, in attesa che si trovasse una famiglia adottiva,: perché i giudici cercavano una mamma, per quella bimba così piccola. "Se a settembre avrete trovato una madre, non sarò io a impedire che Alba ne abbia una", racconta nel libro. "Ma sono qui perché voglio una famiglia e in autunno farò domanda di affido preadottivo e adozione".

LEI STAVA GIÀ PENSANDO A UN FIGLIO PRIMA DI ALBA, CON IL SUO COMPAGNO. POI HA SCELTO DI ADOTTARE DA SOLO.

Con il mio compagno stavamo pensando all’adozione o alla maternità surrogata. Quando la relazione è finita, dopo undici anni, ho deciso di andare avanti da solo, perché sentivo un forte desiderio di paternità ed ero pronto a vivere una nuova fase della mia vita. Ma ho riflettuto per cinque mesi, prima di consegnare il modulo di richiesta. Ero consapevole che si trattava di una scelta definitiva, da cui non sarei più tornato indietro.

QUANDO L’HA PORTATA A CASA ALBA AVEVA UN MESE, È STATO DIFFICILE GESTIRE UN BAMBINA COSÌ PICCOLA, DA SOLO?

Mi aiuta una tata, come capita a tante mamme e papà che lavorano. E poi gestire Alba è semplice: è molto serena, allegra e piena di vitalità. Non ci sono stati momenti critici, forse una notte o due. Dicono che tra i bambini e la mamma si crei un legame fin da quando sono nella pancia. Tra me e Alba c’è stata subito un’intesa: eravamo soli e dovevamo collaborare.

COM’È STATO IL PRIMO INCONTRO CON ALBA?

Una grande emozione: ho realizzato in quel momento che sarei diventato padre. La stavo prendendo in affido, quindi non c’era la certezza legale che poi sarebbe rimasta con me, ma ero sicuro che l’avrei adottata: le coppie che avevano detto “no” alla sua adozione erano tante e la scelta era tra me e una casa famiglia.

COME GIUDICA TUTTI QUEI “NO”?

Non giudico quelle famiglie, ma cosa c’è dietro a quei rifiuti. Le coppie che arrivano all’adozione spesso sono fragili, molte non sono riuscite ad avere figli e sono esaminate dai servizi sociali, a cui devono dimostrare di poter essere buoni genitori. Magari aspettano anni e poi le chiamano per una bambina con sindrome di Down. Credo siano stati rifiuti sofferti, perché hanno dovuto dire no a una neonata e non capitano spesso bambini così piccoli. Ma dietro a quei rifiuti c’è una società impreparata alla disabilità, c’è la paura e l’ignoranza.

 




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