-  Redazione P&D  -  04/07/2005

Cass. 4.7.2005, n. 18266, Pres. Morelli, rel. Genovese - ANCHE LE INDAGINI PRELIMINARI DEVONO DURARE UN TEMPO RAGIONEVOLE

non si può, in via generale ed assoluta, escludere la fase delle indagini preliminari del processo penale dall’ambito di tutela previsto dall’articolo 6, paragrafo 1, della citata Convenzione europea e, nel nostro ordinamento nazionale, dalla legge n. 89 del 2001.

La nozione di causa, o di processo, considerata dalla Convenzione dei diritti dell’uomo, cui ha riguardo l’articolo 2, comma 1, della citata legge nazionale, s’identifica, infatti, con qualsiasi procedímento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustìzia per l’affermazìone o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezíone facente capo a chi il processo promuova o subisca.

Processo, in tal senso, è dunque anche la fase delle indagini che precedono il vero e esercizio dell’azione penale, le quali perciò, ove irragionevolmente si siano protratte nel tempo ben possono assumere rilievo, aí fìni dell’equa riparazione.


La fase delle indagini preliminari, caratterizzata dalla raccolta degli elementi necessari al magistrato per determinarsi in ordine all’esercizio dell’azione penale deve avere una durata strettamente necessaria al compimento di una tale determinazione.


Per questo il legíslatore ha previsto limiti cronologici al loro. contemperando l’interesse dello Stato alle ìnvestigazioni con quello dell’indagato a restare, in un lasso di tempo determinato (diversificato in ragione della natura del reato che forma oggetto di quelle), nella condizione di persona assoggettata alle indagini.


Non é un caso che la facoltà di disporre una proroga dei detti termini spetti non al Pm ma al giudice, il quale dovrà valutare l’esistenza dei presupposti e delle condizioni per accordarla e, comunque, a vigílare sul ríspetto del termine massimo dei due annì di indagíne.


Questi limiti, di per sè, individuano già la ragionevole durata massima di una síffatta fase ed essi dovranno essere considerati e valutati dal criteri stabiliti dall’articolo 2, comma 2, Pínto per valutare l’esistenza della violazione (complessità del caso, comportamento delle parti e del giudice non ché di ogni altra autorità chiamata a concorrere o a contribuire alla definizione del procedimento) .


Se è vero che il procedimento per le indaginI preliminari si caratterizza per una diffusa riservatezza, onde può darsi (fra le varie figure ipotizzate dalla dottrina) una situazion fattuale tipica in cui, non essendovi spazio per il compimento dei cd. <atti garantiti> (o cioè di atti che prevedono come obblígatoria la partecípazione del difensore), il procedimento nel suo complesso rimanga pienamente riservato, così che esso si svolga e si concluda all’insaputa dell’ìndagato, è pur vero che, anche in tale ipotesi, può darsi una decisa “sterzata” verso la sua conoscenza, attraverso l’esercizio del diritto (proprio dell’interessato) ad essere informato dell’iscrizione nel registro degli índagati.


Infattì, anche in tale particolare ipotesi (diversa da quella in cui sono necessari atti <garantiti» o da quell’altra in cui le indagini prendono avvio con l’adozione di una pre cautela o con l’applicazione di misura cautelare), lo status di indagato può essere conosciuto per iniziativa dell’interessato il quale, ne ha notizia, anche informale (ad esempio, a mezzo degli organi di stampa), dell’avvio di una investigazione, che lo riguarda o può riguardarlo, può far ríchiesta che gli venga comunicato se il suo nome risulti nel registro delle notízie di reato.

Ad “esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti dí cui all’articolo 407, comma 2, lett. a), le iscrizioni previste dai commi 1 e 2 sono comunìcate alla persona alla quale il reato è attrìbuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta» (articolo 335, comma 3, cod. proc. pen.), salvo che (comma 3bis), per specífiche esigenze attinenti all’attívità di indagine, il PM disponga con decreto motivato il segreto sulle iscrizioni. Ma anche tale ultima ipotesi di compressione del diritto dell’indagato non può durare oltre i tre mesi.


Così, ai sensi dell’articolo 110 bis disp. att. cod. proc. pen., «quando vi è richiesta di comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato (?) la segreteria della Procura della Repubblica, se la risposta è positiva, e non sussistono gli impedimenti a rispondere fornisce le ínformazionì».


In ogni caso, la riservatezza delle indagini (o quindi la conoscenza dello stato di indagato) può durare unicamente il tempo fissato dalla legge per il loro compimento, non essendo previsto che essa possa protrarsi anche per il tempo conseguente alla proroga dei termini dí durata delle indagini. Infatti «la richiesta di proroga è notifícata, a cura del giudice alla persona sottoposta alle indagini nonché alla persona offesa dal reato» (articolo 406, comma 3) attribuendosi all’indagato «la facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione» (salva l’eccezione delle indagíní relative a delitti dì criminalità organizzata, suscettibili di essere prorogate all’ìnsaputa dell’interessato).

Inoltre, l’índagato ha diritto ad essere informato della conclusione delle indagini, quando il magistrato del pubblico ministero non si sìa già determínato a richiedere l’archiviazìone (articolo 415 bis).



 
 




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