-  Comand Carol  -  02/07/2014

CIRCA IL POSSIBILE VALORE DELLE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI - Carol COMAND

Con decisione n. 184 del 23 giugno 2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 517 c.p.p. nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., in seguito alla contestazione dibattimentale di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale.

La pronuncia appare complessa ed attinge il nucleo della disciplina relativa alle nuove contestazioni dibattimentali, in particolare, alle contestazioni suppletive di circostanze aggravanti - cui non è estraneo il limite della irretroattività dell'azione penale -, intervenendo sulla possibilità di accesso (tardivo) al rito per l'applicazione di pena concordata.

L'oggetto del giudizio, a seguito dell'esercizio dell'azione penale, come noto, può subire delle modificazioni solo nel rispetto della disciplina contemplata dal codice di rito. Le norme di riferimento per quanto concerne la fase dibattimentale, peculiarmente rispettose delle ripartizioni della competenza per materia, sono quelle relative alla modifica dell'imputazione per fatto diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio (art. 516), alla contestazione suppletiva di un reato concorrente o di una circostanza aggravante emersi nel corso del dibattimento (art. 517) ed al fatto nuovo (art. 518).

Tale regime parrebbe peraltro trovare "naturale" completamento nella disciplina relativa alla necessaria correlazione tra accusa e sentenza di cui all'art. 521 c.p.p., che, al comma 2, impone al giudice di trasmettere gli atti con ordinanza al pubblico ministero nell'ipotesi in cui accerti che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio.

Diversa pare, invece, la questione concernente la possibilità di conservare, in tali evenienze dibattimentali, la facoltà di proporre eventuali richieste relative alla definizione del giudizio mediante riti alternativi a quello ordinario1.

In tema, è possibile ricordare che la paventata illegittimità dell'art. 517 c.p.p. - reato concorrente e circostanza aggravante risultanti dal dibattimento - per la non consentita possibilità di remissione in termini finalizzata alla richiesta di rito alternativo a seguito di contestazione in dibattimento della recidiva specifica ai sensi dell'art. 99 c.p., nel 1990, era stata ritenuta questione non fondata attraverso un ragionamento basato sul comportamento (di rinuncia e consentita limitazione) tenuto dalla parte interessata.

La Corte, considerata la prospettata determinazione di un interesse alla mutazione del rito solo a seguito dell'ulteriore contestazione, d'altra parte, aveva allora affermato che l'interesse dell'imputato era destinato a trovare tutela nelle uniche ipotesi in cui la sua previa condotta avesse consentito una effettiva adozione della sequenza procedimentale sperata2.

D'altra parte, in diverse pronunce relative al medesimo periodo, la stessa Corte pare essersi espressa in termini di prevedibilità dello sviluppo processuale, con conseguente presunzione di assunzione del relativo rischio, proprio nel momento della mancata scelta di rito alternativo premiale3.

In apparente contraddizione con quanto precedentemente affermato, il possibile sviamento dall'attrattiva del rito relativo all'applicazione della pena su richiesta delle parti a causa di errate valutazioni da parte del pubblico ministero ha trovato tutela nel 19944 grazie ad una pronuncia che, oltre a consentire l'esercizio della menzionata facoltà nell'ipotesi di previa tempestiva richiesta di tale rito in relazione alle originarie imputazioni, ne consentiva l'esercizio anche in relazione al fatto diverso ovvero al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione avesse riguardato un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale.

La medesima pronuncia, per altro verso, non aveva (comprensibilmente) preso posizione circa la contestazione suppletiva di una semplice aggravante.

Similmente, la mutata disciplina del rito abbreviato, non consente alla Corte, nel 2009, di escludere a priori la possibilità di accesso al rito a seguito di una nuova contestazione suppletiva o una modifica dell'imputazione (Corte Cost. 333/09).

Nell'occasione, peraltro, la Corte non manca di rilevare l'idoneità dell'accesso a tale tipo di rito, benchè "tardivo", a produrre un effetto di economia processuale "giacchè consente - quantomeno - al giudice del dibattimento di decidere sulla nuova imputazione allo stato degli atti, evitando il possibile supplemento di istruzione dell'art. 519 c.p.p.".

Ragioni di economia processuale, sono invocate anche da Corte Cost. n. 237/12 in riferimento, però, all'istituto delle nuove contestazioni dibattimentali con le quali contrasterebbe, nell'opinione della Corte "un regime di generalizzata retrocessione del procedimento a fasi o stadi precedenti" ed in ragione delle quali, nel mutato assetto normativo che potrebbe vederle protagoniste anche a seguito di incardinamento di rito abbreviato, si ritiene non possano non essere restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni.

In questo contesto si inserisce la nuova pronuncia di illegittimità costituzionale che, per la prima volta, attiene precisamente alle contestazioni suppletive di circostanze aggravanti in fase dibattimentale con conseguente preclusione all'accesso alle possibilità di definizione alternativa del procedimento.

Premesso che l'oggetto della contestazione tardiva innanzi al giudice a quo, basata su elementi già acquisiti da parte del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, era costituito dalle due aggravanti di cui ai commi 2 bis e 2 sexies dell'art. 186 del d.lgs 30 aprile 1992, n. 285 (guida sotto l'influenza dell'alcool aggravato dalla provocazione di incidente stradale5 in ore notturne), e preso atto, attraverso le parole della Corte, che le circostanze in questione sono in grado di incidere anche in modo rilevante sull'entità della sanzione, "laddove il legislatore contempla la previsione di pene di specie diversa o di pene della stessa specie, ma con limiti edittali indipendenti da quelli stabiliti per il reato base (...)", ci si limita a rilevare l'intervenuta equiparazione tra la situazione posta in evidenza nel caso de quo e l'analoga modifica dell'imputazione per la contestazione di fatto diverso (già oggetto della menzionata sentenza n. 265/94), ritenuta foriera di possibili disparità di trattamento lesive del diritto di difesa, con tendenziale favore, in materia, (a sommessa opinione della scrivente), per una concreta definizione dei procedimenti particolarmente rispettosa delle facoltà personali considerate. (c.c.)

 

Il testo integrale della sentenza è consultabile presso la banca dati ufficiale della Corte Costituzionale: cortecostituzionale.it / giurisprudenza.

 

 

 

 

 

 

 

1I procedimenti speciali disciplinati dal libro VI del codice di rito sono 5 tuttavia si segnala che taluni autori paiono porre su di una medesima linea interpretativa, caratterizzata dall'attribuzione della qualifica di speciale a "quei tipi di procedimento" privi di una fase o sottofase, la mera diversità dal modello ordinario e quindi, oltre che il procedimento di oblazione, anche il procedimento che trae origine da una contestazione suppletiva di cui agli artt. 517 e 518 c.p.p. . Così ORLANDI, in Compendio di procedura penale, Padova, 2008, 584 e ss. .

2"L'interesse dell'imputato trova cioè tutela solo in quanto la sua condotta consenta l'effettiva adozione di una sequenza procedimentale, che, evitando il dibattimento e contraendo le possibilità di appello, permette di raggiungere quell'obiettivo di rapida definizione del processo che il legislatore ha inteso perseguire con l'introduzione del giudizio abbreviato e più in generale dei riti speciali" Corte Cost. n. 593/90.

3Applicazione della pena su richiesta e rito abbreviato erano accomunati, ai tempi, dalla carenza di potere di integrazione probatoria dell'organo giudicante.

4Corte Cost. n. 265/94, intervenuta a seguito della modifica della struttura del rito abbreviato, non considerava più il pubblico ministero come unico soggetto che poteva consentire l'accesso al rito.

5Che ai sensi dell'art. 9 bis del medesimo testo legislativo comporta l'impossibilità di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità.




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