-  Converso Rosaria  -  20/11/2012

CAROSELLI TRIBUTARI: TRA BUONA FEDE ED INCONSAPEVOLEZZA - Rosaria CONVERSO

Con la legge 516/82, meglio nota come "manette agli evasori", si puniva l'emissione e l'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti a prescindere dai risultati delle dichiarazioni iva e dei redditi. Come precisa la relazione governativa al d.lvo 74/2000, il legislatore delegato del 2000, in omaggio alla delega, ha abbandonato la scelta propria della legge 516/82 di anticipare la repressione penale ai fatti prodromici all'evasione tributaria, e ha, in questa prospettiva, limitato la punizione «ai soli fatti direttamente correlati (...) alla lesione degli interessi fiscali, con correlata rinuncia alla criminalizzazione delle violazioni meramente formali e preparatorie», concentrando così «l'attenzione sulla dichiarazione annuale prevista ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, quale momento nel quale si realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione d'imposta».

Il delitto di cui all'art. 2, d.lvo 74/2000 si configura allorchè per mezzo di fatture per operazioni inesistenti, soggettivamente o oggettivamente, si indicano in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte dirette o all'Iva elementi passivi fittizi al fine di evadere dette imposte.

L'inesistenza è oggettiva quando le parti abbiano documentato un'operazione mai posta in essere, quindi inesistente in rerum natura, oppure abbiano creato documentazione relativa ad una operazione che, seppur realmente avvenuta, è stata documentata per quantitativi superiori rispetto a quelli effettivamente verificatisi. L'inesistenza soggettiva si configura, invece, allorché la fattura - o il documento equipollente - riporti l'indicazione di nominativi diversi rispetto agli effettivi partecipanti all'operazione imponibile. Alle operazioni soggettivamente inesistenti vengono normalmente ricondotte le ipotesi di interposizione fittizia o simulata e quelle di interposizione reale o fiduciaria, con le conseguenti problematiche di una loro qualificazione in termini di penale rilevanza. Un'ipotesi nota e frequente, nella prassi, di interposizione fittizia è rappresentata dalle c.d frodi carosello, che si realizzano allorchè tra due diversi operatori commerciali viene fittiziamente inserito uno soggetto intermediario. Quest"ultimo, che di regola è una "cartiera", non verserà l'Iva dovuta, che sarà, invece, detratta dall'effettivo acquirente del bene. Appare evidente che trattasi di operazione soggettivamente inesistente in quanto, in tema di Iva, la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l'effettività dell'acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa utilizzatrice delle fatture e, dall'altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesima. A differenza di quanto disposto dalla legge 516/82, il falso rilevante è solo quello che incide sul cessionario, deve cioè essere diretto a consentire l'evasione delle imposte all'utilizzatore. Il falso che cade sul cedente entra, infatti, nell'orbita applicativa dell'art. 8 d.lvo 74/2000.

La situazione del contribuente (nel caso specifico, il cessionario) che, nolente o volente, si ritrova coinvolto in un carosello fiscale non è delle più felici. La prova dell"estraneità ai fatti - contestagli in ragione dell"art. 2, d. lgs. 74 del 2000 - non è affatto semplice. Il più delle volte l"intero castello accusatorio si fonda, infatti, su illazioni e congetture dell"Amministrazione Finanziaria, ma di per sé sufficienti, per il Giudice Penale, a fondare l"iscrizione del soggetto, sottoposto ad accertamento finanziario, nel registro degli indagati.

Giudice Tributario e Giudice Penale sembrano parlare due diverse lingue e l"impressione che il soggetto sottoposto al loro giudizio ne trae è quella di essere giudicato due volte per il medesimo fatto, in forza di regole che sono - tra loro - agli antipodi.




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