-  Redazione P&D  -  31/07/2012

CARCERI: L'EMERGENZA INFINITA - Luigi MANCONI

Giusto un anno fa, Giorgio Napolitano, nel suo intervento a un convegno promosso dai Radicali, definiva le condizioni del sistema penitenziario italiano "una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile". Tanto è rimasto inascoltato il grido di allarme del Capo dello Stato che, a distanza di 12 mesi, quell" "urgenza" è diventata, se possibile, ancora più drammatica. E i due suicidi nelle carceri di Lecce e Roma, nel corso delle ultime ore, ne sono la più crudele conferma. Fosse accaduta d"inverno, non è che questa tragedia sarebbe stata meno tragedia.

È vero, tuttavia, che il particolare periodo, la calura insopportabile e l"idea conseguente di un universo chiuso che si fa sempre più oppressivo e soffocante costituiscono uno scenario fatale, dove la pena della privazione della libertà diventa annichilimento dell"esistenza. A causa delle condizioni disumane in cui - si fa per dire - si vive o a causa - ancora si fa per dire - della scelta di darsi la morte. Il caldo c"entra perché tutto ciò che nella vita delle persone libere costituisce un dato ordinario (il tempo, l"attesa, la fatica…) si trasforma in un tratto parossistico all"interno della struttura carceraria. Dunque, il clima diventa in quelle celle un fattore patogeno e, allo stesso tempo, criminogeno. Ovvero produce malattia e, facendo precipitare le condizioni igienico-sanitarie, riduce gravemente l"assistenza medica e i servizi terapeutici. Ed esalta l"aggressività, rendendo la promiscuità già intollerabile ancora più intollerabile; ed esaspera la penuria di spazio movimento agibilità, ammassando i corpi e addensando i respiri e i sudori. E come può tutto ciò, non tradursi in reciproca sopraffazione, violenza latente, accumulo di tensione e di odio? Come può non riprodurre all"infinito il meccanismo del crimine? I dati forniti dall"Osservatorio della benemerita associazione Ristretti Orizzonti documentano in maniera tanto inequivocabile quanto straziante, questo  scialo di vita e di dignità e questa dissipazione di diritto e di diritti: nel corso del solo mese di luglio di quest"anno, 5 detenuti impiccati, uno morto nel carcere di Siracusa dopo 25 giorni di digiuno, un internato nell"ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ucciso dal compagno di cella, un altro in quello di Barcellona Pozzo di Gotto, asfissiato con il gas, altri 5 reclusi deceduti per non meglio precisate "cause naturali". Dunque, nel corso del 2012, il totale delle morti tra i detenuti sale a 94 (34 per suicidio) e il mese di luglio ha registrato il maggior numero di decessi degli ultimi quindici anni. A ciò si aggiunga che, sempre nel corso di quest"anno, si sono registrati 7 suicidi tra appartenenti alla Polizia Penitenziaria: segno davvero incontrovertibile di una crisi che coinvolge l"intero sistema di esecuzione della pena, legando custodi e custoditi – pur nell"insuperabile distinzione dei ruoli – al medesimo destino di frustrazione e disperazione. Ora, se questo è il quadro di una realtà da nessuno contestata, come spiegarsi il fatto che si tolleri il suo perpetuarsi nel tempo?  Siamo in presenza, come non si stancano di denunciare i Radicali di Marco Pannella, di una condizione di conclamata illegalità: non porvi riparo e non interromperne il corso equivale – oltre che a perpetuare quelli che la Convenzione dei diritti dell"uomo chiama "trattamenti inumani e degradanti"–  a una serie di fattispecie penali. Quali il mancato soccorso, l"omissione di atti d"ufficio e l"omessa vigilanza, l"abuso di potere. Eppure, tutto ciò lascia indifferente la gran parte della classe politica. Il motivo principale è semplice: interessarsi della condizione delle carceri non è remunerativo sul piano politico e può essere gravemente penalizzante sul piano elettorale. Questo spiega perché mai una misura, prevista dalla Costituzione e indispensabile in una condizione di emergenza come quella attuale – mi riferisco all"amnistia – venga censurata quasi fosse un termine scandalosamente impronunciabile. La ragionevolezza di un simile provvedimento, irrinunciabile al fine di introdurre quel minimo di normalità che possa consentire riforme strutturali, viene confermata dal favore mostrato dal Ministro della Giustizia e dallo stesso Capo dello Stato. Entrambi hanno riconosciuto che, se l"amnistia non può essere varata, è perché mancano le "condizioni politiche": ovvero il consenso di quei partiti che ne temono il contraccolpo elettorale. Eppure, nemmeno questa spiegazione è sufficiente: se vi fosse un"intesa unanime o quasi, anche i possibili effetti negativi di un provvedimento impopolare si distribuirebbero, più o meno equamente, lungo l"intero arco dei partiti. Ma, questo è il punto, alcuni di quegli stessi partiti, preferiscono investire su alle ansie collettive, che il carcere confusamente evoca, e si fanno imprenditori politici della paura. Si pensi al fatto che un provvedimento, certo parziale, quale l"indulto del 2006 è stato presentato come un micidiale attentato alla sicurezza pubblica: e invece, quella misura, oltre ad aver recato sollievo temporaneo a un sistema penitenziario sovraffollato, ha registrato una percentuale di recidiva (detenuti beneficiari dell"indulto che reiterano il reato) notevolmente bassa. A riprova che la sicurezza collettiva non discende da un surplus di afflizione ("chiudere la cella e buttare via la chiave") bensì dalla possibilità di garantire dignità e diritti e un percorso di integrazione sociale, a chi è recluso. Si diceva: l"amnistia può servire a ripristinare condizioni di normalità, che consentano una profonda riforma del sistema penitenziario. La direzione è già stata indicata, oltre che dall"attuale ministro della Giustizia e dal Capo dello Stato, dalle diverse commissioni di riforma del codice penale, istituite nel corso dell"ultimo quindicennio dai governi di centrodestra e di centrosinistra. Si tratta di procedere  verso la de-penalizzazione e la de-carcerizzazione: ovvero verso la riduzione del numero di atti, comportamenti e situazioni definiti come fattispecie penali; e di ridurre il numero dei reati sanzionati in via esclusiva o principale attraverso la detenzione in cella. Questo, e solo questo, può impedire che quella strage silenziosa, che avviene al riparo dal nostro sguardo, si perpetui all"infinito.

Tratto da Il Messaggero del 31 luglio 2012




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