psicologa, esperta in violenza di genere e referente rete anti-violenza ASL Napoli 1
Non c'è differenza tra PAS ed AP se non nel nome e nel fatto (risibile) che non si dà più
valore ad una sindrome di cui soffrirebbe il bambino ma ad una relazione di coppia
conflittuale responsabile del disagio nel bambino.
A parte queste differenze tecniche il risultato è lo stesso: si parte dal rifiuto del bambino
lo si definisce immotivato (sulla base di un pregiudizio e cioè che il bambino ha come
punto di riferimento imprescindibile due genitori e che il rifiuto di un genitore è
un'anomalia); ma non solo, si parte anche da accuse (di maltrattamenti ed abusi) del
bambino verso un genitore (frequentemente verso un padre, che è maggiormente
implicato in comportamenti violenti) per poi considerare (allo stesso modo della PAS)
le accuse frutto di un processo di alienazione messo in atto dall'altro genitore. L'esito di
tutto ciò è un bambino che diventa inattendibile, per cui le sue parole sono considerate
inaffidabili. Il bambino colpito dalla presunzione di essere 'indottrinato e manipolato'
non viene ascoltato più e si agisce per suo conto considerando a priori la necessità che
sia subito riportato (anche con modalità traumatizzanti per un minore, vale a dire,
impositive, violente e di sottrazione dal suo luogo abituale di vita) nel rapporto con
l'altro genitore (generalmente il padre che ha anche le risorse per intraprendere
un'azione giudiziaria pressante) rifiutato e/o accusato di maltrattamenti e violenze.
Questo in contrasto con tutte le convenzioni (New York, Lanzarote) e le leggi che
tutelano e promuovono il diritto del bambino all'ascolto e ad esprimere il suo punto di
vista nel processo per l'affido che lo riguarda direttamente!
Ecco l'uso della PAS o dell'AP, o di altro costrutto analogo, mette in ugual modo fuori
gioco questo diritto del minore ad essere ascoltato perché pregiudizialmente (nel caso in
cui esprima un rifiuto o un'accusa) lo pone come incapace di esprimere il proprio
desiderio/pensiero genuino di stare o non stare con un genitore, veicolando (si presume)
invece il desiderio/pensiero di un altro (indottrinamento) che è in genere la madre, a sua
volta considerata, sul piano psicologico, come colei che vuole trattenere il figlio presso
di sé, che lo considera un suo prolungamento e fonte di realizzazione, e che non vuole
dargli autonomia nella relazione con l'altro.
Molte CTU (consulenze tecniche di ufficio) hanno quindi questa impostazione sia che
nominino la PAS in via esplicita sia che non la nominino: partono dal considerare la
violenza contro le donne come un conflitto e le separazioni conseguenti, promosse in
genere dalle donne, come altamente conflittuali; poi le CTU non 'apprezzano' e
considerano patologici i comportamenti così detti 'recriminatori' delle donne che
denunciano e rappresentano in corso di CTU la violenza, oppure delle donne che
fanno resistenza agli incontri proposti di mediazione (molte CTU si arrogano il diritto di
condurre, anche quando non richiesta dal giudice, la mediazione tra i coniugi!). Se la
donna è resistente alla relazione con un partner violento e teme anche per il figlio, sarà
considerata genitorialmente inadeguata perché il genitore adeguato è quello che
favorisce la relazione con l'altro, qualsiasi cosa sia successa prima. Le CTU infatti non
veicolano quasi mai la conoscenza della violenza domestica e si rifanno a teorie psicodinamiche
o sistemico-relazionali che pongono la responsabilità dei fatti o in vicende
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individuali infantili, oppure in una relazione di coppia sempre paritaria e collusiva (la
violenza invece pone al suo fondamento, come afferma la Convenzione di Istanbul, una
disparità di potere tra uomo e donna ed una netta distinzione tra vittima e carnefice).
Dalla mia esperienza, la PAS/ AP viene usata per lo più contro le madri a favore dei
padri perché alle donne viene tolto il diritto nei processi sull'affido di parlare della
violenza e di quello che hanno subito loro ed i figli. Nei processi per l'affido le donne
devono solo mostrare adattamento alla condivisione con il partner nonostante questa -
nei casi di violenza - divenga uno strumento di vessazione sulla donna a prosecuzione
del maltrattamento durante la convivenza. La violenza e lo stalking post-separativi
hanno quindi come strumento tipico di vessazione l'uso strumentale dei figli sia per
screditare la madre (ma questo succedeva anche prima della separazione), ma anche (e
questo lo si trova solo come tratto specifico di un comportamento maschile) come
strumento di controllo e mezzo per avvicinare la madre e continuare a maltrattare,
ingiuriare, svilire e minacciare la partner.
Per denunciare comunque questi comportamenti la donna ha come riferimento gli artt.
del codice penale 572, 570 e 612 bis: essi sono pienamente sufficienti a comprendere
comportamenti vessatori che includono i figli in un quadro contestuale di violenze
plurime documentabili processualmente.
L'uomo manca di un contesto così articolato all'interno del quale poter documentare,
quale vittima, la 'ragionevolezza' di un rifiuto del figlio (al rapporto con l'altro
genitore), colpito in vario modo dal maltrattamento sulla figura genitoriale di
riferimento: con la paura ed il terrore del genitore violento, ma anche con l'adattamento
e l' imitazione di quel comportamento (la piaga della trasmissione intergenerazionale
della violenza attraverso il maltrattamento assistito).
Mancando di un quadro di violenza pre-separativo che lo individui come vittima, l'uomo
deve ricercare altri contesti di vittimizzazione ed altre leggi di riferimento; ecco che la
proposta della Bongiorno, che aggiunge un altro reato come quello della 'alienazione
parentale', è inequivocabilmente la proposta di una legge fatta su misura per gli uomini;
costoro infatti, esclusi dal panorama della violenza di genere come vittime prevalenti,
(la presenza maschile come vittima nell'ambito della violenza tra partner è data al 15%),
esclusi anche dal contesto che individua il minore quale vittima prevalente di
maltrattamento assistito, possono solo rivendicare per sé una condizione molto
particolare che prescinde dal contesto della violenza di coppia e che si esprime solo nel
corso della separazione (quale unico atto aggressivo/punitivo in prevalenza a carico di
una partner che non ha alle spalle una storia quale autore di violenze). In definitiva
l'alienazione parentale non solo non è una sindrome o un disturbo relazionale, ma non è
neanche una condizione giustificata sul piano di una storia familiare di violenza perché
nasce come un fiore nel deserto all'atto della separazione. Essa si giustifica quindi senza
alcuna catena di prove valida sul piano giuridico ma solo sostenuta da costrutti
psicologici poco scientifici che attribuiscono a un mix di sindromi inesistenti, di profili
di personalità che nulla hanno a che fare con le condotte genitoriali, di pregiudizi sulle
donne, il comportamento così detto 'alienante'.
La PAS e la AP quindi nel loro ruolo di parte a favore degli uomini violenti, non hanno
bisogno per sostenersi di un contesto di prove e di fatti. Esse nascono senza radici, non
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si giustificano in un contesto storico di violenze pregresse e vessazioni, esse hanno solo
bisogno di una ed una sola 'prova' sorretta da una interpretazione soggettiva che altera la
realtà dei fatti: da un lato il rifiuto del bambino, la sua resistenza, la sua paura
all'incontro con il padre, e dall'altro lato l'interpretazione 'abusiva', vale a dire, la
presunzione di una madre possessiva e vendicativa (di che? se spesso in queste
situazioni è la madre che si è separata per porre fine alla violenza?), o che per ansia,
fraintendimento, problemi psichici personali (molto opinabili perché in genere sono
condizioni emotive condivise da chi è stato vittima di maltrattamento), richiede una
tutela ingiustificata per il figlio, come ad esempio le visite protette (che purtroppo
quando vi sono minacce gravi, come il caso di Federico Barakat, ucciso in un incontro
presso i servizi sociali, non servono alla tutela).
La PAS, o l'AP o qualsiasi altro costrutto psicologico, o qualsiasi profilo di personalità,
che prescindano dalla valutazione del contesto di violenza precedente alla comparsa del
comportamento così detto 'alienante', si precludono la possibilità di valutare come quel
comportamento possa essere in realtà fondato su appropriate esigenze di tutela nei
confronti del minore, e come il genitore che lamenta l'alienazione possa essere, in realtà
e con molta probabilità, un maltrattante.
Le donne al contrario hanno le prove, le documentazioni, le testimonianze dei
maltrattamenti protratti negli anni contro di loro, hanno leggi, convenzioni, pronunce
della comunità scientifica, a partire dall'Organizzazione mondiale della Sanità, che
acclarano che quella condizione lamentata dalla singola donna, qualora non supportata
da altra prova oltre la testimonianza attendibile della vittima stessa, sia statisticamente
molto frequente ed abbia come unico responsabile il partner maschile.
Le donne non hanno bisogno di ricorrere alla PAS o all'AP per far valere i loro diritti ed
i diritti dei minori all'affido esclusivo o al no contact con il padre maltrattante.
Gli uomini, che non hanno un corrispondente e forte contesto probatorio di riferimento
da cui far discendere come responsabilità in capo alla loro partner i comportamenti
denigratori o di alienazione nei confronti dei figli, hanno bisogno della PAS/AP.
Per questo motivo gruppi sociali rappresentativi delle esigenze maschili difensive
rispetto alla violenza di genere che li vede implicati prevalentemente come autori (in cui
oggi possiamo inscrivere anche la coppia Bongiorno - Hunziker) hanno bisogno di
creare (come appunto è nata la PAS di Gardner, ma non solo) costrutti che si reggano
da soli, senza bisogno di essere allocati in contesti di violenza, sostenuti/ideati da
psicologi con a volte scarsa cultura scientifica, che inseriscono nella loro metodologia
(dell'hic et nunc) anche il 'divieto' di declinare la storia del rapporto di coppia familiare
in termini di violenza agita e patita.
In sintesi, PAS ed AP prescindono dalla considerazione delle responsabilità genitoriali
nella mancata tutela dei figli dalla violenza, e veicolano le posizioni anti-giuridiche
degli psicologi quando essi giungono ad escludere l'ascolto del minore, o ne alterano il
contenuto e le esigenze, (il 'non voglio vedere mio padre perché fa male a mamma ed io
ho paura', diventa: 'il minore vuole ed ha bisogno di vedere il padre ma è ostacolato
dalla madre') perché viziati da una presunta ed indimostrata azione di indottrinamento.
Questa azione di 'indottrinamento' o 'manipolazione mentale' che si chiami PAS o AP, o
in altro modo, non ha raggiunto alcuna validità scientifica nel contesto della presunta
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'alienazione genitoriale' perché l'azione di manipolazione mentale non è un processo che
si instaura dall'oggi al domani di una separazione e non è un processo solo psicologico;
esso ha valore solo se condotto nel tempo con minacce, limitazione della libertà ed
esperienza di concreti atti ritorsivi.
Per sfatare poi il pregiudizio delle donne che hanno come intento quello di punire i
partner attraverso i figli c'è da dire che l'attaccare il ruolo genitoriale maschile non è
frequente nelle donne vittime di violenza. Le donne cha patiscono la violenza hanno un
comportamento abituale, di timore verso il partner e di sopravalutazione del ruolo
paterno rispetto al proprio, che le spinge a preservare, fin dove è possibile la relazione
del figlio con il padre (una donna si pone sempre problemi nel denunciare il partner
violento proprio perché teme di danneggiare il figlio nella relazione con il padre). In
più, nelle storie di violenza è tipico raccogliere le testimonianze delle donne sul fatto
che un uomo maltrattante usa sempre come violenza psicologica la denigrazione e la
svalutazione della partner anche nel suo ruolo di madre e lo fa abitualmente davanti ai
figli.
La proposta quindi della legge sull'alienazione parentale, nei fatti a prevalente se non
esclusivo vantaggio degli uomini violenti (abbiamo detto che le donne hanno altri modi
per dimostrare la volontà lesiva di un partner che si manifesta nel colpirle sulla
genitorialità), servirà solo ad ostacolare il contrasto alla violenza di genere: ogni azione
di auto-tutela e tutela dei minori da parte di donne vittime di violenza dal momento di
approvazione di una tale legge sarà stoppata; l'art. 572 bis non potrà che essere una
pietra tombale sulle azioni di denuncia contro il partner che una donna vittima di
maltrattamento dovrebbe fare, e dovrebbe essere sostenuta a fare, anche a tutela dei
figli, vittime essi stessi (in modo contestuale) di maltrattamento assistito.
Alla fine ci chiediamo: come mai le scienze giuridiche, con i loro rappresentanti nei
tribunali, possano giungere ad appiattirsi su questi costrutti ed ipotesi non dimostrabili
avulsi dalla conoscenza di fatti storici, dalla catena delle prove, dalla valutazione delle
testimonianze delle vittime?
Noi ci auguriamo che in Italia finalmente inizi in campo giuridico una riflessione,
presente nei paesi anglosassoni (Inghilterra, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Australia), che
ponga, alla base della discussione dell'affido dei minori:
- la valutazione obbligatoria del contesto di violenza pre-separativo per discriminare le
separazioni solo conflittuali da quelle in cui c'è violenza,
- e la conseguente assunzione del principio che: 'dove c'è violenza domestica (anche
senza che un procedimento penale aperto sia completato, ma sulla base di un
convincimento fondato del giudice dell'affido) il partner violento vada escluso in via
presuntiva dall'affido, a tutela del diritto prioritario del minore alla salute ed alla
sicurezza (diritto che comunque precede quello molto discusso e molto discutibile alla bi-genitorialità).