-  Redazione P&D  -  29/11/2016

Cartella clinica incompleta: a chi spetta la prova? Cass. Civ. 22639/16 - Maria Zappia

La Suprema Corte cassa con rinvio una pronuncia della Corte di Appello di Napoli in materia di responsabilità sanitaria affermando con brevissima ma incisiva motivazione: - che la difettosa tenuta della cartella clinica consente al giudicante il ricorso a presunzioni semplici in ordine alla responsabilita"; - che in materia di malpractice medica vige il principio della vicinanza della prova in ordine al riparto degli oneri processuali. 

In ogni processo per responsabilità sanitaria, determinante, ai fini della ricostruzione del nesso causale, è l"esame della cartella clinica del danneggiato. In essa difatti sono documentati: la diagnosi che ha determinato l"insorgere del rapporto di cura, i dati anamnestici del paziente, i dati giornalieri sul decorso della malattia, i risultati delle indagini diagnostiche, le analisi cliniche, le terapie praticate. La disciplina di riferimento relativamente ai doveri di documentazione del sanitario è il DPR n. 128 del 27.3.69 che all"art. 7 attribuisce al primario la responsabilità della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione, fino alla consegna all'archivio centrale. Relativamente al personale paramedico, è il DPR 14 marzo 1974 n. 225 che prescrive agli infermieri specifici doveri di annotazione relativamente alle operazioni di assistenza compiute sui soggetti sottoposti alle cure mediche. Nel caso all"esame della Corte di legittimita", il soggetto danneggiato aveva subito due interventi chirurgici dei quali il secondo, altamente demolitivo, mirato alla remissione di una complicanza derivata, da presunto errore professionale verificatosi nel corso del primo intervento. Ad avviso della Corte territoriale l"incompletezza della cartella clinica compilata proprio in occasione della originaria prestazione medica determinava l"impossibilità di risalire all"eventus damni e di comprendere la reale portata della prestazione medica resa dai sanitari in occasione del secondo intervento. La domanda veniva quindi rigettata sul presupposto che gli oneri probatori non fossero stati compiutamente assolti dal paziente danneggiato. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso e rinviando il processo ai fini della corretta decisione ad altra sezione della Corte partenopea, ha riproposto, arricchendoli col richiamo ad altra Giurisprudenza, due fondamentali assiomi in materia di ripartizione degli oneri probatori nei casi di malpractice medica: il primo riguarda la responsabilità della tenuta della cartella clinica che ove incompleta determina una prova presuntiva a sfavore del sanitario; il secondo è incentrato sul principio di prossimità della prova.

In ordine al primo principio la Corte chiarisce che sia pur nell"adempimento dei doveri ancillari alla cura in senso stretto, il sanitario è tenuto ad adempiere a specifici doveri di diligenza; egli pertanto risponde a titolo di responsabilità professionale anche nelle ipotesi in cui la censurabilità del comportamento attenga solamente all"omessa o irregolare tenuta della cartella clinica.

L"altro postulato, e cioè quello della prossimita" della prova, tende alla distribuzione degli oneri probatori secondo un principio che, in deroga alla regola di cui all"art. 2697 cc., pone l"onere fondamentale del processo sul soggetto che effettivamente e non astrattamente si trova in prossimità sostanziale rispetto all"acquisizione della prova. Nel caso specifico è dunque il medico che deve offrire al giudicante la prova di aver correttamente eseguito la prestazione perchè egli è effettivamente in grado di enucleare con precisione i dati relativi al proprio agire, non certo la parte danneggiata che si trova in obiettive difficoltà nel ricostruire gli eventi. Il principio, di elaborazione giurisprudenziale, è il portato di analitiche esplicitazioni dei doveri di correttezza e buona fede nell'adempimento delle obbligazioni, sia ex delicto che ex contractu, laddove sotto il profilo processuale si correla al giusto processo ed ai doveri di lealtà e probità delle parti sia nel rapporto reciproco che nei riguardi dell"organo terzo onde garantire un sereno ed obiettivo pronunciamento super partes.




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