-  Storani Paolo  -  21/09/2013

ASSICURAZIONE VS. ART. 696 BIS C.P.C.: 0-1 - Chiara PARZIANELLO

Quando Chiara Parzianello ha inviato a P&D questo suo articolo/saggio o saggio articolo, sono stato incerto se inserirlo nel lemma 'Malpractice medica' o nella voce in cui lo trovate catalogato, vale a dire 'Giustizia civile'.

Inutile sottolineare che l'argomento dell'accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. è nevralgico.

Curiosamente mi sono trovato a sostenerne in un saggetto la non assoggettabilità alla procedura della mediazione, che ritorna proprio oggi, 21 settembre 2013, obbligatoria.

Nella chiusa del contributo, ricco di giurisprudenza dei tribunali di Mantova, Reggio Emilia e Bari (oltre a quella di Milano), si ricorda che "poco importa, allora, se anche il legislatore ha voluto valorizzare l'istituto in parola con il recentissimo d.l. 69/2013, escludendo l'a.t.p. con finalità conciliative dal novero dei procedimenti per i quali è previsto, quale reintrodotta condizione di procedibilità, il tentativo di mediazione; tanto sia nell'uno che nell'altro caso i pazienti che si assumono danneggiati si vedranno comparire (forse) l'ospedale e la propria compagnia d'assicurazioni che, bellamente, dichiareranno laconicamente di non essere né colpevoli di alcunchè né -tantomeno- disponibili a conciliare, con buona pace dei migliori intenti deflattivi dei processi e del contenzioso in genere".

Leggiamo, quindi, con avidità quest'altro articolo dell'Autrice che segue quello recente sul Decreto Balduzzi che P&D ha pubblicato appena il 6 settembre 2013, ma stavolta sotto il lemma 'Malpractice medica, colpevolezza, causalità'. (Paolo M. Storani)

 

Assicurazione vs art. 696 bis c.p.c.: 0-1 - Chiara Parzianello

 

La recente partecipazione ad un'udienza nel corso di un procedimento per accertamento tecnico ex art. 696 bis c.p.c. mi ha messo nuovamente di fronte all'immotivata e perseverante ripugnanza che provano le aziende sanitarie e le loro compagnie d'assicurazioni nei confronti della promozione di tale procedura.

Ovviamente si discuteva di malpractice medica, per un presunto ritardo diagnostico di un carcinoma mammario: dunque un caso in cui -e chi ha una seppur minima esperienza di giudizi in tema di responsabilità medica non lo negherà- il disaccordo sulla questione tecnica che contrappone, guarda caso, le opinioni dei periti delle parti non sarà risolvibile in altro modo che con una consulenza di un medico-legale super partes.

Lo strumento scelto dalla ricorrente, neanche a dirlo, è quello che il legislatore ha puntualmente disciplinato agli artt. 696 bis e ss. del Codice di Procedura Civile; ben inteso, agli atti erano allegati sia un'approfondita perizia medico- legale di parte, che i vari referti medici dai quali desumere, secondo l'istante, l'allegato ritardo di diagnosi.

Apriti cielo. Le difese avversarie (Compagnia d'assicurazione e Ospedale) hanno spaziato dall'"accusa" di abusare (?) di tale mezzo processuale, asseritamente scelto al solo fine di accelerare i tempi del giudizio (dimenticando che un giudizio di cognizione potrebbe ancora iniziare), sino alla più mite eccezione d'inammissibilità dell'istanza ex art. 696 bis c.p.c., la cui proponibilità sarebbe invece limitata ai soli casi in cui sia pacificamente ammesso l'an e residui una divergenza di opinioni in merito al quantum. Praticamente mai, se solo si pensa che per mero spirito attendista, chi nella fase stragiudiziale abbia ammesso la propria responsabilità, magari in "via riservata e personale", potrebbe allora costituirsi nel procedimento ed esporre esattamente il contrario, prendendosi gioco così della parte in buona fede e facendo cadere la procedura intera; il tutto, s'intende, senza alcuna conseguenza.

Questa, peraltro, non sarebbe attività processuale inutile? Quella per la cui eliminazione tanto ci battiamo?

La nota curiosa, poi, è che nel sostenere tali tesi, i convenuti regolarmente riportano un estratto di una sentenza del Tribunale di Milano, l'unica in tal senso, ma che probabilmente ha già raggiunto il record di pronuncia maggiormente diffusa negli atti di aziende sanitarie e compagnie d'assicurazioni, secondo cui "la richiesta di consulenza tecnica preventiva ai sensi dell"art. 696 bis c.p.c. può trovare accoglimento se finalizzata alla composizione della lite per cui suo unico presupposto è che la controversia tra le parti abbia come unico punto di dissenso ciò che, in sede di processo di cognizione, può costituire oggetto di consulenza tecnica, acquisita la quale secondo le preventivamente dichiarate intenzioni delle parti, appare assai probabile che esse si concilieranno" (Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in GI, 2007, 234).

Pazienza se il panorama giurisprudenziale, nel frattempo, si sia costantemente evoluto:

- nel ritenere "estremamente riduttiva un'interpretazione della portata di detto istituto che ne limitasse l'ammissibilità ai soli casi in cui tra le parti non vi siano contestazioni in merito all'an della pretesa e si controverta esclusivamente in merito al quantum dell'importo dovuto a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale. È infatti lo stesso articolo 696 bis, citato, a prevedere testualmente che la verifica demandata al consulente possa essere estesa, oltre che alla determinazione dei crediti, anche all'accertamento della loro esistenza e ciò, ovviamente, nei casi in cui detto accertamento presupponga indagini non limitate a mere valutazioni giuridiche, ma richieda anche valutazioni di natura tecnica per le quali il giudice necessita dell'ausilio di un esperto" (Trib. Mantova, 26 marzo 2010, in www.ilcaso.it);

- oppure nell'ammettere che "adottare l"interpretazione secondo cui l"operatività della norma presupporrebbe il preventivo accertamento in sede giudiziale dei diritti delle parti significherebbe vanificare la funzione dell"istituto, rendendolo di fatto utilizzabile nei casi limite in cui, accertati per altra via i diritti delle parti, la lite permanga su aspetti marginali. Per contro, proprio il contrasto in atto tra le parti in ordine ai rapporti tra loro esistenti e, quindi, la sussistenza di una situazione di incertezza relativamente ai rispettivi diritti e obblighi giustifica il ricorso alla procedura in esame" (Trib. Bari, sez. III, 21 maggio 2012);

- infine, nel sostenere che, a voler attribuire valenza decisoria alle dichiarate intenzioni delle parti "si determinerebbe da un lato l"inconcepibile effetto di rimettere alla mera discrezionalità della controparte la concreta applicabilità dello strumento processuale (consentendo al resistente la possibilità di paralizzare la richiesta ex art. 696 bis c.p.c. semplicemente dichiarando l"insussistenza di alcuna disponibilità alla conciliazione) e dall"altro priverebbe di senso giuridico la previsione di cui al citato articolo, laddove è previsto che "il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti" (previsione che esclude il requisito della necessarietà del tentativo conciliativo)"(Trib. Reggio Emilia, ord. 20 dicembre 2010).

Gli esempi, gran parte dei quali citati anche in questa stessa rivista, potrebbero continuare.

Nel caso di specie, ad ogni modo, il Giudice ha ammesso la consulenza richiesta, seppur non nascondendo di simpatizzare, in un certo senso, per le tesi proposte dall'assicurazione. E' chiaro che l'accoglimento del ricorso con una simile disposizione d'animo lascia l'amaro in bocca.

Poco importa, allora, se anche il legislatore ha voluto valorizzare l'istituto in parola con il recentissimo d.l. 69/2013, escludendo l'a.t.p. con finalità conciliative dal novero dei procedimenti per i quali è previsto, quale reintrodotta condizione di procedibilità, il tentativo di mediazione; tanto sia nell'uno che nell'altro caso i pazienti che si assumono danneggiati si vedranno comparire (forse) l'ospedale e la propria compagnia d'assicurazioni che, bellamente, dichiareranno laconicamente di non essere né colpevoli di alcunchè né -tantomeno- disponibili a conciliare, con buona pace dei migliori intenti deflattivi dei processi e del contenzioso in genere.




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