Diversamente mal si concilierebbero le pronunce anche della Corte di Cassazione, in particolare della solita sez. III, che affermano, ad ogni piè sospinto, il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento, sulla consistenza ed estensione dei suoi risultati e delle probabilità di ottenerli collegandovi, in mancanza, non solo la violazione del comportamento secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e della formazione del contratto, sancita dall’art. 1337 c.c., ma anche la violazione dei succitati articoli della carta fondamentale e della legge del ’78 che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente. Pur tuttavia si commette, a volte, il peccato di non invadere, nella valutazione delle conseguenze della violazione del dovere di informare, l’area dell’esecuzione del contratto affermando, come si dovrebbe, che il dovere d’informare attraversa sia la fase precontrattuale che quella di esecuzione del contratto e che, ove fallisca il presupposto fondamentale del consenso alla prestazione, fallimento determinato dalla mancata informazione, fallisce il contratto stesso; ciò significa che è grave l’inadempimento che consiste nella violazione del dovere d’informare poiché è più importante che venga fatta salva la facoltà di autodeterminarsi alla cura del paziente, salvi i casi determinati dalla legge succitata e comunque dallo stato di necessità, che la prestazione di per sé “perfetta”.
Siamo così entrati nell’era del “se curare”, superando quella del “curare e basta”. Pur tuttavia, il rilievo nella fase precontrattuale della violazione del dovere di informare ha il merito anche di ricordare che è proprio nella fase delle cosiddette “trattative” (termine che suona improprio nel caso del contratto di cura) che il paziente si determina, sulla scorta dell’informazione ricevuta, alla cura che gli è stata proposta; è evidente a ciascuno che la prestazione di un consenso che non consegua ad una corretta informazione non vale a liberare da responsabilità il sanitario ma, semmai, ad aggravarne le conseguenze. Così, tra pronunce più timide, ed altre che affermano invece la centralità del dovere di informare nella dinamica contrattuale, si assiste comunque ad una serie di chiarimenti che sono utili a disegnare i confini, ancora nebulosi, quantomeno per alcuni, del contenuto dell’informazione; è così, per esempio, nella sentenza n. 14638 del 30/07/2004 pronunciata dalla sez. III, si precisa che l’obbligo di informazione e non, si badi bene, la facoltà di informare, si estende senza dubbio anche allo stato di efficienza ed al livello di dotazioni della struttura sanitaria nelle quale il medico presti la propria attività e si estende anche ad ogni fase del trattamento che assuma una propria autonomia gestionale (il riferimento è, nel caso di specie, ai trattamenti anestesiologici). La precisazione è fondamentale perché conferma, sempre che sia necessario farlo, l’importanza del diritto del paziente ad autodeterminarsi alla cura: per esercitare tale diritto, di rango costituzionale, dev’essere informato anche sulle condizioni di efficienza e sul livello di dotazione della struttura sanitaria per comprendere se faccia al suo caso, in funzione della particolarità della patologia sofferta o se sia preferibile che si rivolga ad un centro più attrezzato o specializzato nella cura della malattia che reca in sé.
Tale precisazione scredita, in misura definitiva, alcune peraltro –già allora- discutibili difese dei sanitari convenuti in giudizio secondo le quali le conosciute deficienze dell’organizzazione sanitaria non sarebbero in alcun modo riferibili ai sanitari dipendenti, proprio perché non rientranti nella loro disponibilità. Tuttavia, per quanto non si possa imputare al dipendente della struttura, semmai al suo dirigente, il mancato acquisto di un’apparecchiatura per svolgere ecografie corrette, è certamente imputabile al sanitario dipendente della struttura la mancata informazione al paziente circa la mancanza di detta apparecchiatura e la grave imprudenza nella quale questi incorra nel decidere di curare il paziente sulla scorta di strumenti per l’esecuzione del contratto di cura che egli sappia non essere all’altezza.
Tale conclusione, inoltre, determina quello che si può definire un circolo virtuoso imponendo a ciascun anello della catena di essere da stimolo per il miglioramento del funzionamento dell’imponente macchina sanitaria e fa il paio, come si può agevolmente ritenere, con il principio che regola la responsabilità dell’équipe; anche in quest’ultimo caso non può essere esente da responsabilità il chirurgo che abbia consapevolezza della manovra errata posta in essere dall’anestesista e che non intervenga per fermarlo o per correggerlo e poi, di fronte per esempio al decesso del paziente, si limiti a rinfacciare al ritenuto responsabile (il collega anestesista) la conseguenza dell’autonoma esecuzione della relativa fase dell’intervento. Se mai tale principio di irresponsabilità venisse seguito, ma è lungi dall’esserlo, l’équipe risulterebbe disegnata come una squadra i cui componenti non si conoscono né vogliono conoscersi.
Corre l’obbligo, per completezza, di ricordare che la pronuncia della sez. III sopra richiamata conclude per l’esclusione della possibilità di accoglimento di una domanda di risarcimento del danno collegata al difetto di informazione apparendo, ad una lettura rapida, in contrasto con i principi premessi. In realtà il Supremo Collegio verifica la mancanza del nesso di causa tra il danno, così come indicato dal ricorrente, ed il difetto di informazione e non afferma, come potrebbe apparire al lettore frettoloso, l’impossibilità di ricollegare alla violazione del consenso anche un risarcimento del danno.
Perché la domanda potesse trovare riscontro, in verità, sarebbe stato necessario collegare al vizio del consenso non il danno biologico conseguito all’esito dell’intervento sanitario che, secondo i medici legali, era invece relativo ad un evento a conseguenze imprevedibili, ma metterlo in connessione con la violazione del diritto costituzionale all’autodeterminazione alla cura.