Responsabilità civile  -  Gabriele Gentilini  -  16/10/2022

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 22-01-2021, n. 1399, infortuni sul lavoro e datore di lavoro, art. 2050, responsabilità civile per attività pericolose

La norma contenuta nell’art. 2050 c.c. dispone che chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Con tale norma pertanto viene stabilita una presunzione di responsabilità civile extracontrattuale la quale può essere vinta solo con una prova liberatoria particolarmente rigorosa, essendo posto a carico dell’esercente l’attività pericolosa l’onere di dimostrare l’adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Non basta comunque dimostrare la prova negativa di non avere commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, bensì occorre la prova positiva di avere impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l’evento dannoso in modo che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre la prova liberatoria solo nel caso in cui la sua rilevanza od incidenza sia tale che il nesso causale tra attività pericolosa ed evento sia escluso in modo certo.
L’orientamento giurisprudenziale di massima prevede che devono essere ritenute pericolose le attività previste dall’art. 46 ss. Del T.u.l.p.s., le attività considerate in materia di prevenzione degli infortuni e per la tutela dell’incolumità pubblica, oltre che a tutte quelle altre attività che, anche se non specificate o disciplinate, abbiano comunque una pericolosità intrinseca od in ogni caso connessa alle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati (Cass. 93/8069) compresa l’attività edilizia la quale, a causa dell’impiego di particolari attrezzature, quali impalcature, ponteggi, ecc., impone a chi la esercita un obbligo di particolare prudenza al fine di evitare danni a persone o cose.

Pertanto costituiscono attività pericolose quelle che comportano una rilevante probabilità (con riferimento ad un criterio statistico) del verificarsi del danno, per la loro stessa natura o per le caratteristiche degli strumenti utilizzati (Cass. 90/7571), non solo nel caso di danno come conseguenza di un’azione, ma anche come conseguenza di un’azione, ma anche nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele.

La norma contenuta nell’art. 2050 c.c. si discosta rispetto alla più generale norma dettata dall’art. 2043 c.c.. Si tratta infatti di una norma di carattere eccezionale la quale concerne tutte quelle attività che, data la loro particolare natura dei mezzi utilizzati, presentano una notevole probabilità di generare danni.
In ogni caso, si tratta di attività comunque il cui svolgersi è ritenuto lecito dalla odierna società civile poiché secondo un criterio utilitaristico, sono da considerarsi necessarie per lo sviluppo del benessere generale.

Va inoltre ricordato che rispetto alla sicurezza sul lavoro l'art. 2087 cc prevede che L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, norma che (Cass. civ. n. 24742/2018) non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale ed anche extracontrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

 

Il caso considerato, oltre la breve e sintetica premessa è quello dell’infortunistica sul lavoro e ne fuoriesce la massima per cui in tema di infortuni e sicurezza sul lavoro, opera una nozione di datore di lavoro in senso prevenzionale che, per espressa previsione normativa, comprende non solo il datore di lavoro formale ma anche il titolare dei poteri di decisione e di spesa in materia di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antiinfortunistici; in tale nozione va, pertanto, inclusa la figura dell'amministratore unico di società che, in quanto titolare di una specifica posizione di garanzia, è responsabile ex artt. 2087 e 2050 c.c. nonché in relazione al regresso esperibile  ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965. 

 

 

 

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ORDINANZA

sul ricorso 29884-2014 proposto da: xxxxxxxxxxx, elettivamente domiciliata in xxxxxxxxxxx, presso lo studio dell'avvocato xxxxxxxx, rappresentata e difesa dall'avvocato xxxxxxxx; - ricorrente

 - contro

- xxxxxxxxxxxxxxxxx, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, xxxxxxxxxxxx, presso la sede legale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati xxxxxxxxxxxxx;

- controricorrente –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R.G.

proposto da: xxxxxxxxx, elettivamente domiciliato in ROMAxxxxxxxxxxxx, presso lo studio dell'avvocato xxxxxxxxxxxxx, rappresentato e difeso dall'avvocato xxxxxxxxxxxxxxxx;

 - ricorrente successivo –

contro

- xxxxxxxxxxxxx; - controricorrente al ricorso successivo

- contro xxxxxxxxxxx;

- intimato –

avverso la sentenza n. 10152/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/12/2013, R.G.N. 4060/2011.

 

RILEVATO CHE:

  1. Con sentenza del 9.12.13, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza 6.10.10 del tribunale di Cassino, condannava xxxxxxxxxxxxxxx, a rimborsare all' xxxxxxxxxxx la somma di euro xxxxxxxx, oltre accessori e spese, già pagate al lavoratore infortunato xxxxxxxxxx a titolo di rendita per infortunio sul lavoro per inabilità permanente del 85%; la stessa sentenza rigettava la domanda di regresso dell'xxxxxxx verso xxxxxxxxxx, capofficina della azienda, compensando le spese del doppio grado di giudizio.
  2. In particolare, la corte territoriale riteneva, quanto alla posizione dell'amministratore unico, che la delega di funzioni data dall'amministratore al xxxxxxxxxx non comprendeva poteri di spesa e non escludeva la responsabilità per omesso controllo e vigilanza sui compiti delegati, atteso in particolare la non rilevante dimensione aziendale.
  3. Quanto al capo officina, la sentenza rilevava che il giorno dell'infortunio era assente per ferie, che lavorava in genere nel solo turno diurno e che non era a conoscenza della disattivazione dei dispositivi di sicurezza che i colleghi facevano solo di notte.
  4. Avverso tale sentenza ricorrono la xxxxxxxxxxx per quattro motivi e xxxxxxxxxxxxx -con ricorso successivo- per un motivo, illustrato da memoria; resiste l'xxxxxxxx con distinti controricorsi.

 

CONSIDERATO CHE:

  1. Con il primo motivo la ricorrente xxxxxxxx lamenta -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione dell'articolo 2050 in relazione all'articolo 2697 c.c., per avere applicato a fondamento della responsabilità l'articolo 2050 c.c., sebbene l'amministratore unico non fosse il datore di lavoro.
  2. Con il secondo motivo si lamenta -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione degli articoli 10 e 11 del testo unico infortuni, in relazione agli artt. 2050 e 2043 c.c., nonché 24 Cost.
  3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e le censure si rivelano infondate perché partono da presupposto errato, trascurando che in materia di sicurezza sul lavoro trova applicazione la nozione di datore di lavoro non in senso lavoristico ma in senso prevenzionale, e che tale figura -per espressa definizione normativa della nozione relativa comprende non solo il datore di lavoro formale ma proprio la figura dell'amministratore unico, il quale è titolare dei poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza sul lavoro.
  4. La ricorrente era dunque titolare di specifica posizione di garanzia connessa alla funzione di amministratrice della società rispetto alla quale vi era una precisa responsabilità in tema di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antinfortunistici, con conseguente responsabilità ex articolo 2087 e 2050 c.c.
  5. Tale responsabilità sussiste anche in relazione al regresso esperito dall'ente previdenziale ("jure proprio") ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, azione esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell'infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all'attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, senza che a ciò sia di ostacolo la possibile affermazione della loro responsabilità solidale atteso che l'art. 2055 cod. civ. consente la diversità dei rispettivi titoli di responsabilità (contrattuale per il datore di lavoro ed extracontrattuale per gli altri) (Cassazione Sez. U, Sentenza n. 3288 del 16/04/1997, Rv. 503736 - 01; Sez. L, Sentenza n. 6212 del 07/03/2008, Rv. 602495 - 01; con riferimento alla responsabilità da attività pericolosa, altresì, Sez. 3, Sentenza n. 1966 del 27/01/2009, Rv. 606328 - 01).
  6. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta -ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.- l'omesso esame tre fatti asseritamente decisivi, consistenti nel comportamento abnorme dei lavoratori che avevano disattivato le misure di sicurezza, nelle mansioni esclusivamente amministrative e contabili svolte dalla ricorrente e nel corretto funzionamento del macchinario presso il quale si era verificato l'infortunio.
  7. Il motivo è infondato in quanto la corte di appello ha considerato le mansioni dell'amministratrice ma ne ha fondato la responsabilità sulla sua posizione di garanzia e sulla mancata vigilanza del rispetto concreto delle misure di sicurezza, tanto più nei confronti del lavoratore poi infortunatosi, che aveva solo contratto di formazione e lavoro (e nei cui confronti doveva essere apprestata una più intensa tutela: cfr. Cassazione Sez. L, Sentenza n. 11622 del 18/05/2007, Rv. 596905 - 01).
  8. Per altro verso, la corte territoriale ha escluso la rilevanza del comportamento dei lavoratori ritenendolo non abnorme, ma costituendo esso proprio il comportamento che la misura di sicurezza inattuata mirava a prevenire, restando irrilevante il pregresso corretto funzionamento dei macchinari, ove l'evento si sia comunque verificato in correlazione con l'omessa misura di sicurezza.
  9. Quando da ultimo rilevato dà ragione anche della infondatezza del motivo sollevato -ex articolo 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- con il quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta violazione dell'articolo 1227 c.c. In particolare, anche a supporre che la doglianza non sia nuova (e come tale inammissibile) ma sia stata proposta nel giudizio di merito (sebbene ciò non risulti dalla sentenza impugnata né dal motivo di ricorso), la stessa è comunque infondata in quanto la corte ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia che escludono la rilevanza del comportamento del lavoratore al di fuori della configurabilità, nella specie non ricorrente, di rischio elettivo (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 4980 del 08/03/2006, Rv. 587587 - 01, che ha ritenuto che l'elusione del meccanismo di sicurezza, pur dovuta all'iniziativa del lavoratore, non esclude la responsabilità datoriale, atteso che la "tipicità" di un procedimento lavorativo pericoloso, nel quale l'operatore, per maggiore libertà di movimento, manovri la macchina dopo aver reso inoperante i meccanismi di sicurezza, non esclude né riduce la colpa dell'imprenditore).
  10. Con unico motivo di ricorso xxxxxxxxxx lamenta violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., per avere la sentenza compensato le spese del doppio grado di giudizio nei suoi confronti senza motivazione e benché egli fosse pienamente vittorioso.
  11. Il motivo è fondato, risultando erroneo ed immotivato il regolamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio.
  12. Il capo della sentenza deve essere cassato e può decidersi nel merito delle spese in relazione sia al due gradi del giudizio di merito che al giudizio di legittimità.
  13. Le spese del giudizio di legittimità per il resto seguono la soccombenza di xxxxxxxx. Si dà inoltre atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso di xxxxxxxxxxx, cassa in parte qua la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l'xxxxxxx al pagamento delle spese dei due gradi di merito e del giudizio di legittimità, che si liquidano per competenze professionali in euro xxxxxx per il giudizio di primo grado, euro xxxxxxxxx per il giudizio di appello, euro xxxxxxx per il giudizio di legittimità, oltre per ciascun grado di giudizio ad euro 200 per esborsi, spese generale nella misura del 15% ed accessori come per legge;

Rigetta il ricorso di xxxxxxxxxxxx e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell'xxxxxxxxx delle spese, liquidate in eurd xxxxxxxxx per competenze professionali, oltre euro xxxxxxxxxx per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della xxxxxxxxxxxx, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma i bis dello stesso art. 13, se dovuto.




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