Amministrazione di sostegno  -  Redazione P&D  -  23/04/2023

Amministratori di sostegno: basta col volontariato, occorre un ordine professionale - Barbara Pavarotti

Lo chiedono gli stessi amministratori di sostegno, almeno quelli più preparati, competenti e impegnati: questa situazione non può continuare. E’ ormai urgente e indifferibile una regolamentazione di quello che ormai – inutile fingere – è diventato, se lo si fa bene e con coscienza, un impegno a tempo pieno. Ovvero una professione.

Già, perché a quasi 20 anni dalla nascita della legge, acqua ne è passata sotto i ponti. Se all’inizio gli amministratori di sostegno erano pochi, ormai sono centinaia di migliaia. E, quando si raggiungono queste cifre, non basta più essere considerati dei buoni samaritani volontari. Occorrono professionalità, formazione e chiarezza del ruolo.

Cos’è l’amministratore di sostegno oggi? Non si sa. Non si limita a gestire il “patrimonio”, sia che si tratti di una pensioncina o di proprietà sostanziose. E’ diventato un  tuttofare: badante, caregiver, colf,  infermiere,  psicologo, mediatore di conflitti, amico carezzevole e, nel contempo, gestore dei soldi.

In pratica dei super eroi, perché non può esistere al mondo una persona che racchiuda tutte queste competenze.

Poi sono gli unici pubblici ufficiali in Italia (nominati da altri pubblici ufficiali, ovvero i giudici) che devono lavorare gratis. Troppo facile istituire un pubblico ufficiale a cui lo Stato non versa un soldo, visto che hanno anche enormi responsabilità con possibili ricadute civili e penali. Impegno gratis. A parte qualche rimborso ottenuto dai soldi dell’amministrato. Non esiste. Gli ads li deve pagare lo Stato, se li vuole, visto che li ha istituiti per legge. Altrimenti salta baracca e burattini e ciao agli ads, come del resto chiede all’Italia dal 2016 lo specifico Comitato Onu. 

E’ arrivato il momento di un inquadramento ordinistico degli amministratori di sostegno, se devono continuare a esistere. Ovvero devono far parte di un Ordine professionale, che comporta un codice deontologico, commissioni disciplinari per eventuali abusi, e un periodo di praticantato di due anni, con esame finale di Stato. E l’obbligo di regolari corsi di formazione, come per tutti gli iscritti a un albo professionale.

La legge del 2004 dice altro? Ok, ma le leggi si devono anche adeguare alla realtà, non sono immutabili, altrimenti saremmo ancora fermi alle leggi razziali.

L’appartenenza a un Ordine darebbe maggiori garanzie e tutele, anche sindacali. E un tariffario. Il lavoro gratis si chiama sfruttamento.

E questo deve valere anche per gli amministratori di sostegno familiari, spesso impreparatissimi. Uno non si può svegliare una mattina e dire: “faccio l’ads di nonno”. No. Deve dimostrare di averne la preparazione, le doti e le qualità necessarie e anche tempo e disponibilità per il caro congiunto. Non ficcare il beneficiario in mezzo a mille altri impegni: figli, partner, lavoro, vacanze. I permessi per la 104 sono soggetti all’obbligo di stare col disabile. Idem dovrebbe essere per l’ads familiare. Se non hai tempo perché hai mille altre cose di cui occuparti, non fai l’ads. Se poi lo vuoi fare solo per mollare il congiunto in una struttura con la piena autorizzazione del giudice, credendo così di esserne diventato il padrone a norma di legge, è bene proprio che questo si eviti alla grande.

Né al momento, in sede di ricorso introduttivo, viene verificato se l’aspirante ads abbia le doti adatte. Che sono empatia, competenza, professionalità. A un’anziana sarda addirittura fu assegnato come ads il figlio bipolare, il quale si guardò bene dal dirlo al giudice tutelare. Conseguenze disastrose.

I ricorsi introduttivi sono un unicum nel sistema giudiziario italiano. Permettono affermazioni dell’aspirante ads prive di ogni riscontro. La frase classica con cui si invoca l’ads è la “prodigalità forsennata”, in genere non corredata da alcuna prova. Naturalmente c’è il certificato medico, a volte privato, che attesta che la persona non è capace di capire nulla. Ma chiediamoci se basta questo a imporre a costui una figura che scelga tutto al posto suo, anche andando contro la sua volontà.

Quanti anziani vengono istituzionalizzati senza il loro consenso? Migliaia. 

Purtroppo, a volte,  anche le leggi nate con le migliori intenzioni devono fare i conti con la realtà.

Ormai esistono troppi ads improvvisati, che fanno danni ed evadono alla grande la legge. Il controllo dei giudici tutelari? Siamo seri. Per gli ads familiari in pratica non esiste, e i gt sono sommersi, non ce la fanno proprio a controllare tutti i tutelati.

Ecco, quando accade che tutti si lamentano, per un motivo o per un altro, una legge va rivista. Gli ads si lamentano che fanno troppo, gli amministrati si lamentano di essere privati di ogni diritto, i familiari si lamentano che l’ads non gli dà mai retta. I Gt si lamentano che hanno troppo lavoro.

E’ ovvio che qualcosa non funziona. La negazione è quanto di peggio possa esserci. Questa legge non può essere “un grande ombrello” sotto cui accade di tutto. Servono regole chiare anche per i decreti di nomina. X deve sapere a cosa va incontro quando sceglie di sottoporre un congiunto ad ads. E lo deve sapere prima della nomina. Servono  dunque maggiore chiarezza e limiti ben precisi ai compiti degli ads.

Oggi, invece, si parla genericamente del “bene” del beneficiario. E qui si apre un altro capitolo doloroso. Come può un’unica persona, l’ads, decidere quale sia veramente il bene del beneficiario? Dovrebbe stabilirlo il gt in accordo con l’ads. Ma non accade. Succede fin troppe volte che il gt venga informato tardivamente delle decisioni dell’ads e tenda ad avallarle, senza nemmeno ascoltare il beneficiario. Ma Gt e ads  non sono medici, psichiatri. Come può la legge stabilire il bene di un soggetto fragile, se – anche troppo spesso – non vengono consultate figure specializzate?

Intorno al fragile dovrebbe nascere un’equipe, composta da psichiatri, psicologi, dovrebbe essere lo stesso gt a chiederlo. Non accade. Da qui la considerazione che forse i tribunali non sono il luogo adatto per gestire la vita di un fragile. Ogni volta che un anziano viene trascinato in tribunale senza capire nemmeno cosa gli sta accadendo è una sconfitta.  Chi ancora si illude che agli anziani venga spiegato tutto per bene sbaglia alla grande.

Chi scrive, personalmente, è favorevole alla nomina di un ads solo nel caso in una persona non abbia alcuna rete familiare/amicale di supporto. E nel caso in cui ci siano sospetti di abusi in famiglia.

E poi perché gli ads devono essere nominati a vita, senza un adeguato periodo di prova? In tutti i lavori esiste il periodo di prova , in genere di sei mesi.

La confusione è qui: nel non volerlo considerare un lavoro, quando invece è tale, se lo si fa con scienza e coscienza, professionalità e rigore.

Rimane il fatto che affidare a un’unica persona la vita di un’altra, per chi scrive, è sconvolgente.

Per questo è assolutamente necessario che almeno l’affidamento sia delegato a un membro di un Ordine professionale. Servono regole e chiarezza. Così la situazione rischia di esplodere. Basta col volontariato, serve competenza. E la competenza si paga. Lo Stato deve assumersi questa responsabilità.

Non è arrivato il momento, dopo quasi 20 anni, di rivedere in toto la situazione? Rimanere ancorati al passato è dannoso. Sempre. Senza un inquadramento ordinistico si aprono abusi di ogni genere e improvvisazioni. Nocive all’immagine degli ads e agli amministrati.  All’inizio tante cose non servono, poi dipende dalla domanda e dall’offerta.

Esempio: la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti è del 1963, quando ci si è resi conto che questa figura professionale andava inquadrata (e ora andrebbe rifatta, ovviamente, alla luce delle nuove tecnologie).

Quasi 20 anni di ads non sono sufficienti per capire che la regola del “bene del beneficiario” non basta più? Che è quanto di più vago ci sia visto che la scelta del “bene” è affidata al giudizio di una sola persona? Che ci sono abusi e violenze, in assenza di un codice deontologico e di un Ordine professionale che li sanzioni?

E volete sapere altri punti dolenti? Non si sa quanti siano gli amministrati in Italia.  Non esiste una banca dati specifica presso il Ministero della Giustizia. O almeno non viene resa nota. Chi scrive l’ha chiesto e richiesto senza risposta. Forse mezzo milione, ha detto il professor Cendon nel 2020. Ora saranno aumentati, è ovvio.

Altro enorme punto debole sono i giudici tutelari, i quali non hanno termini per rispondere alle istanze di chi segnala scorrettezze degli ads e chiede il loro intervento. Possono rispondere dopo mesi o mai. Eppure hanno in mano le vite di chi non ha più tempo, quindi dovrebbero essere estremamente solleciti. Hanno un ruolo delicatissimo, ma hanno troppo da fare. Chiediamoci quindi ancora una volta se sia giusto affidare anziani e fragili a una giustizia ingolfata da sempre.

Ultima nota, se permettete. Ha senso una legge che coinvolge i parenti fino al quarto grado (in genere mai visti e conosciuti) e non figure amicali, di sostegno da sempre vicine al beneficiario? No. Il concetto di famiglia è cambiato profondamente in questi anni. Esistono amici molto più vicini al fragile degli stessi figli. La legge si deve adeguare anche a questo e ammettere nel procedimento chiunque possa dimostrare di essere vicino al beneficiando.

Chi scrive è stata accanto a un uomo per 13 anni,  con lunghi periodi di convivenza accertati dagli stati di famiglia, è sua coniuge per legge in base alla legge Cirinnà, ma, essendo diventata tale dopo la nomina dell’amministratore di sostegno, non conta nulla. L’ads, dopo averlo ricoverato in una casa di riposo privata, vieta a me e a tutti gli amici in comune di vederlo da 12 mesi. Entrambi moriremo senza più alcuna possibilità di incontrarci. E’ normale questo? No. Eppure succede, grazie al potere immenso dato dalla legge agli ads. Una domandina sarebbe il caso di farsela, se non si vuole buttare tutto al macero, ma salvare una figura, gli amministratori di sostegno, che in tanti casi si è rivelata utilissima e in altri disastrosa. Ordine professionale subito, altrimenti è un dramma.

Insomma, i  punti deboli ci sono. Non poterne discutere e non riconoscerli non è democrazia, ma arroccamento su posizioni  a volte indifendibili.

Grazie a “Persona e danno” che, nel pubblicare questo articolo, dimostra apertura e sensibilità.




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