-  Redazione P&D  -  22/12/2012

CENDON LIBRI - NON DI SOLA SALUTE VIVE L'UOMO - di Paolo CENDON

1. Inquadramento

Non v'è stato un solo decennio - dagli anni cinquanta in poi, o anche prima - che non abbia visto l'istituto della responsabilità civile scosso da polemiche più o meno vivaci. L'impressione è però che nelle dispute sul danno alla persona, soprattutto ultimamente, vi sia qualcosa di diverso e di più serio.

In passato i conti bene o male tornavano.

Così ad esempio nella querelle tra fautori della responsabilità oggettiva e difensori della colpa. Si può dire non passasse giorno (già a cavallo fra '800 e '900, e poi nei decenni successivi) senza accese discussioni circa la superiorità dell'uno o dell'altro criterio di imputazione - senza che ci si dividesse, in particolare, sull'opportunità di far capo ad un principio alternativo alla colpa, intonato al "rischio", al "pericolo", alla "garanzia", al "cuius commoda eius incommoda". Sul fatto però che la messa in gioco di alcuni criteri di stampo oggettivistico, o semi-oggettivistico, fosse l'ideale per offrire uno statuto equilibrato a certe collisioni (come sulla necessità di non rinunciare, specularmente, alla signoria del parametro soggettivo tradizionale, per un folto altro drappello di figure), su questo non c'erano in verità grossi dissensi.

Lo stesso nei discorsi relativi all'ingiustizia. Si discuteva se l'apposizione di quel predicato, entro la fattispecie aquiliana, spettasse all'elemento del "fatto" o del "danno"; ci si divideva sull' ammissibilità della tutela risarcitoria per alcune situazioni emergenti (lesione degli interessi legittimi, dei diritti di credito, delle aspettative). Ben pochi contestavano, però, l'insufficienza di un mero richiamo alla categoria del "diritto assoluto" quale strumento-chiave - unico e possibile - per la selezione degli interessi da proteggere

Non così rispetto al danno alla persona.

Nelle polemiche dell'ultimo periodo la sensazione è che vi sia come un'amatorialita' diffusa, un pragmatismo alla giornata fin troppo umorale: conservatori, esterofili, integrati, cassandre, sospettosi, utopisti - non sono pochi fra i partecipi al dibattito (pratici o meno) a muoversi come in una sorta di corte dei miracoli. Ognuno che dal lessico del codice civile, o dalle leggi speciali, o dalle pronunce della Corte costituzionale, o dai documenti di bioetica, o dal diritto comparato, prende via via ciò che più gli conviene - abbandonandosi all'istinto del momento, con un senso di invulnerabilità' alle critiche.

 

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2. Cattivi influssi, mistificazioni

Né si può dire che ciò non pesi (attenzione) sulle capacità di orientamento dei nostri giudici.

Gli esempi possono essere più d'uno.

Basta pensare, di recente, a certe pseudo-somatizzazioni o "pan-psichiatrizzazioni" d'accatto, che si ritrovano qua e là (verbalmente almeno) nelle motivazioni delle corti. Il caso dell'uccisione del gatto domestico, ad esempio, oppure l'eventualità del licenziamento ingiurioso: situazioni in cui è palese a prima vista come la salute mentale del plaintiff c'entri, in concreto, abbastanza poco - e in cui frequentemente gli estensori della sentenza si auto-costringono invece a postulare, quale cavallo di Troia per il risarcimento, sconvolgimenti interni più o meno seri, nevrosi e depressioni della vittima.

Oppure i casi di lesione della salubrità ambientale. In quanti passaggi delle decisioni interessate non vediamo invocati, quali tramiti per giustificare la condanna, supposti patemi d'animo delle vittime, sofferenze mentali non meglio precisate? Quand'è palese - e l'estensore sarà il primo a riconoscerlo, quando passerà all'inventario delle conseguenze volta a volta sofferte - che, per il 90% degli abitanti coinvolti nella compromissione ecologica, il problema è niente più che quello di un livello di vita scompaginato, peggiore: per l'impossibilità (mettiamo) di godere della natura circostante come prima, per la necessità di andare in giro con la mascherina di garza, per il ritocco forzato di questa o quella dieta, per l'appannarsi di qualche legame sociale o professionale, per il dover sottostare a controlli sanitari incessanti.  

 

3. I prezzi della follia

Nell'itinerario personale di chi scrive, l'incontro con il danno alla persona - sotto i profili qui considerati - è stato per molti versi una sorpresa.

Erano da poco iniziati gli anni '80, vivevo a Trieste, mi ero occupato anche in passato di fatti illeciti. Si affacciò a un certo punto il progetto di un'indagine sui rapporti fra infermità di mente e responsabilità civile.

Tema strano, complesso, come muoversi? Ricordo che non ebbi dubbi, all'inizio, circa il taglio espositivo da preferire: il nodo non poteva che essere quello dell'an respondeatur. In quali casi far luogo, cioè, a una tutela risarcitoria di chi era stato "fatto impazzire"? Violenze arrecate entro il carcere, stupri, maltrattamenti ai minori? Stress da ingiurie, da minacce, crudeltà scolastiche, sequestri, persecuzioni usurarie?

Solo più tardi dovevo accorgermi come il problema non stesse tanto in domande del genere: i misteri più fitti cominciavano dopo, al momento di definire gli aspetti del quantum respondeatur - quando veniva cioè il momento di interrogarsi circa i riflessi effettivi, quotidiani, del patimento di un'emotional disturbance.

Danni patrimoniali, beninteso, ma oltre a questi? Cosa comportava l'aver perduto (in tutto o in parte) l'attitudine a reagire, la pienezza dell'intelletto?   Il non aver più il controllo assoluto dei propri gesti, il senso della realtà, le risorse del feed-back, la prontezza di adeguamento agli altrui codici?

Le sfumature del c.d. pretium doloris, allora: amarezze, penombre, cespugli del cuore - e si trattava di battersi qui, magari, contro l'idea del sofferente psichico quale creatura pietrificata, chiusa a ogni emozione e a ogni palpito.

Sì, ma oltre a questo? C'erano da considerare (ecco il punto) ricadute anche diverse: versanti meno liquidi e impalpabili, anzi terribilmente concreti, avvolgenti.

L'impossibilità di difendersi dal male, ad esempio, la soggezione ai farmaci e alle terapie, le complicità interpersonali disgregate. E ancora la difficoltà di amministrarsi convenientemente, l' emarginazione lavorativa, l'intimità frequentemente compromessa, il declino dell'indipendenza (abitativa, sanitaria, ambulatoria, alimentare, ludica, turistica). Insomma un'epifania giorno per giorno diversa, un'altra agenda.

Per maggiori informazioni clicca quì http://www.cendonlibri.it/danni-e-responsabilita/non-di-sola-salute-vive-luomo-cendon-2012




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