-  Gribaudi Maria Nefeli  -  29/10/2012

CONCORSO DI STATI PREGRESSI ED ERRORE MEDICO - Maria Nefeli GRIBAUDI

La problematica relativa alla rilevanza da attribuire agli stati pregressi ed alla concorrenza causale tra fattori naturali e condotta colposa, si rivela particolarmente importante in campo terapeutico, se solo si considera il fatto che normalmente il medico interviene per curare uno stato patologico già in atto.

Gli stati pregressi, inoltre, assumono un particolare rilievo nella causazione del danno psichico, il quale, secondo autorevole dottrina psichiatrica e medico legale, sarebbe sempre da considerarsi « il prodotto di un"integrazione, unica ed irripetibile per ogni individuo, di un insieme di fattori che si intersecano e si influenzano tra loro».[1]

La giurisprudenza maggioritaria si è orientata nel senso dell"irrilevanza dei fattori naturali, riconoscendo efficacia interruttiva solo a quelle cause naturali che siano state da sole sufficienti a determinare l"evento dannoso, indipendentemente dalla condotta umana: solo in tal caso quest"ultima può ritenersi in concreto priva di efficienza causale ed il medico sollevato, per l"intero, da ogni responsabilità.

Qualora infatti si sia dinnanzi ad un concorso tra condotta umana e fattori naturali, l"accertamento causale si pone di fronte ad una alternativa secca, tertium non datur:

«o le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell'uomo non si presentano bastevoli ad ingenerare, senza l'apporto efficiente di questo, quella alterazione che costituisce l'evento di danno (ed allora l'autore del comportamento imputabile, attivo od omissivo, rimane responsabile, per intero, di tutte le conseguenze scaturenti secondo normalità dall'evento medesimo); oppure quelle condizioni ambientali e quei fattori naturali, od uno tra essi, si palesano o si palesa sufficiente a determinare l'evento di danno a prescindere dall'apporto di un comportamento umano imputabile (ed allora l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità, dell'evento non avendo posto in essere alcun antecedente dotato, in concreto di efficienza concausale) ».

(Cass., sez. III, 16 febbraio 2001, n.2335, RCP, 2001, 580).

In tal ultimo caso, infatti,

«non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile».

(Cass., sez. III, 16 febbraio 2001, n.2335, RCP, 2001, 580).

Secondo tale orientamento la regola dell"irrilevanza delle concause naturali, troverebbe il proprio supporto normativo nell"art. 1227, 1 ˚ co., c.c., il quale fa riferimento alle sole condotte colpevoli del creditore che abbiano concorso a cagionare il danno, ma non anche alle cause naturali.

Un frazionamento della responsabilità, invero, non troverebbe applicazione nei confronti del danneggiato neanche dinnanzi al concorso di più condotte imputabili poiché, l" art. 2055 c.c., nel sancire la regola della responsabilità solidale, attribuisce rilievo alle singole responsabilità solo nei rapporti interni ovvero in sede di azione di regresso.

Sullo sfondo di tale consolidato orientamento, si staglia l"eccentrica pronuncia della Cassazione del 16 gennaio 2009 che pone un brusco e inaspettato arresto all"indirizzo de quo[2] .

Il decisum riguarda, sotto il profilo fattuale, un intervento chirurgico di simpaticectomia lombare, prodromica all'inserimento di un by-pass femoro-popliteo alla gamba destra, all'esito del quale il malato, già affetto da problemi cardiaci, decedeva per infarto: gli accertamenti tecnici espletati non essendo in grado di affermare in modo risolutivo se la morte fosse dipesa, autonomamente, dal compromesso stato fisico di quest'ultimo, davano rilievo nella causazione del decesso al concorso tra l"errore medico e la preesistente patologica vascolare di cui era affetto il paziente.

I giudici di legittimità, superano le incertezze relative all"accertamento del nesso eziologico attraverso la graduazione della responsabilità, ritenendo applicabile già in fase di accertamento della causalità materiale il criterio equitativo, attraverso un"interpretazione estensiva dell"art. 1226 c.c..

Segnatamente, si legge in tale pronuncia, quando non è possibile stabilire se l"evento dannoso sia riconducile alla stato di salute già precario del paziente o all"errore del medico, perché di fatto causato dal concorso di entrambi i fattori,

«sarà compito del giudice del merito procedere alla specifica identificazione della parte di danno rapportabile all'uno o all'altra, eventualmente con criterio equitativo».

Pertanto, allorché vi è stato un inadempimento colposo e non si possa concludere con certezza che esso sia la causa dell'evento dannoso e neppure lo si può escludere,

«anziché accollare l'intero peso del danno all'uno o all'altro soggetto, è possibile lasciare a carico del danneggiato il peso del danno alla cui produzione ha concorso a determinare il suo stato e imputare all'altro il peso del danno la cui produzione può aver trovato causa nella condotta negligente sua ».

(Cass., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975, in FI, 2010, 3, I, 994).

Secondo la pronuncia de qua a legittimare la graduazione in senso equitativo-proporzionale della responsabilità sarebbero, sotto il profilo normativo, gli stessi artt. 2055 e 1227 c.c. i quali consentirebbero, rispettivamente, di ricorrere ad una scissione del nesso causale, rilevante nel primo caso nei rapporti interni e nel secondo in quelli esterni:

«sotto la medesima ratio si può ricondurre il caso in cui l'evento letale, sia la conseguenza del concorso della condotta del sanitario con la situazione patologica del soggetto deceduto, non essendovi ragione per usare al fattore causale meramente naturale un trattamento diverso rispetto a quello riservato al fatto dello stesso danneggiato ».

(Cass., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975, in FI, 2010, 3, I, 994).

Tale orientamento tuttavia è stato da ultimo abbandonato dai giudici di legittimità, i quali, prendendo le distanze dalla possibilità di effettuare una riduzione equitativo-proporzionale della responsabilità in seno al giudizio di accertamento del nesso causale, hanno confermato la regola dell"irrilevanza dei fattori naturali, salvo che siano dotati di efficacia interruttiva: tertium non datur.

Pertanto, nessuna graduazione deve essere ammessa in sede di accertamento del nesso causale: inconferente è il richiamo effettuato dalla sentenza Cass. 16 gennaio 2009, n. 975 agli artt. 2055 e 1227 c.c., norme deputate a regolare esclusivamente il concorso di cause imputabili.

La misura dell"incidenza causale dei singoli fattori concorrenti sul piano eziologico non è tuttavia priva di rilevanza: questa, infatti, non incide sul giudizio sul nesso causale, giudizio questo che verte sull"alternativa della sua esistenza/inesistenza, ma rileva, in un momento successivo, sul piano della causalità giuridica in cui è ben possibile ricorre a criteri equitativi.

Gli stati pregressi del danneggiato, pertanto, rilevano, previo accertamento della causalità materiale, in sede di quantificazione delle conseguenze pregiudizievoli suscettibili di risarcimento, la quale, in omaggio alla teoria differenziale del danno, deve tener conto

« delle conseguenze dannose dell'evento in termini di se e di quanto di differenze in negativo che il fatto lesivo - ormai definitivamente imputato al debitore - abbia cagionato in capo alla vittima, tenuto conto delle sue condizioni precedenti all'evento pregiudizievole e degli stati in cui si sarebbe venuto a trovare se l'evento in parola non fosse intervenuto».

(Cass. sez.III, 21 luglio 2011, n. 15991, RCP, 2011, 12, 2496).

In definitiva possono ipotizzarsi quattro situazioni in cui diversamente rilevano i pregressi stati di salute del danneggiato:

« - il danneggiato, affetto da una patologia pregressa ed irreversibile dagli effetti già invalidanti, subisce un'ulteriore vulnus alle sue condizioni di salute: in questa ipotesi il danno risarcibile sarà determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidità complessivamente presentato dal danneggiato dopo l'intervento medico e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile (commissivo od omissivo), ferme restando le valutazioni del singolo caso sul piano di eventuali ripercussioni esistenziali e/o economiche sulla vita del danneggiato;

- il danneggiato, affetto da patologie prive di effetti invalidanti, subisce una menomazione della sua salute con conseguenze invalidanti: in questa ipotesi, il giudice di merito dovrà determinarsi nel senso dell'irrilevanza dello stato patologico pregresso, salva rigorosa dimostrazione che gli effetti invalidanti si sarebbero comunque verificati a prescindere dalla concausa imputabile;

- il danneggiato, già affetto da uno stato di invalidità potenzialmente non idoneo (di per sè e nell'immediatezza) a produrre esiti mortali, decede in conseguenza dell'intervento medico (commissivo od omissivo): in tal caso lo stato di invalidità pregresso non potrà rilevare quanto ai danni risarcibili iure proprio ai congiunti, mentre potrebbe condurre ad una riduzione del quantum dei pregiudizi risarcibili iure successionis, sempre che il danneggiante fornisca la prova che la conseguenza dannosa dell'evento (nella specie, la morte) sia stata cagionata anche dal pregresso stato di invalidità;

- il danneggiato, già in condizioni invalidanti idonee a condurlo alla morte a prescindere da eventuali condotte di terzi, decede a seguito dell'intervento (commissivo od omissivo): la risarcibilità iure proprio del danno patrimoniale e non patrimoniale - riconosciuto ai congiunti potrà subire un ridimensionamento in considerazione del verosimile arco temporale in cui i congiunti avrebbero potuto ancora godere, sia sul piano affettivo che economico, del rapporto con il soggetto anzitempo deceduto».

(Cass. sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991, RCP, 2011, 12, 2496).



[1] Marigliano, Brondolo, Il danno da menomazione psichica, in Le nuove frontiere del danno risarcibile, (a cura di Cannavò), Pisa, 1995, 96.

[2] Cass., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975, in FI, 2010, 3, I, 994.




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