Cultura, società  -  Redazione P&D  -  25/10/2021

Barbara Franceschini e i suoi ricordi   

Una vecchia conoscenza - “Eccoli, ognuno nel proprio angolo di stanza, indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita, schiacciati da un male ricevuto in dono. I miei fratelli.”  (Daniele Mencarelli, “Tutto chiede salvezza”). 

  Lui non lo sa, ma io conosco il Professor Cendon da circa tre decenni. 

  All’inizio della “mia” conoscenza Paolo Cendon non aveva sembianze umane: era fatto di carta e di inchiostro e per me era semplicemente “il Cendon”.

  Studiavo allora per prepararmi al concorso notarile e compulsavo maniacalmente i suoi testi. Ricordo in particolare un Commentario al Codice Civile da lui curato, la tela grigia e ruvida della copertina sotto le mie dita e il profumo della carta, spessa e porosa.

  Capitava di frequente che, di fronte ad un dilemma giuridico apparentemente senza soluzione, io e la mia compagna di studi ritenessimo decisivo un suo scritto: “Vediamo cosa dice il Cendon!”.

  Ho preso possesso della mia prima sede notarile, in un paesino nel mezzo della campagna mantovana, un paio di mesi dopo l’entrata in vigore della Legge n. 6/2004.

  La professione mi ha ben presto fatto capire di avere un debole per i deboli, mi ha fatto pensare che nel mio piccolo, nell’esercizio delle funzioni notarili, avrei potuto essere di qualche aiuto ai fragili e ai loro familiari, avrei potuto ascoltarli e trovare, o almeno cercare di trovare, soluzioni alle loro necessità, giuridiche e spesso pratiche.

  E così è nato l’interesse, lo studio e l’approfondimento continuo del trust, quale istituto privilegiato per realizzare le finalità di assistenza, sostegno, inclusione, socialità e per recuperare la centralità della persona fragile, non in contrapposizione bensì in completa sinergia con l’amministrazione di sostegno e, nel prossimo futuro, con il cendoniano progetto esistenziale di vita.

  Basti pensare al trust istituito in previsione del tempo in cui i familiari non potranno più occuparsi ed assistere la persona fragile, ma anche al trust istituito ed operante qui e subito, perché spesso i bisogni sono immediati, il sostegno deve essere attuale e non si può aspettare.

  Coloro che sono afflitti da malattie genetiche neurodegenerative, ad esempio, ricorrendo al trust prima che si presentino le conseguenze più terribili delle loro patologie, come il declino cognitivo o problemi psichiatrici o l’incapacità di comunicare, hanno la possibilità di organizzare ed approntare intorno a sé un sistema che permetta loro e ai loro cari di continuare ad andare avanti.

  Così facendo, la persona fragile può continuare a dire la sua anche in un periodo successivo al sopravvenire di un’incapacità che renderebbe ciò, allo stato attuale, giuridicamente impossibile.




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