La colpevolezza, anche quando interessa particolari settori, proietta la propria luce in tutti e ciascuno degli elementi del fatto oggettivamente illecito, presupponendone pertanto il complessivo, attento, esame.
Lo studio della colpevolezza dovrà sempre comprendere (e potrà farlo, con i dovuti distinguo, sia in ambito civile che in ambito penale) tutti gli aspetti della attribuibilità soggettiva del fatto (offensivo e antigiuridico) e, dunque, non solo il dolo e la colpa, ma anche la c.d. responsabilità oggettiva [fondamentale, a tal proposito, il complesso contenuto dell"ormai storica pronuncia secondo cui è illegittima costituzionalmente la punizione di fatti che non risultano essere espressione di consapevole, rimproverabile contrasto con i (od indifferenza ai) valori della convivenza, espressi dalle norme penali e dev"essere esclusa la punibilità ove sia stato impossibile, per fatto non ascrivibile alla volontà dell"interessato, conoscere il precetto penale:
"è costituzionalmente illegittimo l"art. 5 c.p. nella parte in cui impedisce ogni esame della rimproverabilità e, pertanto, scusabilità dell"ignoranza della (od errore sulla) legge penale" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3; RIL, 1988, 639).
E' pur vero, infatti, che in ambito penale, la responsabilità obiettiva si caratterizza negativamente, in quanto responsabilità senza dolo né colpa (Padovani 2006); ed è altrettanto corretto sostenere che, in ambito civile, si parla di responsabilità oggettiva – secondo un concetto profondamente penetrato nella coscienza del mondo giuridico moderno – nel senso che non è richiesta la colpa – no fault – (Trabucchi 2004); si pensi, ad esempio, anche al disposto dell"articolo 1228 del codice civile, laddove il comportamento dell"ausiliario che abbia eventualmente sostituito il debitore nell"adempimento è valutato secondo gli stessi criteri applicabili in caso di adempimento diretto dell"obbligazione da parte del debitore medesimo, senza alcuna necessità di configurare una culpa in eligendo in capo a quest"ultimo, trattandosi di una sorta di responsabilità oggettiva [si pesi alla responsabilità della banca per fatto illecito dei propri dipendenti, che scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all'attività lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del suo datore di lavoro,
"sempre che sia rimasto comunque nell'ambito dell'incarico affidatogli" Cassazione civile, sez. III, 04/04/2013, n. 8210, Cassa con rinvio, App. Milano, 08/03/2011, Pozzi ed altro c. Banca Carige Spa, Giust. civ. Mass. 2013, rv 625668; cfr. anche: Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2003, n. 5329, MGC, 2003, 4); Ass. Milano, 6 giugno 2003, FAmb, 2003, 458).
Risulta, peraltro, altrettanto corretto riferire come la responsabilità oggettiva rappresenti comunque, a tutti gli effetti, una forma di attribuibiltà di responsabilità al soggetto, non scevra, in una qualche misura, di un certo grado di rimproverabilità normativamente accertabile – a volte, specie per l"illecito civile, effettivamente presunta juris et de jure (si pensi, ad esempio, alla c.d. tutela del rischio di servizio, ex art. 2049 c.c.) – con ciò giustificandone l"inserimento, a fianco del dolo e della colpa, in un ampio concetto di colpevolezza (cfr., amplius, il volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" - Riccardo Mazzon, Rimini 2014 -).
Con l"avvertenza sin d"ora esposta che, in ambito civile, si dovrà far riferimento ad un concetto di colpevolezza in senso stretto, comprendente esclusivamente la colpa e il dolo, e un concetto di colpevolezza in senso lato, generante attribuibilità della responsabilità risarcitoria attraverso un giudizio normativo di rimproverabilità personale oggettiva: si pensi, ad esempio, alla disciplina della responsabilità del produttore per danno da prodotti difettosi, configurante una responsabilità oggettiva dell"importatore del prodotto difettoso per i danni derivatine a cagione del difetto, disciplina che mira alla salvaguardia dei consumatori dagli effetti di vizi inerenti a prodotti lavorati, immessi in circolazione da operatori economici professionali,
"anche a prescindere dalla configurabilità di elementi di colpevolezza" (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005, n. 12750, RCP, 2006, 1129).