-  Gasparre Annalisa  -  21/05/2014

COMUNIONE EREDITARIA E DIRITTI DEL CONIUGE SUPERSTITE - Annalisa GASPARRE

La comunione ereditaria è un 'incidente' molto frequente in ambito successorio che si verifica quando più soggetti sono chiamati all'eredità rispetto ad un medesimo bene e, pertanto, consiste nella contitolarità pro indiviso di diritti reali su uno o più beni dell'asse ereditario.

Fermi restando i limiti legali (art. 715 c.c.) o testamentari, la comunione può essere sciolta seguendo strade alternative. Con specifico riferimento alla comunione ereditaria, lo scioglimento può aver luogo: a) per accordo tra gli eredi (scioglimento contrattuale) rispetto al quale si applica la disciplina generale dei contratti, ivi compresi i rimedi contro i vizi della volontà; b) per intervento dell'autorità giudiziaria adita da uno o più coeredi (divisione giudiziale disciplinata non solo dal codice civile ma altresì oggetto di specifica attenzione dal codice di rito) e, infine, c) per volontà del testatore (divisione testamentaria). Di quest'ultima modalità si occupano due norme del codice (artt. 733 e 734) anche se, un più attento esame anche alla luce dell'interpretazione fornita dalla giurisprudenza, rivela come solo nell'ipotesi in cui il testatore ha dato disposizioni per la divisione (art. 733) può parlarsi di divisione di comunione ereditaria. Al contrario, la c.d. divisione fatta dal testatore - di cui al successivo art. 734 - in realtà, impedisce ab origine la formazione di una comunione, atteso che il testatore determina una divisione dei propri beni attribuendoli personalmente agli eredi (attribuzione in rebus certis) e, per questa via, escludendo le cose assegnate dalla comunione ereditaria, giacché l'istituto acquista immediatamente la proprietà del bene. Viste sotto complementare prospettiva ermeneutica, le disposizioni testamentarie inquadrabili ex art. 733 hanno carattere meramente obbligatorio per gli eredi, mentre quelle riconducibili al disposto dell'art. 734 hanno efficacia reale. Ciò premesso, in linea teorica, è evidente che definire, in concreto, quale sia stata la volontà del testatore è evidentemente questione rimessa all'interpretazione.

Ad ogni modo, quale che sia il percorso per giungere allo scioglimento della comunione ereditaria, l'effetto è l'assegnazione di porzioni secondo le rispettive quote, salvaguardando, nei limiti del possibile, il diritto di ciascun erede a divenire titolare di quote qualitativamente eguali (beni mobili, immobili, titoli di credito, ecc.) e salvi i necessari conguagli.

Questo diritto deve essere contemperato rispetto agli specifici diritti riservati al coniuge superstite del de cuius.

In proposito, l'art. 540 co. 2 stabilisce che al coniuge, in caso di concorso con altri coeredi, sono riservati il diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare e il diritto di uso sui mobili che la arredano, quando tali beni siano di proprietà del de cuius o di entrambi i coniugi. La lettera della norma sembra chiara nello stabilire che tali diritti gravano sulla quota disponibile e, solo in caso di incapienza di questa, sulla quota riservata al coniuge o eventualmente su quella riservata ai figli.

Non oggetto di questioni è il presupposto dell'istituto in esame che costituisce un'applicazione speciale degli analoghi istituti previsti e disciplinati, in generale, dagli artt. 1021 e 1022. Presupposto della riserva è la proprietà di abitazione e beni mobili in capo al de cuius, quand'anche in comproprietà con il coniuge superstite. Pertanto, nel caso di successione, tali diritti sono attribuiti al coniuge ex lege al momento della successione senza alcuna necessità di accettazione, come disposto dall'art. 649, determinando, in altre parole, un acquisto ipso iure, subordinato alla previa mera verifica del diritto di proprietà di cui si è detto.

Parimenti indiscussa è l'irrilevanza dello stato di bisogno del coniuge superstite, atteso che finalità dell'istituto non è già (solo) quella di tutelare gli interessi patrimoniali del coniuge, ma anche quella di garantire la possibilità di conservare la casa coniugale e, con essa, la memoria del defunto, nonché le relazioni personali, sociali e ambientali, intessute durante la vita matrimoniale, che la permanenza nell'abitazione consente di perpetuare.

Al contrario, oggetto di dibattito giurisprudenziale è la questione se il valore in cui possono essere quantificati i diritti di abitazione e uso vada decurtato o meno dalla quota riservata al superstite.

Un orientamento assumeva che non vi era ragione per ritenere che nella quota riservata al coniuge fosse da aggiungere quella "ideale" ricavabile dalla "monetizzazione" dei diritti d'uso e abitazione, perchè ciò provocherebbe un incremento quantitativo della quota contemplata a favore del coniuge superstite.

Di recente, tuttavia, si è avuto un arresto di segno contrario ad opera delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale. E' stato così affermato che il valore del godimento di tali diritti deve essere stralciato dal compendio ereditario, secondo un meccanismo analogo a quello del prelegato, istituto previsto dall'art. 661 che attiene al legato disposto a favore di uno dei coeredi a carico dell'eredità - insieme dei rapporti patrimoniali - nel suo complesso. Incidentalmente va notato che, come evidente anche dall'etimo del termine, il prelegato va ad incidere sull'intero prima ("pre") della divisione dell'eredità tra i chiamati (uno dei quali è anche beneficiario di una disposizione a titolo particolare).

Successivamente a tale operazione di "stralcio" l'asse ereditario va, pertanto, suddiviso secondo le norme ordinarie, senza tenere conto del valore determinabile dall'attribuzione dei diritti in rassegna. Ne consegue che alla quota di eredità riservata al coniuge va ad aggiungersi il diritto personale di godimento di abitare la casa coniugale e di usare i beni mobili che la arredano.




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