-  Redazione P&D  -  18/09/2015

ASSENZA PER MALATTIA E SCARSO RENDIMENTO: IPOTESI DIVERSE DI LICENZIAMENTO - Cass. n. 2904/15 - Ilaria FORTINA

- assenza per malattia

- licenziamento illegittimo

- risarcimento dei danni

Licenziamento per scarso rendimento. Questa la motivazione addotta dal datore di lavoro ed alla base della risoluzione del contratto in essere con il lavoratore.

D"obbligo le premesse che hanno portato ad una tale decisione in capo all"azienda ricorrente.

Un lavoratore assunto da un"azienda di trasporti si era ripetutamente assentato dal luogo di lavoro per malattia senza che però tali assenze superassero il periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva.

Il datore di lavoro procedeva quindi al licenziamento del lavoratore sulla base di motivazioni legate alla condotta disciplinare del lavoratore. Riteneva in particolare che le prolungate e multiple assenze dello stesso dovessero necessariamente configurarsi quale scarso rendimento.

Ed invero, quanto addotto dall"azienda ricorrente si basa su erronei presupposti che determinano fattispecie giuridiche distinte e che, pertanto, devono trovare distinte soluzioni.

La Suprema Corte rileva come l"ipotesi dello scarso rendimento è distinta da quella delle ripetute assenze per malattia che possono eventualmente determinare inabilità al servizio ovvero, in caso di superamento del periodo di comporto, giustificherebbero un licenziamento.

A tal proposito viene altresì evidenziato come la giurisprudenza della Corte sia unanime nel distinguere le due ipotesi e riservare, perciò, a ciascuna un diverso trattamento.

In particolare, le reiterate assenze del lavoratore per malattia non possono dar luogo ad un licenziamento ma possono eventualmente giustificare il recesso da parte del datore di lavoro solo se si protraggono oltre il periodo di tempo fissato dalla contrattazione collettiva ovvero, in assenza di previsioni in tal senso, deciso dal giudice secondo equità.

La distinzione ora effettuata è alla base della pronuncia in commento nonché la chiave di lettura necessaria a capire per quale motivo il licenziamento comminato al lavoratore è stato ritenuto illegittimo.

Partendo dalle premesse sopra enunciate è facilmente comprensibile come il datore di lavoro abbia erroneamente qualificato la condotta del lavoratore come passibile di licenziamento per scarso rendimento quando, in realtà, la normativa al riguardo dice tutt"altro. Analizzando la legislazione al riguardo, infatti, gli Ermellini hanno avuto modo di precisare come, anche in questo caso, la giurisprudenza della Corte è sempre stata costante nel ritenere l"ipotesi dello scarso rendimento diversa e separata da quella di inabilità conseguente ad una lunga e perdurante malattia. Ipotesi questa chiaramente applicabile alla fattispecie da cui prende origine il procedimento de quo.

Da ciò evidentemente consegue la nullità del licenziamento comminato e la relativa reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Ulteriore precisazione a tal proposito riguarda proprio quest"ultimo punto.

Ed invero l"azienda datrice di lavoro contesta la non applicabilità dell"art. 18 l. 300/70 ai contratti degli autoferrotranvieri, categoria cui il lavoratore appartiene.

Motivo di doglianza respinto dalla Suprema Corte che afferma che, sempre secondo orientamento giurisprudenziale consolidato, le disposizioni contenute nell"art. 18 sopra richiamato sono dotate di efficacia espansiva e pertanto devono applicarsi a tutte le ipotesi di invalidità del licenziamento.

Conclude pertanto la Corte con il rigetto delle doglianze avanzate dal datore di lavoro confermando, per l"effetto, la riammissione in servizio del lavoratore ed il risarcimento dei danni in suo favore.




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