Diritto commerciale  -  Redazione P&D  -  15/09/2021

Concessione abusiva di credito, fallimento, eccetera eccetera - Cass. 30 giugno 2021, 18610 - Riccardo Riccò

La Sezione prima civile, presidente Genovese, Nazzicone relatrice, pronuncia ordinanza nomofilattica, davvero "robusta".
Principi espressi (copio e incollo): l'erogazione del credito che sia qualificabile come "abusiva", in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l'aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell'attività d'impresa; non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi; il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all'impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all'intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.; la responsabilità in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, può sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui all'art. 146 I. fall., in via di solidarietà passiva ai sensi dell'art. 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l'esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo.
A me, particolarmente, ha interessato la questione della legittimazione del curatore, che la S. C. ammette sul presupposto che l'attività di illecito finanziamento sia causativa di un danno-decremento-lesione del patrimonio dell'imprenditore, a fronte del quale lo stesso imprenditore, fallito poi o meno, abbia titolo per dolersene, in giudizio, legittimamente. Sul presupposto cioè che la pretesa risarcitoria, ovvero il diritto d'azione relativo, a monte, in caso di fallimento, entri a far parte della massa attiva, a vantaggio di tutti i creditori.
Come del resto avviene nei casi di azioni revocatorie ed altre similari.
In quanto per tutti i creditori, il cui credito sia sorto vuoi prima, vuoi dopo la concessione di credito imputata di abusività, se il risultato a questa eziologicamente collegato sia il compimento di ulteriore attività d'impresa con aggravamento del dissesto societario, le perdite da ciò derivate comporteranno una matematica riduzione della garanzia patrimoniale generica, l'insufficienza del patrimonio d'impresa a soddisfare i crediti, ed, in definitiva, un danno riflesso, che il curatore potrà reintegrare grazie all'azione di risarcimento del danno cagionato al patrimonio della società, anche nella sua veste di legittimato attivo per conto dei creditori.
Ora, molto francamente, non saprei se l'ermeneusi come sopra proposta sia esatta, ineccepibile: se si tratti ovvero di fattispecie distinta, non coincidente, con la sommatoria delle azioni individuali di danno spettanti ai singoli creditori; e se, segnatamente, il sovvenuto - poi fallito oppure no - abbia ragione di "rivalsa" nei confronti del sovventore.
Comunque sia, per la Cassazione, in soldoni, se ho capito bene:
l'illecito è plurioffensivo
i singoli creditori hanno azione stracontrattuale/aquiliana, che resta fuori dalla massa
il sovvenuto ha azione contrattuale (se del caso)
la curatela costituisce un "centro di interessi" a sè stante, cui "passa" l'azione (quella contrattuale), al netto di ogni eccezione ex art. 1227 e/o di immoralità.
Il percorso sembra, se posso dire, alquanto tortuoso.
Cfr. p. e. FAVA, Abusiva concessione di credito, ecc., Dir. Fall., 2011, II, 405 ss.; FORTUNATO, Finanziamenti bancari alle imprese in crisi: responsabilità della banca, in Rapporti bancari e procedure concorsuali, 2016, 135 ss., 144 s.; ID., La concessione abusiva di credito dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2009, 65, 67 ss.; NIGRO, La responsabilita`delle banche nell’ero-gazione del credito alle imprese in crisi, Giur. Comm., 2011, I, 305 ss..
Certo che nei confronti del curatore, ed in diversi altri casi (Cass. pen. 7 apr. 1999, Corriere, CED, Cass., 214747), l'eccezione c. d. in pari delicto può risultar di brutta parvenza. Di per sé, però, ha sicuro fondamento. V. p. e. Cass pen. II 2 marzo 2018, 9494, Davigo, Rago. Extra moenia si ha la c. d. Wagoner Rule, che soffre poche limitate eccezioni, come spiegato dal G. Read ...
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Second Circuit's Wagoner rule (see Shearson Lehman Hutton v Wagoner, 944 F2d 114, 118 [2d Cir 1991] [bankruptcy trustee does not possess standing to seek recovery from third parties alleged to have joined with the debtor corporation in defrauding creditors]). Although the District Court broadly characterized the Wagoner rule as "an application of the substantive law of New York" (Kirschner v Grant Thornton LLP, 2009 WL 1286326, *1 n 4, 2009 US Dist LEXIS 32581, *3 n 4 [SDNY 2009]; Kirschner v KPMG LLP, 2009 US Dist LEXIS 32539, *2 n 2 [SDNY 2009]), this rule derives in significant part from federal bankruptcy law, and is a prudential limitation on standing under federal law (see Baena v KPMG LLP, 453 F3d 1, 5 [1st Cir 2006]). Thus, the Wagoner rule is not part of New York law except as it reflects the in pari delicto principle, and in New York, in pari delicto is an affirmative defense, not a matter of standing. Even so -- and although the Litigation Trustee may be understood to imply otherwise -- in pari delicto may be resolved on the pleadings in a State court action in an appropriate case (see e.g. Donovan v Rothman, 302 AD2d 238, 239 [1st Dept 2003] [affirming dismissal of contract claim on ground of in pari delicto]).
READ J. 21 X 2010 CASI 151 E 152 - CIPARICK DISSENTING
THE DOCTRINE ... MANDATES THAT THE COURTS WILL NOT INTERCEDE to resolve a dispute between two
wrongdoers. This principle has been wrought in the inmost
texture of our common law for at least two centuries Woodworth v Janes, 2 Johns Cas 417, 423 [NY 1801] [parties in
equal fault have no rights in equity]; Sebring v Rathbun, 1 Johns
Cas 331, 332 [NY 1800] [where both parties are equally culpable,
courts will not "interpose in favor of either"
The doctrine
survives because it serves important public policy purposes.
First, denying judicial relief to an admitted wrongdoer deters
illegality. Second, in pari delicto avoids entangling courts in
disputes between wrongdoers. As Judge Desmond so eloquently put
it more than 60 years ago, "[N]o court should be required to
serve as paymaster of the wages of crime, or referee between
thieves. Therefore, the law will not extend its aid to either of
the parties or listen to their complaints against each other, but
will leave them where their own acts have placed them" (Stone v
Freeman, 298 NY 268, 271 [1948]
Indeed, the
principle that a wrongdoer should not profit from his own
misconduct is so strong in New York that we have said the defense
applies even in difficult cases and should not be "weakened by
- 14 - Nos. 151 & 152
exceptions" (McConnell v Commonwealth Pictures Corp., 7 NY2d 465,
470 [1960] ["We are not working here with narrow questions of
technical law. We are applying fundamental concepts of morality
and fair dealing not to be weakened by exceptions" (emphasis
added); see also Saratoga County Bank v King, 44 NY 87, 94 [1870]
[characterizing the doctrine as "inflexible"]).
raditional agency principles play an important role in
an in pari delicto analysis. Of particular importance is a
fundamental principle that has informed the law of agency and
corporations for centuries; namely, the acts of agents, and the
knowledge they acquire while acting within the scope of their
authority are presumptively imputed to their principals (see
Henry v Allen, 151 NY 1, 9 [1896] [imputation is "general rule"];
see also Craigie v Hadley, 99 NY 131 [1885]; accord Center, 66
NY2d at 784). Corporations are not natural persons. "[O]f
necessity, [they] must act solely through the instrumentality of
their officers or other duly authorized agents"
"The risk of loss from the unauthorized
acts of a dishonest agent falls on the principal that selected
the agent" (see Andre Romanelli, Inc. v Citibank, N.A., 60 AD3d, 428 S.
Agency law presumes imputation even where the agent
acts less than admirably, exhibits poor business judgment, or
commits fraud
where conduct
falls within the scope of the agents' authority, everything they
know or do is imputed to their principals.
except where the
corporation is actually the agent's intended victim: Center,
66 NY2d at 784
imputation fosters an incentive for a
principal to select honest agents and delegate duties with care.
The crucial distinction
is between conduct that defrauds the corporation and conduct that
defrauds others for the corporation's benefit. "Fraud on behalf
of a corporation is not the same thing as fraud against it"
(Cenco Inc. v Seidman & Seidman, 686 F2d 449, 456 [7th Cir
1982]), and when insiders defraud third parties for the
corporation, the adverse interest exception is not pertinent.
Thus, as we emphasized in Center, for the adverse interest
exception to apply, the agent "must have totally abandoned his
principal's interests and be acting entirely for his own or
another's purposes," not the corporation's (Center, 66 NY2d 784-
785 [emphasis added]). So long as the corporate wrongdoer's
fraudulent conduct enables the business to survive -- to attract
investors and customers and raise funds for corporate purposes --
this test is not met (Baena, 453 F3d at 7 ["A fraud by top
management to overstate earnings, and so facilitate stock sales
or acquisitions, is not in the long-term interest of the company;
but, like price-fixing, it profits the company in the first
instance"]).
he mere fact that a corporation
is forced to file for bankruptcy does not determine whether its
agents' conduct was, at the time it was committed, adverse to the
company (see e.g., Barnes v Hirsch, 215 App Div 10, 11 [1st Dept
1925] [trustee's claim dismissed where it sought to recover for
agents' fraud "practiced on these customers" of debtor rather
than debtor itself], affd, 242 NY 555 [1926]). Even where the
insiders' fraud can be said to have caused the company's ultimate
bankruptcy, it does not follow that the insiders "totally
abandoned" the company.
Finally, the Litigation Trustee suggests that any in
pari delicto defense "should not be a total bar to recovery, but
at most a basis for apportionment of fault and damages as between
the defendant and the company's successor trustee" under CPLR
1411. The derivative plaintiffs go even further, claiming that
in pari delicto was abolished when the Legislature enacted CPLR
1411 in 1975. As PwC points out, though, there is no reason to
suppose that the statute did away with common law defenses based
on intentional conduct, such as in pari delicto, although we
could presumably reinterpret New York common law in this area to
provide for comparative fault, as New Jersey has done. The
effect again would be to marginalize the adverse interest
exception. And, of course, comparative fault contradicts the
public policy purposes at the heart of in pari delicto
the Litigation Trustee and the
derivative plaintiffs urge us to consider that, although they
both stand in the shoes of corporate malefactors, any recovery
they achieve will, in fact, benefit blameless unsecured creditors
(in the Refco case) and shareholders (in the AIG case) at the
expense of defendants who allegedly assisted the fraud or were
negligent.
why should the
interests of innocent stakeholders of corporate fraudsters trump
those of innocent stakeholders of the outside professionals who
are the defendants in these cases? The costs of litigation and
any settlements or judgments would have to be borne, in the first
instance, by the defendants' blameless stakeholders
see Securities and Exchange
Commn. v Tambone, 597 F3d 436, 452-453 [1st Cir 2010] [Boudin,
J., concurring] ["No one sophisticated about markets believes
that multiplying liability is free of cost. And the cost,
initially borne by those who raise capital or provide audit or
other services to companies, gets passed along to the public".
The owners and creditors
of KPMG and PwC may be said to be at least as "innocent" as
Refco's unsecured creditors and AIG's stockholders.


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