-  Redazione P&D  -  05/10/2014

CONSENSO E RIFIUTO DI TERAPIE, DIMENSIONI DELLA SALUTE - Paolo ZATTI

questioni della sospensione dei trattamenti sanitari: "questa sentenza - sottolinea Zatti - mi entusiasma: ...pare che l"abbiamo scritta noi !  Mentre sottolinea la necessità di un intervento legislativo, enuncia un diritto vigente della relazione di cura che corrisponde in tutto al nostro progetto. Io credo, spero, che non si parli più di incertezza del diritto attorno alle nostre questioni, almeno per i principi di fondo".

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43. La Suprema Corte di Cassazione, proprio nel caso di-OMISSIS-, ha affermato il fondamentale principio che il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.

43.1. Ciò è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé; vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente; concepisce l"intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del "rispetto della persona umana" in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.

43.2. Ed è altresì coerente, ha soggiunto la Cassazione, con la nuova dimensione che ha assunto la salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza

43.3. Deve escludersi, ha stabilito ancora la Suprema Corte, che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita.

43.4. Benché sia stato talora prospettato un obbligo per l"individuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti o di omettere comportamenti ritenuti vantaggiosi o addirittura necessari per il mantenimento o il ristabilimento di essa, la Suprema Corte ha ritenuto che la salute dell"individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva.

43.5. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, ha chiarito ancora la Cassazione, c"è spazio – nel quadro della c.d. "alleanza terapeutica", che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno – per una strategia della persuasione, perché il compito dell"ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c"è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale.

43.6. Ma, allorché il rifiuto abbia tali connotati, non c"è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.

43.7. Lo si ricava dallo stesso testo dell"art. 32 Cost., per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sempre che il provvedimento che li impone sia volto ad impedire che la salute del singolo possa arrecare danno alla salute degli altri e che l"intervento previsto non danneggi, ma sia anzi utile alla salute di chi vi è sottoposto (Corte cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996).

43.8. Soltanto in questi limiti è costituzionalmente corretto ammettere limitazioni al diritto del singolo alla salute, il quale, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell"interessato, finanche di lasciarsi morire.

44. Ora è evidente che la pronuncia della Suprema Corte, le cui argomentazioni salienti sono state sin qui richiamate e riassunte, segna un momento decisivo nell"affermazione dell"autodeterminazione terapeutica del paziente e, nel contempo, manifesta l"intervenuta acquisizione della consapevolezza della centralità del paziente nel percorso di cura.

44.1. Dall"antico paternalismo medico, che vedeva informazione e consenso del paziente rimessi integralmente all"apprezzamento del medico, unico sostanzialmente a sapere e decidere cosa fosse "bene", in termini curativi, per il paziente, anche la nostra giurisprudenza, dopo un lungo e travagliato percorso, è pervenuta così all"affermazione del moderno principio dell"alleanza terapeutica, snodo decisivo sul piano culturale prima ancor che giuridico, poiché riporta il singolo paziente, la sua volontà, il suo consenso informato e, quindi, il singolo paziente quale soggetto e non oggetto di cura al centro del percorso sanitario, nel quale medico e paziente concorrono nella scelta della strategia terapeutica più rispondente alla visione della vita e della salute propria della persona che si sottopone alla cura.

44.2. La "cura" non è più quindi più un principio autoritativo, un"entità astratta, oggettivata, misteriosa o sacra, calata o imposta dall"alto o dall"esterno, che ciò avvenga ad opera del medico, dotato di un elevato e inaccessibile sapere specialistico, o della struttura sanitaria nel suo complesso, che accoglie e "ingloba" nei suoi impenetrabili ingranaggi l"ignaro e anonimo paziente, ma si declina e si struttura, secondo un fondamentale principium individuationis che è espressione del valore personalistico tutelato dalla Costituzione, in base ai bisogni, alle richieste, alle aspettative, alla concezione stessa che della vita ha il paziente.

44.3. La decisione terapeutica ha nel consenso informato e nell"autodeterminazione del paziente il suo principio e la sua fine, poiché è il paziente, il singolo paziente, e non un astratto concetto di cura, di bene, di "beneficialità", il valore primo ed ultimo che l"intervento medico deve salvaguardare.

44.4. Nessuna visione della malattia e della salute, nessuna concezione della sofferenza e, correlativamente, della cura, per quanto moralmente elevata o scientificamente accettata, può essere contrapposta o, addirittura, sovrapposta e comunque legittimamente opposta dallo Stato o dall"amministrazione sanitaria o da qualsivoglia altro soggetto pubblico o privato, in un ordinamento che ha nel principio personalistico il suo fondamento, alla cognizione che della propria sofferenza e, correlativamente, della propria cura ha il singolo malato.

44.5. Ciò non deve naturalmente comportare un pericoloso soggettivismo curativo o un relativismo terapeutico nel quale è "cura" tutto ciò che il singolo malato vuole o crede, perché nell"alleanza terapeutica è e resta fondamentale l"insostituibile ruolo del medico nel selezionare e nell"attuare le opzioni curative scientificamente valide e necessarie al caso, ma solo ribadire che la nozione statica e "medicale" di salute, legata cioè ad una dimensione oggettiva e fissa del benessere psico-fisico della persona, deve cedere il passo ad una concezione soggettiva e dinamica del concreto contenuto del diritto alla salute, che si costruisce nella continua e rinnovata dialettica medico-paziente, di modo che tale contenuto, dal suo formarsi, al suo manifestarsi sino al suo svolgersi, corrisponda effettivamente all"idea che di sé e della propria dignità, attraverso il perseguimento del proprio benessere, ha il singolo paziente per realizzare pienamente la sua personalità, anzitutto e soprattutto nelle scelte, come quelle di accettare o rifiutare le cure, che possono segnarne il destino.

44.6. Nella sentenza n. 438 del 2008 la Corte costituzione ha ben sottolineato, al riguardo, che il consenso informato, che legittima il trattamento medico, abbia fra l"altro la "funzione di sintesi" proprio tra autodeterminazione e salute.

44.7. Si tratta di diritti fondamentali che proprio nella sintesi del consenso informato, nell"ambito dell"alleanza terapeutica, trovano il loro indefettibile, irriducibile, incomprimibile equilibrio a tutela della persona quale valore in sé nell"ambito del nostro ordinamento (art. 2 Cost.).

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57.4. L"impostazione seguita dalla Regione non risponde e non si attiene, infatti, al fondamentale principio che anima l"art. 32 Cost. e, cioè, l"idea stessa di salute individuale come profilo attraverso il quale l"ordinamento contribuisce alla realizzazione della personalità del singolo. 57.5. Questo principio, di immediata efficacia e di diretta applicazione, dà diritto ad una prestazione positiva da parte dell"Amministrazione, prestazione complessa che va dall"accoglimento del malato alla comprensione delle sue esigenze e dei suoi bisogni, dall"ascolto delle sue richieste alla diagnosi del male, dall"incontro medico/paziente alla nascita all"elaborazione di una strategia terapeutica condivisa, alla formazione del consenso informato all"attuazione delle cure previste e volute, nella ricerca di un percorso anzitutto esistenziale prima ancor che curativo, all"interno della struttura sanitaria, che abbia nella dimensione identitaria del malato, nella sua persona e nel perseguimento del suo benessere psico-fisico, il suo fulcro e il suo fine.

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57.6. Al centro di questa complessa prestazione sta infatti il malato, in tutta la sua complessa e spesso fragile umanità, non certo un concetto astratto e, comunque, imposto di cura.

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58. Proprio per questa sua insopprimibile e inviolabile dimensione intima e individuale, che muove dalla pura coscienza di sé, del proprio corpo e della propria individualità, il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente non può incontrare un limite, di fatto o di diritto, nemmeno allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita.

59. La Suprema Corte, nella sentenza del 16.10.2007, n. 21748, ha chiarito che la salute dell"individuo non può essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva o di un astratto dovere di cura in nome di superiori principi.

60. All"obiezione di principio secondo cui tale concezione individualistica della salute sarebbe velleitaria e illusoria, non avendo in realtà l"individuo alcuna consapevolezza e, comunque, alcuna signoria, men che mai di natura medica, sul sé e sul proprio corpo, si può e deve rispondere che tale critica, quand"anche fondata, mai potrebbe costituire un motivo per espropriare l"individuo, ad opera dello Stato, dell"autorità sanitaria o del medico, di quel poco o tanto dominio, che pur gli sia concesso, sulla sua vita, sulla sua sofferenza e sulla speranza e sul bisogno di vivere secondo la propria visione dell"esistenza finanche l"esperienza più dolorosa della malattia.

Nutrizione artificiale

 

35.3. In conclusione, sostiene l"appellante, errerebbe il T.A.R. nell"affermare che, nel caso di idratazione e di alimentazione artificiale, ci si troverebbe in presenza di "atti medici" o "trattamenti medici in senso proprio".

36. La tesi dell"appellante è infondata.

36.1. Essa contrasta anzitutto, e inammissibilmente, con quanto ha stabilito, ormai con autorità di giudicato, la Suprema Corte di Cassazione, laddove ha ritenuto che "non v"è dubbio che l"idratazione e l"alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario" e che "esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche" (Cass., sez. I, 16.10.2007, n. 21478). 36.2. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale, come ha osservato la Suprema Corte. 36.3. Per questo, se anche si volesse per absurdum prescindere, come pretende la Regione, dalla valutazione della Cassazione, la tesi dell"appellante non meriterebbe condivisione.

 

37. La nutrizione e l"idratazione artificiale costituiscono trattamenti medici.

37.1. La tesi della Regione appellante è, in tal senso, destituita di fondamento scientifico né può trovare solido conforto nel parere, per quanto autorevole sul piano morale, di una commissione che non ha per legge competenze scientifiche in materia o di un mero atto di indirizzo del Ministro delle Politiche Sociali, che proprio a tale parere si richiama e che non può certo, per factum principis, imporre una  definizione scientifica di trattamento sanitario.

37.2. Il richiamo a tali atti, basterebbe qui solo aggiungere, integra del resto una motivazione postuma, non presente nel provvedimento impugnato, del tutto inammissibile, al di là della sua totale inattendibilità sul piano scientifico.

37.3. Questo Consiglio già in una propria precedente pronuncia ha chiarito che la nutrizione artificiale è un complesso di procedure mediante le quali è possibile soddisfare i fabbisogni nutrizionali di pazienti che non sono in grado di alimentarsi sufficientemente per la via naturale (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 2.9.2013, n. 4364).

37.4. La società scientifica di riferimento in Italia, la Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale (SINPE), nelle sue Precisazioni in merito alle implicazioni bioetiche della nutrizione artificiale del gennaio 2007, ha definito appunto tale forma di nutrizione come "un complesso di procedure mediante le quali è possibile soddisfare i fabbisogni nutrizionali di pazienti non in grado di alimentarsi sufficientemente per via naturale".

37.5. Si distinguono, in particolare, due tipi di nutrizione artificiale (NA): la forma parenterale, in cui i nutrienti (acqua, glucosio, aminoacidi, elettroliti, grassi, vitamine, oligoelementi) vengono immessi direttamente nella circolazione sanguigna attraverso una vena di grosso calibro, e la forma enterale, in cui i nutrienti sono somministrati direttamente nel tubo digerente mediante apposite sonde inserite dal naso oppure attraverso orifizi creati  chirurgicamente nell"addome (le cc.dd. stomie e, tipicamente, la PEG, Percutaneous Endoscopic Gastronomy).

37.6. Nel caso di-OMISSIS- la nutrizione artificiale era di tipo enterale e veniva somministrata tramite un sondino naso-gastrico.

38. La SINPE, che ha fatto propria la posizione di omologhe società internazionali, ha chiarito che "la NA è da considerarsi, a tutti gli effetti, un trattamento medico fornito a scopo terapeutico o preventivo" e che "la NA non è una misura ordinaria di assistenza (come lavare o imboccare il malato non autosufficiente)" poiché essa ha, come tutti i trattamenti medici, indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati.

38.1. L"attuazione della NA, proprio per questo, presuppone e prevede il consenso informato del paziente o del suo delegato, secondo le norme del codice deontologico.

 

Rifiuto di cure e obblighi della ammnistrazione sanitaria.

46.5. Non può dunque l"Amministrazione sanitaria sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l"accettazione della morte da parte del consapevole paziente.

Tale condotta, illegittima, non è soltanto contraria all"inviolabile principio personalistico, di cui è espressione l"informata e volontaria scelta di rifiutare le cure da parte del paziente, ma anche all"altrettanto fondamentale principio solidaristico, poiché, come si è già supra chiarito, il richiesto distacco del sondino naso-gastrico voluto dal paziente, ancor prima e più delle pur invocate successive cure palliative e della sedazione, è – al pari del suo posizionamento e, appunto, quale contrarius actus di questo – un atto medico, che richiede la necessaria cooperazione della struttura sanitaria.

46.7. Non è qui solo questione di un paziente incapace, perché in stato vegetativo permanente, quale era-OMISSIS-, poiché qualsivoglia paziente, anche quello capace, non è in grado, da solo e senza procurarsi ulteriori e gratuite sofferenze, di estrarre il sondino dal naso, ponendo termine definitivamente all"alimentazione e all"idratazione artificiale, e di predisporre le necessarie cautele atte ad evitare che tale operazione avvenga senza pericoli immediati o atroci dolori.

46.8. L"interruzione del trattamento sanitario non è quindi e soltanto, nell"ambito di un rapporto obbligatorio, preciso adempimento di un obbligo giuridico, quello di interrompere cure non volute in presenza di un espresso rifiuto del paziente, ma anche preciso adempimento di un più generale dovere solidaristico, che impone all"Amministrazione sanitaria di far cessare tale trattamento, senza cagionare sofferenza aggiuntiva al paziente, laddove egli non voglia più accettarlo, ma non sia tecnicamente in grado di farlo da sé.

46.9. Non vi è dubbio, in tale prospettiva, che l"attuazione del diritto alla salute, proprio per la sua peculiare conformazione e anche nella sua forma di libertà negativa dalla cura, passa attraverso la necessaria intermediazione dell"attività prestata dall"Amministrazione sanitaria e, quindi, attraverso la doverosità di tale prestazione e il contenuto obbligatorio di questa, non essendo il paziente, anche quello capace di esprimere la sua volontà, in grado di soddisfarlo da sé, senza la obbligatoria collaborazione del Servizio Sanitario Nazionale, se si eccettuano quelle ipotesi in cui egli, per la (almeno apparente) semplicità tecnica dell"attività richiesta, è in grado di soddisfarla da sé (come, ad esempio, smettere di prendere un farmaco salvavita).

47. In capo all"Amministrazione sanitaria, dunque, sussiste un vero e proprio obbligo di facere, poiché solo mediante la prestazione della struttura sanitaria è possibile che il diritto del paziente, di fronte al rifiuto del singolo medico, trovi attuazione, né rileva che tale obbligo non sia espressamente affermato dal provvedimento giurisdizionale a carico dell"Amministrazione, poiché esso discende direttamente dalla natura e dall"oggetto del diritto riconosciuto al paziente alla luce dei principi costituzionali  Non può condividersi nemmeno la tesi della Regione appellante nella parte in cui essa deduce che i sanitari che avessero acceduto alla richiesta del tutore avrebbero posto in essere una fattispecie delittuosa e, più precisamente, l"omicidio del consenziente p. e p. dall"art. 579 c.p. 50. La Regione solleva certo un problema delicato, quello della responsabilità penale del personale medico che proceda materialmente al distacco del sondino o all"interruzione di un trattamento sanitario di sostegno vitale, che è stato variamente affrontato e risolto dalla giurisprudenza e dalla dottrina, pur non senza dubbi e contrasti, pervenendosi perlopiù all"affermazione che il medico, proprio per la sua posizione di garanzia nei confronti del paziente, nel rispettare la volontà di interrompere le cure, manifestata da questi, adempia un dovere, ai sensi dell"art. 51 c.p., e che pertanto il suo comportamento sia scriminato e, quindi, non antigiuridico, ma al contrario doveroso in ossequio a superiori precetti costituzionali.

…57.7. Questa nuova dimensione della prestazione sanitaria risponde alle esigenze più profonde di un moderno diritto amministrativo prestazionale (c.d. Leistungsverwaltungsrecht), volto all"erogazione, cioè, di un servizio pubblico fondamentale e di essenziali livelli di assistenza sanitaria (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 17.12.2013, n. 6024).

57.8. In questi livelli rientrano e devono rientrare, pena l"incostituzionalità di un simile sistema, anche le cure connesse e conseguenti alla volontà di interrompere un trattamento sanitario di sostegno vitale, come l"alimentazione e l"idratazione artificiale, né la carenza del quadro normativo in materia, che non si è posto ancora al passo dei principi costituzionali, l"insufficienza o l"arretratezza della legislazione sanitaria o l"assenza di normae agendi o di adeguate misure organizzative può esimere l"Amministrazione sanitaria dall"erogare un doveroso servizio.

57.9. L"obbligo di facere in capo all"Amministrazione non discende solo dall"espressa volontà di interrompere il trattamento sanitario, manifestato dal malato, e quindi nell"attuazione dell"inviolabile principio personalistico, ma anche dall"adempimento di un indefettibile dovere solidaristico, che impone allo Stato e, per esso, all"amministrazione sanitaria di aiutare la persona a rimuovere gli ostacoli di fatto, di ordine fisico o psichico, che non le consentono di realizzare pienamente la sua personalità, anzitutto nel suo percorso di sofferenza, anche attraverso il rifiuto e l"interruzione di cure non avvertite più rispondenti alla visione della propria vita e della propria dignità.

 

Obiezione di coscienza

55.2. Altro e più complesso problema, naturalmente, è quello della c.d. obiezione di coscienza e dell"eventuale rifiuto, da parte del singolo medico, di effettuare una prestazione, ritenuta in scienza e coscienza contraria alle sue più profonde convinzioni etiche e/o ai suoi doveri professionali, come quella di interrompere l"alimentazione e l"idratazione artificiale, provocando la morte del paziente.

55.3. È questo indubbiamente un punto critico e uno snodo fondamentale del rapporto tra autodeterminazione del paziente e autonomia professionale del medico, nel quale tali fondamentali principi, che devono essere entrambi preservati in un ragionevole punto di equilibrio, possono venire a conflitto.

55.4. La ricerca di tale punto di equilibrio rende tanto più indispensabile ed urgente un intervento legislativo che, eventualmente, preveda l"obiezione di coscienza del personale sanitario, a tutela della sua incomprimibile sfera di autonomia professionale e del suo foro "interno", predisponendo nel contempo le misure atte a garantire che l"interruzione del trattamento medico N. 03000/2009 REG.RIC. Pagina 77 di 91 http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezi... 05/09/2014 sia comunque garantita al paziente che ne faccia legittima richiesta dal Servizio Sanitario Nazionale, nel suo complesso, e dalle strutture e dal personale all"uopo designati.

 

Necessità di intervento legislativo

 45.1. L"assenza di una specifica disciplina legislativa, che sia intervenuta, almeno attraverso una normazione di principio, a regolamentare le cc.dd. direttive anticipate di trattamento e a chiarireil contenuto di tale complesso rapporto, aggrava certo la risoluzione di tale questioni e rende arduo all"interprete ricostruire, in un"operazione ricognitiva di più vasto e sistematico respiro, il quadro ordinamentale.

 45.2. Un intervento legislativo è tanto più necessario e indilazionabile per i delicati profili connessi alla vincolatività delle direttive anticipate di trattamento date dal paziente nei confronti del medico, che in altre esperienze giuridiche, come quello tedesca e spagnola, ha ricevuto una risposta positiva, ad esempio, con la previsione della c.d. Patientenverfügung (§ 1901a del BGB) o con la legge n. 41 del 14.11.2002 nell"ordinamento iberico; per la eventuale responsabilità penale del medico, a titolo di omicidio del consenziente (art. 579 c.p.), che con una condotta attiva e non solo omissiva, seppure su richiesta espressa del paziente, interrompa le cure e ne determini la morte, che si ritiene, seppur non senza contrasti, sia scriminata, ai sensi dell"art. 51 c.p., proprio dall"adempimento di un dovere; sull"eventuale previsione dell"obiezione di coscienza, dovendosi comunque garantire la libertà di coscienza che ciascun medico, nella propria autonomia professionale, indubbiamente ha; sull"organizzazione, da ultimo ma non per ultimo, della struttura sanitaria e del personale medico chiamato a ricevere e ad attuare le direttive anticipate di trattamento e sui relativi protocolli, come è avvenuto, ad esempio, nelle modifiche normative di recente apportate al Code de la santé publique in Francia

 

61. Vengono pertanto a cadere e a perdere di fondamento tutti i motivi di censura mossi dalla Regione, motivi che mirano a criticare, in realtà, l"affermazione del principio da parte della Cassazione, affermazione che, diversamente da quanto sostiene la Regione, non è l"arbitraria creazione, in via interpretativa, di una regola non rinvenibile all"interno del nostro ordinamento, ma diretta emanazione dei principi costituzionali, sicché deve escludersi, come ha chiarito la stessa Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione sollevato dalle Camere proprio nella vicenda che ne interessa, la sussistenza di indici atti a dimostrare che i giudici – in particolare la Suprema Corte di Cassazione e la Corte d"Appello di Milano – abbiano utilizzato i loro provvedimenti come meri schemi formali per esercitare, invece, funzioni di produzione normativa o per menomare l"esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento, che ne è sempre e comunque il titolare (Corte cost., ord. n. 334 dell"8.10.2008). 




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