-  Redazione P&D  -  11/05/2010

Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11353, pres. Varrone, rel. Vivaldi – IL GIOVIN ATTORE E LA PERDITA DI CHANCE

Deve osservarsi che la domanda di risarcimento dei danno proposta è fondata proprio sulla illegittimità del provvedimento di esclusione: illegittimità che il giudice amministrativo ha riconosciuto sussistere per difetto di motivazione dello stesso provvedimento, e per la mancanza del quorum integrale dei componenti la Commissione esaminatrice; e la cui decisione, non impugnata, è intervenuta a distanza di tempo (due anni dall'esclusione).
E' di tutta evidenza che il tempo trascorso e la stasi artistica subita dall'allievo, e non più rimediabile attraverso la ripetizione di una prova del tutto inutile nell'economia della sua preparazione tecnica - così come riconosciuto dalla Corte di merito - siano stati direttamente e causalmente ricollegabili ala condotta della Fondazione, a nulla rilevando la natura dei vizi riconosciuti al provvedimento adottato. [… ] La Corte di merito, infatti, non ha mai detto questo, tanto è vero che, dopo avere indicato un primo titolo di responsabilità risarcitoria nel fermo artistico di tre anni subito dal G., ha ritenuto che ulteriore aspetto di responsabilità della Fondazione dovesse essere individuato nella condotta tenuta successivamente alla sentenza del giudice amministrativo, in relazione alle modalità esecutive del giudicato.
Quindi, la Corte di merito ha correttamente e motivatamente ricondotto il grave pregiudizio, sia al provvedimento illegittimamente adottato dal Teatro dell'Opera, sia al comportamento successivo alla sentenza amministrativa definitiva posto in essere dallo stesso, con la fissazione della prova, singola di esame dell'allievo a distanza di oltre tre anni, con un preavviso di tempo molto ridotto, in termini di giorni, oltretutto con un differimento ulteriore rispetto all'originaria data fissata.
Condizioni tutte tali da non consentirgli. - come rilevato nella sentenza impugnata - "un'adeguata ripresa degli allenamenti".
Nè alcun fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 3, è stato ipotizzato, neppure a titolo difensivo, nel giudizio davanti alla Corte di merito, tale per cui la stessa avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto, come censurato dall'odierna ricorrente principale.
Ne consegue che, solo in tale caso, la Corte avrebbe dovuto esaminare, anche d'ufficio, la situazione allegata e sempre che fossero risultati prospettati gli elementi di fatto dai quali ricavare - sul piano causale - la colpa concorrente dello stesso creditore




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