-  Redazione P&D  -  07/05/2013

CENDON LIBRI - GIUDICE TUTELARE E INTERRUZIONE DELLA GRAVIDANZA - Bruno de FILIPPIS

Come altri ordinamenti di derivazione francese, il codice ita­liano del 1865 non conosceva la figura del giudice tutelare. Esso prevedeva, per salvaguardare rispettivamente gli interessi dei mi­nori legittimi e di quelli nati fuori del matrimonio, i consigli di fa­miglia ed i consigli di tutela.

Entrambi i consigli erano presieduti dal pretore. Il primo com­prendeva, oltre al tutore, al protutore ed al curatore del minore, se emancipato, quattro consulenti, che in origine potevano essere scelti solo tra gli ascendenti maschi del minore, i fratelli germani e gli zìi e successivamente, dopo la legge 17 luglio 1919 n. 1176 sulla capacità giuridica della donna, anche tra le sorelle germane e le zie. Ne faceva parte, con voto consultivo, il minore che avesse compiu­to sedici anni.

In mancanza di parenti o affini, potevano essere nominate nel consiglio persone che avessero relazioni abituali di amicizia con i genitori. I consigli di tutela comprendevano persone nominate allo stesso modo, se la filiazione era stata regolarmente riconosciuta o dichiarata. In caso contrario ricoprivano la funzione due consiglieri comunali o altre persone scelte dal pretore. Il preto­re non interveniva nel caso di fanciulli ricoverati in ospizi, provve­dendo alla formazione del consiglio l'amministrazione dell'istituto.

I consigli svolgevano funzioni analoghe a quelle che l'attuale codice attribuisce al giudice tutelare, come la scelta del luogo in cui il minore dovesse essere allevato o l'educazione da impartirgli (art. 278), l'autorizzazione a riscuotere capitali, acquistare immobili o accettare donazioni (art. 296).

Il funzionamento del sistema presentava inconvenienti, sia per le difficoltà collegate alla convocazione ed alla formazione della volontà di un organo collegiale, sia per la possibilità che il pretore fosse messo in minoranza da persone portatrici di interessi non coincidenti con quelli del minore, sia per la necessità di adempi­menti ulteriori (omologazione delle deliberazioni da parte del Tri­bunale).




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