-  Bonomo Donatella M. E.  -  26/05/2011

AUTOLESIONE DELL'INCAPACE: CONTATTO SOCIALE E OBBLIGHI DI PROTEZIONE – Donatellla M. E. BONOMO


In origine, la giurisprudenza riconosceva tutela ex art. 2043 c.c., per la lesione che si fosse auto procurato il soggetto incapace naturale. Questo inquadramento rendeva particolarmente gravoso, per il danneggiato, l"onere della prova; in quanto il leso doveva riuscire a dimostrare la riconducibilità del danno alla colpa del soggetto al quale veniva affidato (dovendo, in particolare, fornire la prova della colpevolezza nel comportamento del sorvegliante; quale espressione di questo orientamento, ad esempio: Cass. Civ. Sez. III, 13.05.1995, n. 5268, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1996, I, 239).

Nel 1997 le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Civ. SU, 11.08.1997, n. 7454, in Danno e Resp. 1998, 260) – presumibilmente con l"intento di alleggerire l"onere della prova a carico del danneggiato incapace - hanno ricondotto la fattispecie entro la regolamentazione del disposto di cui all"art. 2047 c.c., qualora il soggetto leso fosse un incapace naturale o, in alternativa, al disposto di cui all"art. 2048 c.c., nel caso di sola incapacità legale del danneggiato. In sostanza - mantenendo la convinzione di trovarsi dinnanzi ad una lesione riconducibile ad una responsabilità di tipo extracontrattuale - la nostra giurisprudenza ha ritenuto che l"obbligo di sorveglianza, previsto dai summenzionati articoli, fosse posto anche a tutela dello stesso sorvegliato.

Già nel 2002, in realtà, le Sezioni Unite - (Cass. Civ. SU, 27.06.2002, n. 9346, in Giust. Civ. 2002, c. 2414) - sono tornate nuovamente a pronunciarsi sul tema, e – in questa occasione - hanno offerto una nuova lettura della fattispecie, riconoscendo una responsabilità del sorvegliante riconducibile alla regolamentazione dello schema "contrattuale". Attraverso la nuova impostazione della Corte è stato possibile non aggravare l"onere probatorio a carico del danneggiato incapace ed, al contempo, consentire di svincolare la fattispecie dalla regolamentazione degli artt. 2047 e 2048 c.c. (anche in ragione delle ampie discussioni generate in dottrina sull"applicazione per analogia di questi articoli al di fuori della responsabilità verso terzi). Secondo questa nuova prospettiva, dunque, i citati articoli avrebbero quale obiettivo una "tutela rafforzata" solo a favore dei terzi danneggiati per opera di un soggetto incapace, e non troverebbero operatività laddove il danneggiato fosse lo stesso sorvegliato incapace naturale o legale.

Il particolare caso all"esame delle Sezioni Unite (Cass. Civ. SU, 27.06.2002, n. 9346, in Giust. Civ. 2002, c. 2414) aveva ad oggetto il danno patito da un minore, affidato alla vigilanza delle insegnanti. La svolta per la soluzione della questione, offerta dalla Corte, è riconducibile all"affermazione di una responsabilità, che trova la sua regolamentazione in ambito contrattuale, la quale trova origine a seguito del "contatto sociale qualificato" tra i protagonisti della relazione. Al momento del contatto tra le parti del rapporto sorgono, a carico degli insegnanti/vigilanti, degli obblighi di protezione a favore del minore affidato alle loro cure. Il riconoscere una responsabilità derivante da contatto sociale - per la lesione del soggetto affidato alla cura ed assistenza di un sorvegliante/insegnate - conduce, dunque, a riferirsi alle regole ed ai criteri tipici della responsabilità contrattuale, e porta a ritenere applicabile l"art. 1218 c.c., ai fini dell"individuazione della distribuzione dell"onere probatorio tra le parti in conflitto. In sostanza alla presunzione degli articoli 2047 c.c. 2048 c.c. - a carico del soggetto al quale venga affidato l"incapace - viene a sostituirsi la presunzione, a carico del debitore della prestazione, di cui all"art. 1218 c.c. in tema di responsabilità contrattuale. Nonostante in tema di distribuzione dell"onere della prova tra le parti in conflitto, la scelta di far ricorso all"art. 2047 c.c. o art. 2048 c.c. in luogo dell"art. 1218 c.c., potrebbe anche non avere grandi risvolti da un punto di vista pratico, è possibile, tuttavia, mettere in rilievo come, a ben vedere, le conseguenze dell"inquadramento della fattispecie in ambito contrattuale o extracontrattuale non si esauriscano, in via generale, esclusivamente nel differente onere probatorio.

Infatti si ricorda la diversa regolamentazione relativa alla durata del termine di prescrizione dell"azione di risarcimento (la quale in caso di responsabilità contrattuale è soggetta, in linea di massima, al termine di prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 c.c.; mentre in caso di responsabilità extracontrattuale è soggetta al termine abbreviato, ai sensi dell"art. 2947 c.c. 1°c. e 2°c., con possibilità di allungamento del termine nel caso in cui il fatto dannoso costituisca reato, ex art. 2947 c.c., 3°c.); nonché la differente disciplina sulla risarcibilità del danno imprevedibile (risarcimento, dunque, ammissibile laddove ci si trovi dinnanzi a responsabilità extracontrattuale, escluso ex art. 1225 c.c., salvo inadempimento doloso, in caso di responsabilità contrattuale).

La giurisprudenza sembra ormai definitivamente orientata in questa direzione (v. Cass. Civ., 03.03.2010, n. 5067, in Banca dati De Jure Giuffrè; Cass. Civ. Sez. III, 18.07.2003, n. 11245, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2004, I pt, 491). Infatti - salvo qualche oscillazione, soprattutto, nella giurisprudenza di merito – questa impostazione è stata avvallata anche da un"altra pronuncia più recente delle Sezioni Unite nel 2008 (Cass. Civ. SU, 11.11.2008, n.26972/3/4/5, in Resp. Civ. Prev. 2009,1,38). La citata pronuncia riferendosi espressamente ai c.d. contratti di protezione, inoltre, individua in questi casi una responsabilità di tipo "contrattuale", ed afferma che il risarcimento debba comprendere anche l"eventuale danno non patrimoniale (laddove, questo, possa essere espressione di grave offesa a diritti inviolabili della persona riconducibili a posizioni di rilievo costituzionale).

La teoria del contatto sociale qualificato ha avuto ampio seguito, in giurisprudenza, in ambito sanitario (prima affermazione in tal senso: Cass. Civ. Sez. III, 22.01.1999, n. 589, in Giust. Civ. 1999, I, c. 999; a cui seguono le affermazioni di: Cass. Civ. SU, 11.01.2008, n. 577, in Giust. Civ. 2009,11, I, 2532; Cass. Civ. Sez. III, 26.01.2010, n. 1538, in D&G 2010); seppure la dottrina in argomento spesso offra, per le medesime questioni, letture differenti e maggiormente articolate. Le nostre Corti ne hanno fatto un richiamo frequente in relazione, soprattutto, alla responsabilità del medico dipendente della struttura sanitaria, o inserito organicamente nella stessa (si ricorda, infatti, come in tal modo si sia posto fine alla disputa sulla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità del summenzionato medico). In questo senso si afferma in giurisprudenza che il rapporto giuridico tra paziente e struttura ospedaliera (pubblica o privata) sia da ricondurre al c.d. contratto di spedalità (il quale viene in essere, tra questi ultimi soggetti, all"atto dell"accettazione). Le prestazioni oggetto di questo rapporto non si esauriscono solo nella semplice fornitura di servizi alberghieri, ma si estendono alla tutela della salute e, più in generale, della posizione della persona malata, nel senso più ampio del termine. In relazione al rapporto tra medico e paziente, invece, si afferma come attraverso il contatto sociale qualificato - che si istaura tra lo stesso paziente ed il medico, al quale il malato si affidi per la cura della propria salute - si generino una serie di obblighi accessori, i quali si vanno ad aggiungere alla prestazione principale di cura ed, entro i quali si collocano gli obblighi di protezione del medico, a largo spettro, nei confronti del proprio paziente.

Attraverso la teoria del "contatto sociale qualificato" è stato possibile riconoscere una forte tutela per quelle lesioni che – anche in considerazione della loro stessa natura – generalmente venivano ricondotte entro l"area aquiliana del torto. Il rafforzamento della tutela, per il soggetto danneggiato, avviene proprio mediante il collegamento alla disciplina contrattuale; tutto ciò è stato reso possibile attraverso la valorizzazione del momento nel quale viene a sorgere il rapporto, ossia il momento del "contatto" tra i due soggetti, anteriore alla stessa prestazione. In questo genere di rapporti, infatti, la particolare relazione che si istaura tra le due parti è potenzialmente idonea ad incidere, in modo rilevante, sulla posizione dei soggetti coinvolti. Al fine di tutelare i summenzionati soggetti dai rischi di lesione della propria sfera giuridica, ci si collega ai c.d. "obblighi di protezione", i quali – a loro volta – trovano base nel principio di "buona fede" e nei complementari obblighi di correttezza comportamentale, che, giuridicamente imposti (art. 1175 c.c.), devono governare l"intero svolgimento del rapporto sin dalle origini, ossia già nella fase di contatto tra le parti. Tutto ciò risulta funzionale a contenere i rischi; dunque, a mantenere immune la sfera giuridica delle parti da possibili lesioni derivanti dallo stesso, peculiare, rapporto contrattuale.
Riportando, nuovamente, l"attenzione sui soggetti incapaci naturali è possibile concentrarsi in particolare sui soggetti che si trovino in tale stato a causa di una patologia psichica. Infatti, in questo genere di patologia, non è un"ipotesi infrequente il ricorrere di gesti autolesionistici (di diverso genere ed entità, dei quali gli eventuali tentativi di suicidio rappresentano una delle estrinsecazioni più estreme della sofferenza psichica). Vi è inoltre da tenere presente come il rapporto tra medico e paziente sia sempre un rapporto di estrema fiducia tra le parti, ma in ambito psichiatrico è possibile ammettere come la relazione tra psichiatra e paziente affetto da malattia mentale sia estremamente delicata.

In questo genere di rapporto, non si può nascondere come, il ruolo della fiducia e affidamento, del paziente al proprio medico, acquisti, nei fatti, un"ancora maggiore particolare intensità di significato. Seguendo tali premesse è ammissibile riconoscere ampi doveri di protezione, in capo ai medici psichiatri, nei confronti dei propri pazienti affetti da patologia psichica; almeno in relazione alla fascia di pazienti che siano stati presi in carico, effettivamente, dai Servizi di cura e dai medici che prestino all"interno, degli stessi Servizi, la loro opera (v. Trib. Trani, 06.11.2006, n. 1137, in www.personaedanno.it).

L"affermazione di una responsabilità contrattuale, per violazione degli obblighi di protezione, è abbastanza costante nei confronti degli insegnanti (o del personale scolastico in genere), in caso di lesioni di minori durante l"orario di frequenza delle lezioni o durante la permanenza negli asili (v. Cass. Civ., 03.03.2010, n. 5067, in Banca dati De Jure Giuffrè; Cass. Civ. SU, 11.11.2008, n.26972/3/4/5, in Resp. Civ. Prev. 2009,1,38; Cass. Civ. Sez. III, 18.07.2003, n. 11245, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2004, I pt, 491).

Obblighi contrattuali di protezione potrebbero, anche, essere riconosciuti a carico di quelle strutture che si occupino di assistere persone non più autosufficienti, a causa dell"età avanzata o di patologie neurodegenerative le quali potrebbero essere idonee ad incidere, inoltre, sulle stesse facoltà volitive e cognitive dei soggetti che ne siano affetti.

Naturalmente è da chiarire come non ogni anziano, solo perché si trovi in questa fase della propria vita, debba necessariamente essere incapace di intendere e di volere; ma, laddove l"età avanzata e/o malattia si accompagni ad un"incapacità naturale del soggetto, l"eventualità di gesti auto e/o etero aggressivi dovrebbe essere tenuta in debito conto da parte delle strutture che accolgano questi soggetti bisognosi di assistenza. Tuttavia si segnala come la giurisprudenza, in un caso nel quale si è trovata a decidere sulla questione, non abbia colto l"occasione per attingere a questa lettura (Cass. Civ. Sez. III, 19.10.2007, n. 21972, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2008, fasc. 4, pt. 1, 506, con nota di A. Venchiarutti). Il caso presentato all"attenzione della Corte aveva riguardo ad un"aggressione da parte di un anziano affetto da demenza senile, ospite di una casa di riposo, nei confronti di un altro ospite, ricoverato nella medesima struttura. La Corte, infatti, conferma le sentenze di merito, senza alcun cenno ad eventuali obblighi di protezione a favore dell"ospite ricoverato e vittima del gesto aggressivo dell"altro ospite (riconosciuto incapace di intendere e volere al momento del fatto), venendo ad escludere ogni profilo di responsabilità sia extracontrattuale che contrattuale della stessa. La pronuncia non riconosce alcuna responsabilità di tipo extracontrattuale a carico della Struttura, in quanto esclude qualsiasi comportamento omissivo della stessa (in relazione alla dovuta sorveglianza ex art. 2047 c.c.) in ragione "dell"imprevedibilità" del gesto aggressivo posto in essere dal soggetto affetto da demenza senile. Senza necessariamente addentrarsi sull"opinabilità dell"asserita imprevedibilità di tali eventi in questo genere di contesti (la quale per altro è stata presa in esame in relazione alla configurabilità dell"obbligo di sorveglianza sul soggetto incapace), gli interpreti - (v. A. Venchiarutti, Invecchiando si torna bambini? Ipotesi di responsabilità civile di una casa di riposo, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2008, fasc. 4, pt. 1, p. 508 ss.) - non hanno mancato di mettere in luce come sarebbe stato auspicabile, in ogni caso, una maggiore attenzione, e una più dettagliata indagine, in relazione all"eventuale responsabilità contrattuale della struttura nei confronti dell"ospite vittima del fatto dannoso, con riferimento particolare ai relativi obblighi di protezione della sfera giuridica, verso quest"ultimo dovuti (nell"ambito del rapporto in essere tra la stessa struttura e l"ospite danneggiato).




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