-  Mazzon Riccardo  -  20/05/2016

Come approcciare la colpevolezza in ambito penale: il giudizio di rimproverabilità personale - Riccardo Mazzon

La colpevolezza in ambito penale coincide con l'attribuzione del fatto tipico (offensivo) ed obiettivamente antigiuridico al soggetto attraverso un giudizio normativo di rimproverabilità personale: qual'è il rapporto tra quest'ultima e la coscienza e volontà di cui all"art. 42, 1° co., c.p.?

 Perché un fatto tipico (offensivo: cfr., amplius, il volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" - Riccardo Mazzon, Rimini 2014 -) ed obiettivamente antigiuridico possa dirsi completamente attribuito ad un soggetto, non è sufficiente il semplice nesso causale tra l"azione (od omissione) del soggetto e l"evento costituente la fattispecie materiale del fatto punito dal diritto penale (è questa l"imputazione oggettiva o materiale del fatto al soggetto): è necessario un quid pluris; è necessario che il fatto, già materialmente imputabile al soggetto in questione, lo si possa a lui attribuire anche psicologicamente [o soggettivamente; ed, in effetti, se dev"essere esclusa la sussistenza del fatto quando non sia stata integralmente realizzata la condotta dell"agente o quando manchi un evento ad essa riconducibile, deve comunque affermarsi che il fatto non costituisce reato quando difetti l"elemento soggettivo:

 "la nozione di fatto in senso penalistico comprende tutti gli elementi materiali del reato attribuito all"agente e cioè condotta ed evento, collegati dal nesso di causalità" (Cass. pen., sez. II, 4 aprile 1977, CP, 1978, 1463; GP, 1979, III, 369).

 Si parla, per definire il suddetto fenomeno, di imputazione soggettiva del reato (rectius: del fatto tipico – offensivo – ed obiettivamente antigiuridico), o anche, con esplicito riferimento alla rimproverabilità del soggetto in ordine alla fattispecie criminosa, di colpevolezza [si veda, a tal proposito, la seguente pronuncia, laddove afferma che, nella morte conseguente ad altro delitto, di cui all"art. 586 c.p., poiché l"accollo dell"evento morte a titolo di responsabilità oggettiva o di "colpa presunta" – pur mascherata dietro il riferimento alla colpa specifica da inosservanza della legge penale secondo la tradizionale regola del versari in re illicita – si palesa incompatibile con il principio di colpevolezza, secondo l"interpretazione del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale e della necessaria imputazione soggettiva degli elementi più significativi della fattispecie criminosa (Corte cost., sentt. n. 364 e n. 1085 del 1988), l"affermazione di responsabilità dell"agente per l"evento ulteriore, non voluto, deve necessariamente

"ancorarsi a un coefficiente di "prevedibilità", concreta e non astratta, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell"incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base (nella specie, usura ed estorsione)" (Cass. pen., sez. I, 19 ottobre 1998, n. 11055, DPP, 1999, 86; FI, 1999, II, 522; GP 1999, II, 267; RPo, 1999, 582; GI, 1999, 2374).

Con la finalità di puntualizzare la differenza tra colpevolezza e "coscienza e volontà" (c.d. suitas) ex art. 42, 1° co., c.p., risulta opportuno notare come, già in ordine alla completa attribuibilità dell"azione od omissione (presupposti – elementi del fatto tipico) ad un determinato soggetto, si ponga il problema della rilevanza psicologica o soggettiva dell"imputazione: una condotta (attiva o omissiva), infatti, in tanto è attribuibile completamente ad un soggetto in quanto quest"ultimo l"abbia posta in essere con "coscienza e volontà" [si pensi, ad esempio, a come in tema di circolazione stradale e di responsabilità del conducente del veicolo, il malore improvviso dello stesso rientri nell'ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non nel "caso fortuito" di cui all'art. 45 c.p., trattandosi pur sempre di una infermità, ovvero di uno stato morboso, ancorché transitorio, ascrivibile alla previsione dell'art. 88 c.p.; in altri termini, è stato recentemente precisato, il malore improvviso non è ascrivibile alla categoria del caso fortuito, giacché questo, descrivendo una fattispecie in cui il soggetto, psicologicamente, non risponde per l'intervento del fattore causale imprevedibile, presuppone pur sempre un'azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso esclude tali connotazioni di coscienza e volontarietà,

"non realizzando quelle "condizioni minime" che l'art. 42 c.p. richiede perché un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante" (Cassazione penale, sez. IV, 14/02/2013, n. 9172 S. Guida al diritto 2013, 13, 85; cfr. anche Cass. pen., sez. IV, 2 ottobre 1987, CP, 1989, 451; GP, 1988, II, 610)].

Dottrina e giurisprudenza, in effetti, concordano ormai nel richiedere sempre una certa signoria del volere riguardo ad una condotta, prima di imputarla tout court ad un soggetto; signoria del volere che viene identificata nella possibilità di impedire l"azione (od omissione) mediante uno sforzo della volontà.

Già con riferimento alla semplice condotta, dunque, il nostro sistema penale richiede una duplice imputazione: non è sufficiente che il soggetto abbia posto in essere la condotta (imputazione materiale od oggettiva), ma è necessario che esso l"abbia voluta o, meglio, che con uno sforzo del volere sarebbe stato in grado di impedirne la venuta in essere (imputazione psicologica o soggettiva).

Ora, anche per quanto concerne la completa fattispecie criminosa (fatto tipico offensivo ed antigiuridico), il nostro sistema penale richiede la stessa, duplice condizione: non è sufficiente che l"evento sia conseguenza materiale della condotta (imputazione oggettiva), ma è necessario che una certa riprovevolezza sia contestabile all"agente in ordine alla venuta in essere dell"evento (imputazione soggettiva).

Detto del parallelo colpevolezza-coscienza e volontà, risulta chiarita anche la differenza tra loro intercorrente: l"una si riferisce al momento psicologico-soggettivo della fattispecie tutta, l"altra si riferisce solamente alla condotta-elemento di tale fattispecie.

Il parallelismo risulta completo qualora si presti la dovuta attenzione a quelle teorie (es. Pagliaro) che indicano, quale punto cruciale della colpevolezza, la "prevedibilità ed evitabilità" dell"evento concreto: come la condotta non può essere imputata al soggetto se questo non era in grado di evitarla, così l"evento non può essergli imputato nell"impossibilità di evitarlo.

Si ricordino, a tal proposito, alle quelle pronunce secondo cui, ad esempio, in tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale, il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo costituisce mera concausa dell'evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente; e può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, soltanto nel caso in cui risulti del tutto eccezionale, atipico, non previsto né prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile [fattispecie nella quale è stata esclusa l'imprevedibilità della condotta del pedone che aveva iniziato l'attraversamento sulle strisce, in corrispondenza della quali era irregolarmente parcheggiato un voluminoso furgone, osservando che in prossimità di esse, ed a maggior ragione quando la visuale risulti in parte ostruita,

"non può ritenersi imprevedibile la presenza di un pedone in fase di attraversamento" Cassazione penale, sez. IV, 29/04/2011, n. 23309, Rigetta, App. Firenze, 21/12/2009, C., CED Cass. pen. 2011, rv 250695, Arch. giur. circol. e sinistri 2012, 3, 258.

Ulteriormente, in ambito civile, sovente s"afferma che, sempre in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli, per superare la presunzione di cui all'art. 2054, comma 1, c.c., non è sufficiente che il conducente provi che l'investimento del pedone sia avvenuto mentre il veicolo procedeva alla velocità consentita nel centro abitato in condizioni ottimali, dovendo la stessa velocità essere costantemente adeguata alle circostanze del caso concreto, onde prevenire un'eventuale situazione di pericolo; ne consegue che il conducente, ove sia accertata la presenza di bambini sul tratto di strada percorso e sul latistante marciapiede, deve anche dimostrare che il pedone investito (nella specie, un bimbo di tre anni, svincolatosi dalle mani della nonna per inseguire un cuginetto) non avesse tenuto

"un comportamento che denunciasse il suo intento di attraversamento della strada, seppur di corsa e fuori dalle strisce pedonali" Cassazione civile, sez. III, 13/02/2013, n. 3542 Mattara e altro c. Soc. Tirrena assicur. in liquid. coatta amm. e altro Giust. civ. Mass. 2013; cfr. anche: Trib. Crotone, 29 maggio 2000, GM, 2002, 480; Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 1982, CP, 1983, 968; in ambito civile, ancor più esplicitamente: Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21249, MGC, 2006, 9).

Il problema di dare un contenuto effettivo alla colpevolezza è sentito, soprattutto, nei casi c.d. di imputazione a titolo di responsabilità oggettiva – amplius infra; anche negli altri casi, peraltro, esso manifesta tutta la sua rilevanza: ad esempio quando si tratti di attribuire ad un soggetto la violazione di norme cautelari nella colpa, ovvero quando si ragioni intorno al rapporto dolo/antigiuridicità obiettiva.

 




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