-  Redazione P&D  -  16/09/2014

BELGIO: CONCESSA L'EUTANASIA AD UN DETENUTO SENZA SPERANZA

 Da 30 anni era rinchiuso in carcere e da 4 chiedeva di poter ottenere la dolce morte. A Frank Van Den Bleeken, 52 anni, stupratore seriale e assassino, è stato riconosciuto dalle autorità belghe il diritto ad accedere all"eutanasia per porre fine alle sue "sofferenze psichiche insopportabili".

Mai uscito dal carcere negli ultimi 30 anni, se non un"unica volta per partecipare al funerale della madre, l"uomo, secondo quanto ha riferito ai media il suo avvocato, ha ricevuto l"autorizzazione a lasciare nei prossimi giorni il penitenziario di Bruges per essere trasferito in un ospedale. Qui, nell"arco di 48 ore, dopo avergli lasciato il tempo di ricongiungersi con i familiari, i medici gli somministreranno la "dolce morte".

Van Den Bleeken non aveva mai chiesto di essere rimesso in libertà, essendo conscio di essere un pericolo per la società, e dopo tre decenni di detenzione senza uno spiraglio il dolore psicologico si è fatto insostenibile.

Questa vicenda pone notevoli dubbi dal punto di vista etico e giuridico.

Quella applicata in Belgio è una forma di eutanasia attiva (o positiva o diretta) e consiste nel determinare o accelerare la morte di un paziente, che ne ha reso esplicita la richiesta, mediante un"azione diretta dell"operatore sanitario come l"iniezione di farmaci letali quali barbiturici ad azione rapida, un"elevata dose di cloruro di potassio che induce arresto cardiaco, curarici o narcotici.

L"ordinamento legislativo dell"eutanasia in Belgio si caratterizza: a) per il riconoscimento del ruolo esclusivo del medico nell"applicazione dell"eutanasia o nell'assistenza al suicidio; b) per l"esigenza che la richiesta del malato sia volontaria e ponderata; c) per la necessità che si riconosca che la sofferenza del malato sia insopportabile e non suscettibile di essere in alcun modo alleviata.

La legge belga fa esplicito riferimento anche alla sofferenza psicologica, oltre che fisica. In Belgio è attribuito pieno valore al testamento biologico, ove esiste e quando esso richieda esplicitamente l"eutanasia.

Non volendo approfondire il versante etico della vicenda, si può porre l"accento sulla condizione carceraria in cui la persona si trovava ristretta, che forse ha determinato una sorta di istituzionalizzazione tale da far considerare a Van Den Bleeken il carcere come l"unico spazio per la propria esistenza.

La parola «riabilitazione» che è usata di frequente nel contesto carcerario, sembra che in questa ipotesi non abbia fatto nemmeno capolino e non si comprende entro che limiti la scelta del condannato sia stata forzata da un avvitamento esistenziale piuttosto che da un"effettiva libera scelta.




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