-  Ricciuti Daniela  -  21/08/2016

Burqa e burkini da un lato e dall'altro - Daniela Ricciuti

Tolleranza, integrazione, libertà e eguaglianza versus xenofobia, islamofobia, illiceità, pregiudizio

 

Non si è parlato di altro, in questi giorni, sui quotidiani, nei telegiornali, finanche in barca e sotto l'ombrellone.

Forse anche troppo, dato che il tema ha scalzato dalle prime pagine persino le notizie su guerra in Siria, avvenimenti in Turchia, questione libica e su altre di analogo tenore, come pure quelle sulle vicende politico-istituzionali ed economiche del Paese e dell'Unione (scientemente?). Addirittura delle Olimpiadi si è parlato di meno - è quanto dire!

Sulle spiagge di Cannes è scoppiato il caso del burkini (o burqini), particolare costume da bagno inventato in Australia, con enorme successo (di pubblico e di guadagni), per consentire alle donne musulmane di non rinunciare ad immergersi nell'acqua, e a nuotare e praticare sport più agevolmente, pur nel rispetto delle proprie regole e tradizioni.

E' stato addirittura occasione di scontri e violenze tra bagnanti, tant'è che è dovuta intervenire la Forza pubblica.

E pensare che su quelle stesse spiagge, tempo fa, erano apparsi i primi, rivoluzionari, bikini!

La questione ha diviso opinione pubblica, politica nazionale e politiche di governo: su fronti opposti le idee di chi ci amministra, come pure di chi liberamente esprime il proprio pensiero in proposito; diverse anche le soluzioni adottate dai vari Stati europei.

In contrasto la posizione di Francia, che li ha vietati e sanzionati, e Gran Bretagna, il cui atteggiamento è improntato al tipico pragmatismo british e ad una riuscita realtà di integrazione.

In Italia si è preferito evitare di adottare azioni che potessero essere lette come provocazioni e costituire pretesto (come se ce ne fosse bisogno!) per atti di fanatismo, in un momento in cui lo spettro del terrorismo incombe e nessuno si sente più al sicuro.

Le ragioni della polemica.

Da un lato, le rivendicazioni della libertà di culto e del rispetto dei canoni della propria religione e tradizione, che si intendono conservare e preservare anche lontano dalla terra d'origine. Prerogative incontestabilmente riconosciute da tutte le Costituzioni dei Paesi ‟civili". Dall'altro, le altrettanto legittime istanze volte a garantire l'osservanza di regole e principi - quali uguaglianza e libertà - inderogabili, acquisiti, insiti nella cultura e nell'ordinamento giuridico dei Paesi ospitanti, i quali non possono tollerare manifestazioni di coercizione fisica o simbolica, nè di sottomissione (tra l'altro) di genere (cosiccome non possono che condannare e vietare pratiche brutali crudeli e violente, pur se radicate nella cultura e nell'identità di altri popoli, quali le mutilazioni genitali femminili).

Da un lato, si contesta una disparità di trattamento tra le diverse religioni, laddove ci si chiede quale sarebbe la reazione se a presentarsi in spiaggia tanto coperte, fossero suore; dall'altro, si replica che il punto non è la quantità di stoffa che copre il corpo femminile (la muta da sub è ammessa allo stesso modo del topless), bensì la facoltà delle interessate di più o meno coprirlo, come frutto di libera scelta, anzichè del retaggio di una cultura e tradizione (che, dal punto di vista occidentale, è) inaccettabilmente arcaica, maschilista, oppressiva, dato che fortemente limita o azzera del tutto la libera autodeterminazione delle donne, cui è vietato mostrarsi se non agli uomini della propria famiglia.

Da un lato - ancora - obiezioni di igiene (ad es., il divieto di immergersi nelle piscine pubbliche con indumenti addosso e senza osservare le comuni norme igienico-sanitarie, come prima aver fatto la doccia); obiezioni ritenute, viceversa, superabili con semplici accorgimenti di pulizia, e contestate da chi non trova giusto vedersi preclusa la possibilità di praticare sport a causa di un abbigliamento conforme alle regole della propria cultura e religione.

Da un lato - infine - ragioni di sicurezza, posto che sotto quegli abiti si teme possano celarsi strumenti di morte e di terrore; d'altro canto, si risponde che il rilievo sarebbe superabile con la previsione di perquisizioni, ove vi fosse la necessità, effettuate da agenti del ‟gentil sesso".

Perchè la questione è scoppiata adesso? d'estate? con riferimento ad un abbigliamento il cui uso è necessariamente limitato, anche e non solo nel tempo?

Le suddette ragioni e riserve valgono a maggior ragione per il burqa, che viene indossato da molte più donne e per tutto l'anno; eppure, con riferimento allo stesso - nonostante i contrasti non siano del tutto sopiti, - non siamo allo stato di parossismo raggiunto con riferimento al burkini.

Chi ha ragione?

Secondo i generali principi di diritto, gli opposti diritti e interessi vanno equamente bilanciati e contemperati.

I diritti di libertà e eguaglianza sono principi fondamentali, derivanti dallo ius naturale prima ancora che dal diritto positivo.

Ma la stessa concezione giusnaturalistica non nega che lo stato di natura, come stato di libertà e di uguaglianza, sia tuttavia già regolato dalle leggi di ragione, imprescindibili perchè si realizzi la convivenza tra gli uomini e la costituzione della società civile. In mancanza, homo homini lupus", concetto antico e condiviso: dal pensiero dei classici (Plauto, Seneca) alla dottrina degli ecclesiastici medioevali fino alla filosofia moderna (Hobbes, Schopenhouer).

Difatti è la legge naturale che impone il rispetto del principio (fondamentale nel diritto civile e nel diritto internazionale) per cui ‟pacta sunt servanda", che è alla base della necessaria premessa dell"ipotesi contrattualistica che fonda lo Stato sul consenso.

Pertanto la libertà incontra limiti insopprimibili in canoni altrettanto validi e non revocabili in dubbio, quali il rispetto dei diritti altrui, il ‟neminem laedere", la liceità derivante dalla non contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume.

Ed allo stesso modo il principio (anch'esso costituzionale) di eguaglianza va correttamente declinato ed inteso alla stregua del principio di ragionevolezza, per cui occorre trattare allo stesso modo situazioni analoghe ed invece in maniera diversa differenti condizioni e contesti.

Ma è sempre possibile attuare il giusto ed equo contemperamento e bilanciamento dei contrapposti diritti e interessi? è possibile in questo caso, in tutti i casi? o talvolta, per forza di cose, non è in concreto realizzabile?

Inoltre la regola classica dell' ‟aurea mediocritas", alla cui stregua ‟est modus in rebus" (diceva Orazio), è sempre in grado di fornire risposte adatte e di offrire le soluzioni più opportune?

Come si può garantire che ciò avvenga?

Buon senso? Pragmatismo? Rigore? Tolleranza?

Cosa è giusto?




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film