Diritto commerciale  -  Redazione P&D  -  14/12/2021

Concordato preventivo – Eccessiva durata e assenza di causa - Paolo di Martino

Note a commento:

  • Decreto del Tribunale di Imperia del 10 novembre 2021(G.D. dott.ssa Silvana Oronzo) e 
  • Sentenza del Tribunale di Milano del 22 dicembre 2020 (G.D. dott.ssa Alida Paluchowski)

Abstract 

Il contributo affronta alcuni delicati risvolti in tema di compatibilità della procedura di concordato preventivo con le tempistiche di definizione del piano di concordato, soffermandosi in particolare sulla circostanza che la realizzazione del piano è dipendente da accadimenti futuri e incerti, non rientranti nella sfera di controllo e di disponibilità della società e, in quanto tali, non compiutamente suscettibili di essere oggettivamente valutabili ai fini del giudizio di fattibilità del piano.  

La giurisprudenza analizzata nel presente articolo presenta numerosi punti di contatto e giunge a conclusioni del tutto sovrapponibili che saranno affrontati congiuntamente muovendo le basi da presupposti analoghi: il “fattore tempo”, ai fini della valutazione dell’esistenza della causa in concreto ancor prima che della fattibilità della proposta rimessa ai creditori, è requisito imprescindibile del piano di concordato onde assicurare l’effettiva idoneità di quest’ultimo a integrare tutti i requisiti previsti dalla legge fallimentare.

Il caso: Sentenza del Tribunale di Milano del 22 dicembre 2020 (G.D. dott.ssa Alida Paluchowski)

Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano si pronuncia - rigettandolo - sul ricorso ex artt. 160 e ss. Legge Fallimentare promosso dalla XXX s.a.s. di YYY e C. per carenza dei presupposti di fatto e di diritto e provvedendo altresì sull’istanza di fallimento nelle more depositata dal P.M. 

Il caso: Decreto del Tribunale di Imperia del 10 novembre 2021 (G.D. dott.ssa Silvana Oronzo)

Diversamente, con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Imperia si è pronunciato sul procedimento di revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo della società ZZZ S.c.p.A.; procedimento aperto d’ufficio sulla scorta delle informative rese dal Commissario Giudiziale allo scopo principalmente di valutare la compatibilità della procedura “con i tempi di definizione di numerosi aspetti del piano concordatario, in gran parte dipendenti da accadimenti al di fuori della disponibilità della società”. 

  1. Sull’eccessiva durata del piano di concordato e sull’abuso del ricorso allo strumento concordatario 

Come anticipato, entrambe le pronunce consentono di fare alcune riflessioni su un tema delicato e non sempre esaustivamente approfondito quale l’assoluta rilevanza del profilo relativo alle tempistiche di adempimento indicate dal debitore nel piano di concordato e l’incidenza di detto aspetto sul giudizio di fattibilità del concordato. 

Come noto, infatti, ai sensi dell’art. 160, comma 1, lett. a)  della Legge Fallimentare, il debitore può proporre ai propri creditori un piano che preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori mediante qualsiasi forma, scongiurando dunque il fallimento

La valutazione sulla fattibilità del piano, ovvero della “convenienza” del medesimo rispetto all’alternativa fallimentare, compete in via esclusiva ai creditori che la esprimono esercitando il proprio diritto di voto e si fonda, da una parte, sulla relazione attestativa del professionista incaricato e, dall'altra, sui rilievi mossi dal commissario giudiziale. 

Nel caso esaminato dal Tribunale di Milano, la tipologia del concordato proposto era in parte liquidatorio e in parte in continuità e, circostanza non di poco conto, realizzabile astrattamente in un arco temporale di dieci anni. Il piano finanziario proposto dal debitore, inoltre, prevedeva il pagamento dei soli creditori muniti di privilegio in cinque anni (“a decorrere dal 2021 con termine al 2025…”)  e, dunque, con tempistiche superiori rispetto al limite biennale previsto dall’art. 186bis L.F. Da ultimo, la proposta di concordato, come rilevato anche dal Giudice, non ipotizzava alcuno scenario di ripresa commerciale del settore (evidentemente esclusa dallo stesso imprenditore) né ipotizzava possibili effetti favorevoli sull’attività di impresa dell’andamento economico generale non consentendo in tal modo, né al professionista incaricato né tantomeno ai creditori, di fare delle previsioni in ordine alla fattibilità ed effettiva convenienza, rispetto all’alternativa fallimentare, della proposta concordataria.

Lo stesso professionista attestatore confermava le criticità della proposta di concordato formulata dal debitore, evidenziando altresì i propri dubbi sul giudizio di fattibilità del piano che appariva condizionato “da eventi futuri e variabili che sono propri di una tempistica di esecuzione troppo lunga, in uno scenario economico difficilissimo, connotato da un nuovo lockdown territoriale con riflessi sui punti vendita aperti al pubblico…[la società svolgeva la propria attività di impresa essenzialmente attraverso punti vendita dislocati sul territorio di riferimento ndr.].  

I creditori intervenuti evidenziavano le medesime perplessità sollevate dal professionista e non superate neppure dalle successive difese formulate dal debitore. Nelle more, il PM depositata istanza di fallimento della Società non ritenendo sussistere i presupposti per l’ammissione del concordato a causa: a) dell’impossibilità di qualificare come nuova finanza i frutti civili derivanti da un contratto di locazione stipulato dalla Società in relazione ad un immobile di proprietà; b) dall’assenza di causa concreta del concordato, non ritenendosi integrato il sinallagma richiesto a tal fine la previsione dell’inizio di soddisfacimento di creditori chirografari oltre il quinto anno.

L’organo giudicante, investito della questione, accoglieva i rilievi mossi dal professionista, dal PM e dai creditori intervenuti, evidenziando che: 

  1. dato il lunghissimo arco temporale del piano decennale, oltre la ragionevole durata finanziaria e processuale, proprio per l’impossibilità di prevedere ex ante i riflessi aziendalistici e macroeconomici, l’attestazione sarà forzatamente “condizionata” ad eventi futuri ed incerti, quindi si avrà come non apposta, in violazione dell’art. 161 l. fall.; 
  2. per quanto sopra, “una soddisfazione minima ed irrisoria o inesistente oltre 4-5 anni dall’omologa…importa una loro totale assenza di percezione di utilità economico/finanziaria e di soddisfazione anche minima, in violazione della necessaria “causa in concreto” che caratterizza il sinallagma concordatario, atteso che a norma dell’art. 161 lettera e) della legge fallimentare impone che la proposta debba indicare l’utilità specificatamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.

In definitiva, il collegio osservava che “soltanto al limite della ragionevole durata per i creditori privilegiati erariali e previdenziali il piano di concordato performerebbe al quinto anno più e meglio dell’alternativa fallimentare…il che rende il fallimento e il concordato sostanzialmente paritari quanto alla soddisfazione dei privilegiati in un arco corretto di ragionevole durata”.

Secondo il ragionamento del Giudice, nell’ambito della verifica della fattibilità giuridica della proposta di concordato, occorre effettuare una valutazione in concreto della proposta di concordato all’esito della quale occorrerà constatare l’effettiva sussistenza della causa in concreto, condizione imprescindibile di ogni procedura di concordato ed elemento necessario ai fini della legittimità del giudizio di fattibilità, attestato dal professionista incaricato, sul quale saranno chiamati ad esprimersi i creditori. 

Come ribadito dalla giurisprudenza maggioritaria, “il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti…e si attua verificandosene l’effettiva realizzabilità della causa concreta...” (Cass., SS.UU. n. 1521/2013). 

Proprio con riferimento alla verifica della causa in concreto (sulla quale, come detto, tutte le parte coinvolte sono chiamate, ciascuna con poteri e funzioni proprie, ad esprimersi) la giurisprudenza ha chiarito che il giudizio di fattibilità non può presumere dalla verifica della sussistenza della causa concreta della procedura “da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento…, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro” (Cass. SS.UU. n. 1521/2013). 

Il Giudice, preso atto della situazione, osserva che “soltanto al limite della ragionevole durata per i creditori privilegiati erariali e previdenziali il piano di concordato “performerebbe” al quinto anno più e meglio dell’alternativa fallimentare…il che rende il fallimento e il concordato sostanzialmente paritari quanto alla soddisfazione dei privilegiati in un arco corretto di ragionevole durata”. Pertanto, nell’ambito della verifica della fattibilità giuridica, il Giudice rilevava che “la proposta dovrà ritenersi manifestamente inadatta a perseguire la causa concreta cui la procedura è volta” (consistente nel consentire il superamento della crisi dell’imprenditore e nel riconoscere agli aventi diritto la realizzazione del credito vantato in tempi ragionevolmente contenuti) e, per l’effetto, dichiarava “inammissibile ex art. 162 co. 2 L.F.” il ricorso ex art. 160 e ss. L.F. depositata dalla Società provvedendo altresì, con provvedimento separato, sull’istanza di fallimento depositata dal PM.

*

Alle medesime conclusioni giunge anche il Tribunale di Imperia chiamato a pronunciarsi sulla revoca del concordato preventivo della ZZZ S.c.p.A. alla luce delle perplessità avanzate dalle parti coinvolte in relazione alle tempistiche di definizione “di numerosi aspetti del piano concordatario, in gran parte dipendenti da accadimenti al di fuori della disponibilità della società…”.

La proposta di concordato, infatti, prevedeva che numerosi adempimenti societari e amministrativi della Società fossero rimessi, in via esclusiva, all’iniziativa di un Commissario ad acta all’uopo nominato e “determinati dalla disciplina pubblicistica”.

A fronte di tale situazione, il Tribunale, anche in considerazione del fatto che la proposta era strettamente legata alle citate vicende amministrative della Società, concentrava la propria disamina su aspetti di responsabilità degli organi della procedura, ai danni dei creditori, “sia nella prospettazione dei dati contabili sia in ordine alla gestione della fase post ammissione...”. In sintesi, secondo i rilevi formulati dalle parti coinvolte nella procedura, sarebbero state poste in essere attività ostative alla corretta informazione dei creditori e concretamente lesive dei loro interessi anche in relazione alle tempistiche di adempimento del piano che si discostavano - e non di poco – dagli originari tempi indicati. Proprio in relazione al “fattore tempo”, il Giudice, applicava pedissequamente l’insegnamento della Cassazione SS.UU n. 1521/2013 già citata, secondo cui i profili di fattibilità della proposta nell’accettazione “dell’effettiva idoneità di quest’ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura” (causa concreta) su cui l’organo giudiziario ha piena cognizione pur nel contesto dell’ampia valorizzazione della natura negoziale della disciplina concordataria.

In particolare, secondo la giurisprudenza citata la limitazione del diritto dei creditori e la lievitazione dei costi di gestione per effetto del protrarsi della procedura trova un fisiologico bilanciamento nella previsione di un ristretto termine di durata della procedura (la L.F., articolo 181, prevede infatti che l’omologazione del concordato debba intervenire nel termine di sei mesi, prorogabile una sola volta), mentre la L.F., articolo 137, richiamato dall’articolo 186 L.F  . in tema di risoluzione, stabilisce che il relativo ricorso deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato. Ne consegue, come evidenziato dal Tribunale di Imperia nella sentenza in commento chela rilevanza del profilo relativo ai tempi di adempimento indicati dal debitore nella proposta e l’incidenza di detto aspetto sulla valutazione di quest’ultima nei suoi termini complessivi e quindi, per la parte di specifico interesse, sul giudizio di fattibilità del concordato”.

In conclusione, Il Tribunale accertata l’irragionevole durata della procedura (che rischiava di “svolgersi…complessivamente in un arco temporale di circa 8-9 anni.”) revocava l’ammissione alla procedura di concordato preventivo della ZZZ.  

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Si osserva che con la riforma della legge fallimentare del 2015 il nostro Legislatore si è posto come obiettivo principale quello di evitare che potessero essere ancora presentate proposte per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, che lasciassero del tutto indeterminato e aleatorio il conseguimento di un’utilità specifica per i creditori. Proprio in quest’ottica è stato innovato l’art.161 co.2 lett.e) L.F., prevedendo che, per qualsiasi forma di concordato preventivo, “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”. 

Il debitore è quindi chiamato a specificare nel dettaglio cosa stia promettendo a ciascuno degli aventi causa. Il termine “utilità”, unito all’espressione “economicamente valutabile”, induce a ritenere che si tratti di un’obbligazione non necessariamente pecuniaria, ma che possa assumere anche una forma diversa (es. Strumenti Finanziari Partecipativi). Nella valutazione dell’innovazione normativa apportata appare inoltre decisivo il termine “assicurare” che induce a ritenere vincolante l’impegno assunto da parte del debitore nell’ambito della proposta. 

Se tale norma venisse semplicisticamente interpretata nel senso che “l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile”, che il debitore si obbliga ad assicurare a ciascun creditore, coincide con il mero obbligo del debitore stesso di mettere a disposizione della massa creditoria il proprio patrimonio od i futuri risultati economici sperati, senza che l’impegno assunto nei confronti dei creditori, in termini di soddisfacimento delle rispettive ragioni, possa assumere carattere vincolante, si vanificherebbe la portata innovativa stessa della riforma. 

La portata innovativa va ricercata nella massimizzazione della recovery dei creditori attraverso condotte quanto più virtuose da parte dei debitori concordatari. Proprio per questo motivo l’utilità che il debitore si obbliga ad assicurare implica che la proposta stessa non possa limitarsi ad una prospettazione ai creditori di un eventuale adempimento, concretizzandosi di fatto in una mera ipotesi, dovendo invece assumere il rango di vero e proprio impegno. 

In tale contesto il debitore è pur sempre tutelato dall’aleatorietà della proposta concordataria per effetto della “non scarsa importanza” dell’inadempimento (quindi non da qualsiasi inadempimento), da cui potrebbe derivare la risoluzione del concordato. Argomentare diversamente porterebbe anche ad una completa “decausalizzazione” della procedura concordataria in quanto, non riconoscendosi il carattere vincolante degli impegni assunti dal debitore nei confronti dei creditori (nello specifico i chirografari), la stessa acquisterebbe natura prettamente e tout court aleatoria, non giustificandosi neppure un’eventuale risoluzione per inadempimento della stessa. 

Da qui la necessità affrontata con le innovazioni normative di restituire alla procedura concordataria connotati di serietà e certezza, basati sulla consapevolezza che la crisi non rappresenta sempre un risvolto fisiologico della vita d’impresa, legata a fattori esogeni, ma ben può dipendere da una gestione scellerata e tutt’altro che virtuosa dell’imprenditore, per cui non lo si può favorire di fatto con l’esdebitazione a discapito degli altri stakeholders.

Laddove il Tribunale verifichi, dunque, l’assenza di termini di adempimento ragionevoli per la soddisfazione dei ceti creditori collegata alla impossibilità di mantenere un ragionevole controllo e una ragionevole verificabilità del piano industriale e relativo business plan in ragione dell’eccessiva durata dello stesso (es. oltre 8 anni) per il rimborso vuoi in denaro vuoi con altra utilità (come ad esempio gli SFP), dovrà essere dichiarata l’assenza della causa in concreto del concordato.




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