-  Farina Massimo  -  12/07/2008

AUTORIZZAZIONE PER IL COMMERCIO ELETTRONICO: È NECESSARIA? - Massimo FARINA

Spesso, chi decide di svolgere attività di commercio elettronico si interroga sulla necessità, o meno, di richiedere autorizzazione secondo le regole stabilite dal d.lgs. n. 114/1998. Com’è noto tale fonte contiene la disciplina di riforma relativa al settore del commercio e prevede la necessità di autorizzazione al commercio per le medie e grandi strutture di vendita [1]. L'autorizzazione va richiesta al comune competente per territorio, il quale stabilisce il termine, comunque non superiore ai novanta giorni dalla data di ricevimento, entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego. 

Per le piccole strutture, invece, cosiddette “di vicinato” [2], il suddetto decreto prevede (art. 7) l’invio di una comunicazione al Comune di residenza (o della sede legale) e, trascorsi trenta giorni dalla ricezione da parte del Comune di detta comunicazione, il soggetto potrà legalmente iniziare a svolgere la sua attività. L’aspetto che in questa sede si vuole chiarire è relativo all’applicazione della suddetta disciplina anche ai negozianti del web ovvero se questi ultimi siano sottoposti a regole differenti. 

L’unico espresso riferimento al “commercio elettronico”, presente nel decreto, è contenuto nell’art. 20, ove si specifica che “il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato promuove l'introduzione e l'uso del commercio elettronico con azioni volte a:
a) sostenere una crescita equilibrata del mercato elettronico;
b) tutelare gli interessi dei consumatori;
c) promuovere lo sviluppo di campagne di informazione ed apprendimento per operatori del settore ed operatori del servizio;
d) predisporre azioni specifiche finalizzate a migliorare la competitività globale delle imprese, con particolare riferimento alle piccole e alle medie, attraverso l'utilizzo del commercio elettronico;
e) favorire l'uso di strumenti e tecniche di gestione di qualità volte a garantire l'affidabilità degli operatori e ad accrescere la fiducia del consumatore;
f) garantire la partecipazione italiana al processo di cooperazione e negoziazione europea ed internazionale per lo sviluppo del commercio elettronico. […]”.
 

La norma non contiene alcuna regola espressamente dedicata al regime autorizzatorio al quale sarebbero sottoposti i negozi virtuali. Potrebbe, allora, richiamarsi il precedente art. 18, rubricato “vendita per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione”. In effetti la rete Internet è, senza ombra di dubbio, un sistema di comunicazione, di conseguenza il riferimento residuale ad “altri sistemi di comunicazione” non può certo non far pensare al principale mezzo di comunicazione attualmente in uso. L’applicazione della disciplina contenuta nell’articolo in esame porterebbe quindi ad affermare che, per svolgere attività di commercio elettronico, è necessaria una preventiva “comunicazione al comune nel quale l'esercente ha la residenza, se persona fisica, o la sede legale”. Assolto tale obbligo, “l'attività può essere iniziata decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione”.


Se quanto fin qui ipotizzato risulta in perfetta armonia con il complessivo contenuto del decreto legislativo n. 114/98 non è affatto sufficiente per sostenerlo congruo con l’intero sistema delle fonti dedicate al commercio e soprattutto rispetto a quelle specificamente dettate per le attività di e-commerce. Da questo punto di vista, risulta doveroso il confronto con il Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, il quale rappresenta la principale fonte italiana (di derivazione comunitaria) che nel nostro ordinamento è dedicata alle attività di commercio elettronico: “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno”.
Ebbene, l’art. 6 del suddetto decreto, rubricato “Assenza di autorizzazione preventiva” dispone che “l’accesso all’attività di un prestatore di un servizio della società dell’informazione e il suo esercizio non sono soggetti, in quanto tali, ad autorizzazione preventiva o ad altra misura di effetto equivalente”. Al comma secondo la norma prosegue stabilendo che “sono fatte salve le disposizioni sui regimi di autorizzazione che non riguardano specificatamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione […]". Il tenore letterale della norma appare chiarissimo e dal combinato disposto delle due fonti in esame (d.lgs n. 114/98 e d.lgs. n. 70/2003) è ora possibile ricavare le seguenti regole. 

L’attività di commercio elettronico (servizio della società dell’informazione) non necessità, in se e per se considerata, di autorizzazioni; ciò in virtù della deroga introdotta con l’art. 6 del d.lgs. n. 70/2003. Se l’esercente commercio elettronico è contemporaneamente titolare di strutture commerciali “tradizionali”, quest’ultimo sarà soggetto al regime autorizzatorio disciplinato dal d.lgs. n. 114/98. Se la sua attività è definibile medio/grande, dovrà richiedere autorizzazione al Comune; se, al contrario, si tratta di piccola struttura (esercizio di vicinato) allora dovrà semplicemente comunicare l’inizio dell’attività. Di norma gli imprenditori che svolgono attività commerciale on-line, hanno già una struttura organizzata per attività commerciale “tradizionale”, pertanto già destinatari degli obblighi autorizzatori. Ciò non deve essere inteso, però, come applicazione di regime autorizzatorio per l’attività di e-commerce, in se e per se considerata, per la quale l’art. 6 suddetto dichiara, espressamente, non necessaria “autorizzazione preventiva ovvero “altra misura di effetto equivalente”.


[1] Le medie strutture di vendita sono, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. e) “gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto d)” (si veda nota successiva) “e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti”; la successiva lettera definisce le grandi strutture, in via residuale, come “esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto e)”.
[2] L’art. 4, comma 1, lett. d), definisce tali “quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti”.




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