-  Redazione P&D  -  28/04/2012

CONTRATTI DI LOCAZIONE SUCCESSIVAMENTE AL DECRETO LEGISLATIVO DEL 14 MARZO 2011, N. 23 – Nicola DI RONZA

Il contenuto dell"art. 3, commi 8 e 9 del decreto legislativo del 14 marzo 2011, n. 23 (concernente "disposizione sul federalismo municipale") è ancora poco discusso nelle aule di giustizia e poco commentato dagli addetti ai lavori ma le novità introdotte sono senza dubbio degne di rilievo.

Nel comma 8 è stato previsto che ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.

Nel comma 9 è stato previsto che le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e quelle del comma 8, innanzi citate, si applicano anche ai casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.

Per comprendere la portata dell"innovazione è necessario fare un breve passaggio storico, quanto meno risalendo sino all"articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) che stabiliva «i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». La disposizione, in combinato disposto con l"art. 17 del d.P.R. 26/4/1986, n.131 (T.U. in materia di imposta di registro), ha inteso sottoporre a registrazione tutti in contratti di godimento di immobili con esclusione dei soli contratti di locazione di immobili di durata inferiore ai trenta giorni. I contratti da sottoporre a registrazione, dopo l"intervento della finanziaria per il 2005, pertanto, risultano essere tutti i contratti di locazione di unità immobiliari o di loro porzioni stipulati in forma verbale e in forma scritta nonché i contratti di comodato di unità immobiliari o di loro porzioni stipulati in forma scritta.

L"interessante dibattito che è sorto circa la portata effettuale di questa disposizione, come noto, ha visto contrapposti l"orientamento che, facendo leva sulla lettera della norma, sanzionava con la nullità il contratto di locazione stipulato in forma scritta ma non registrato e l"orientamento, decisamente maggioritario, che traendo spunto dalle considerazioni della Corte costituzionale (si veda l"ordinanza del 9/4/2009, n. 110) ha escluso che un tale negozio fosse affetto da un vizio genetico comportante nullità e ha ricondotto la registrazione nel più ragionevole ambito delle condiciones juris. Va detto che l"adesione a questo secondo orientamento è supportata anche dal principio contenuto nell"art. 10, comma III, legge 27 luglio 2000 n. 212 (c.d. "statuto dei diritti del contribuente") che statuisce espressamente che «le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto».

La conseguenza più immediata di una tale impostazione è stata che il contratto di locazione rimane inefficace sino alla registrazione che, dunque, può intervenire tardivamente (e previo il pagamento delle sanzioni previste) ma comincia a produrre i suoi effetti dal giorno della registrazione.

Lo spirito anarchico ed evasore di molti locatori, nondimeno, ha trovato nelle maglie dell"obbligo di registrazione la valvola del sistema per conseguire risultati non voluti dal legislatore. La registrazione tardiva, infatti, ha consentito alla parte interessata a produrre determinati effetti di registrare il contratto solo all"occorrenza: è il caso del locatore che intenda procedere allo sfratto come del conduttore che intenda far valere il minor canone previsto nel contratto, la nullità di pattuizioni impostegli (art. 13 L. n. 431/1998) o i benefici previsti dalla legge n. 431 (es. i contributi del fondo di cui all"art. 11).

In questo contesto vedono la luce le disposizioni in commento che si inseriscono (o meglio, sarebbe il caso di dire, si celano) nel più noto articolo 3 concernente la cd. "cedolare secca", tassazione agevolata e benvenuta per ricchi proprietari di immobili visto che l"opzione per questa tassazione si dimostra assai conveniente. Ma a parte questa che rimane una opinione, i commi 8 e 9 vogliono rappresentare (quasi a contrappeso della strenna fiscale), un deterrente per sconfiggere l"evasione.

Va rilevato, infatti, che comma 8 è una vera scure per coloro che non registrano il contratto. In limine, è interessante notare che il legislatore pare aver preso posizione sul dibattito innanzi accennato: se la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio (lettera a), pare di intendere che il contratto, prima della registrazione, non produce effetti. Se così è, il legislatore ha optato chiaramente per la teorica della registrazione come condizione di efficacia del contratto. Ciò è ancora più chiaro se si tiene conto che, a dispetto della formulazione letterale, è evidente che il comma 8 si riferisce non all"ipotesi della omessa registrazione bensì alla tardiva registrazione, ipotesi incompatibile con la tesi della nullità del contratto (in applicazione dell"art. 1418 c.c.) perchè, evidentemente, il contratto resterebbe nullo pur se registrato tardivamente!

Sul piano contenutistico, l"intera previsione contenuta nel comma 8 rappresenta una eterointegrazione efficace in chiave di contrasto all"evasione. La tardiva registrazione opera non solo nel senso di conferire efficacia al contratto ma anche nel senso di indurre effetti voluti dal legislatore che andranno a sovrapporsi, sostituendosi a quelli voluti dalle parti, secondo i principi noti dell"art. 1339 c.c.

Con la registrazione tardiva, alla decorrenza stabilita dalle parti, si sostituisce la data della registrazione volontaria o d"ufficio, e la durata del contratto di locazione sarà quadriennale, a prescindere da una diversa durata eventualmente pattuita (lettera a). Non solo. Il rinnovo (lettera b) sarà automaticamente regolato dall"art. 2 comma 1 della legge n. 431/1998 (cd. "4+4"). L"effetto è tanto più drastico laddove si immagini che il contratto stipulato dalle parti potrebbe essere anche di quelli "collettivi" di cui all"art. 2 comma 3 della legge n. 431/1998. Ritengo che l"ampiezza della previsione e la finalità sanzionatoria ne consenta l"applicazione anche ai contratti per finalità transitorie con un impatto dirompente, per la durata, i rinnovi e per lo stesso canone, tutti elementi etero-determinati dal legislatore.

La formulazione della norma, invece, non appare proprio felice in relazione al canone (lettera c). Mentre è comprensibile che la misura del "triplo della rendita catastale" valga a sanzionare il locatore per il mancato tentativo di sottrarre all"erario i redditi derivanti dalla locazione con una tassazione commisurata ad una base imponibile minima; più problematica è l"interpretazione dell"ultimo inciso ("Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti") che si può comprendere richiamando la finalità della norma, sanzionatoria per il locatore ma non per il conduttore. Il locatore è colui che percepisce i redditi che si tenta di sottrarre al fisco e quindi, si giustifica la base imponibile minima del triplo della rendita catastale; ma, nel caso di canone inferiore al minimo indicato, il legislatore ha ritenuto opportunamente di non infierire sul conduttore con il pagamento di un canone più alto di quello contrattualmente previsto che, se da un lato, assicurerebbe al fisco un maggiore gettito finirebbe, dall"altro, per pregiudicare la posizione del contraente più debole che, di certo, non aveva interesse ad omettere o ritardare la registrazione del contratto.

Di particolare interesse è anche il comma 9 dell"art. 3 del decreto n. 23 perché costituisce un primo tentativo di tipizzare e sanzionare la simulazione nei contratti di locazione. La disposizione richiama l"art. 1, comma 346, della legge n. 311/2004 e, consequenzialmente, l"inefficacia del contratto ricollegandola ai due più classici casi di simulazione in contratti locatizi: la simulazione relativa sul canone, ovvero il caso del contratto con canone di importo inferiore a quello effettivo (lettera a); la simulazione assoluta, ovvero il caso del contratto di comodato che dissimula un contratto di locazione (lettera b).

Il senso della previsione va colto nella necessità di sopprimere, alla nascita, casi di elusione fiscale attraverso controdichiarazioni simulatorie che si sarebbero imposte anche nelle aule giudiziarie, se debitamente registrate. Il legislatore ha avvertito la prassi elusiva della circolazione di coppie di contratti, regolanti il medesimo rapporto locatizio, entrambi registrati. E" evidente, infatti, che il senso della norma non è quello di reprimere le controdichiarazioni non registrate dal momento che queste sarebbero state inutilizzabili, già in base alla previsione dell"art. 1, comma 346, della legge n. 311/2004. Occorreva un intervento normativo diretto a colpire l"uso della controdichiarazione anche quando questa fosse stata registrata, ad esempio, prima di farne l"uso voluto.

Mi pare necessario notare la combinazione di questa disposizione con l"art. 1414 c.c. dal momento che la parte interessata a far valere gli effetti del comma 9 dovrà agire, evidentemente, con una azione di simulazione provando che il contratto sfavorevole è una controdichiarazione simulatoria che cela una locazione e non un comodato o una locazione a canone più favorevole. Si assiste, dunque, ad una azione di simulazione il cui esito finale non sarà solo l"inefficacia del simulato tra le parti (e sin qui coincidono gli effetti dell"art. 1414 c.c. e dell"art. 1 comma 346) ma anche le conseguenze etero-volute, espressamente richiamate, del comma 8.

Ci sia consentito osservare, in conclusione, che la disciplina del 2011 non ancora passata al vaglio dei tribunali e, forse, non ancora pienamente conosciuta dalla prassi, non pare esente da dubbi di costituzionalità, quanto meno per due aspetti.

Circa il primo, è difficile credere che questi due commi fossero ricompresi nella delega contenuta nella legge del 5 agosto 2009 n. 42 relativa alla materia del "federalismo fiscale municipale" di cui il d.lgs. n. 23/2011 è figlio. Uno dei principi ispiratori di quella delega era il «coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell"attività di contrasto all"evasione e all"elusione fiscale prevedendo meccanismi di carattere premiale», cioè una direttiva i cui destinatari dovevano essere i soggetti istituzionali protagonisti della finanza federalista e non i privati che, come visto, dovrebbero attivarsi nel senso della registrazione tradiva (comma 8) o dell"azione di simulazione (comma 9).

Orbene, se è vero che un eccesso di delega determina un profilo di illegittimità costituzionale (art. 76 Cost.), è vero però che non è in discussione la meritevolezza dello scopo perseguito e cioè lottare per l"emersione dei redditi occultati all"erario.

Proprio per questa valutazione, il secondo degli aspetti di costituzionalità che vengono alla luce, mi pare ancor più grave perché è poco comprensibile, proprio nell"ottica del contrasto all"evasione fiscale, la disparità venutasi a determinare tra contratti di locazione abitativi e contratti di locazione di tipo commerciale. Il d.lgs. n. 23/2011 tratta, inequivocabilmente, solo dei primi, laddove la legge n. 311/2004 aveva sottoposto a registrazione anche i secondi. Il diverso requisito di forma (necessariamente scritta per gli usi abitativi, libera per gli usi commerciali) non può giustificare l"irragionevole disparità di trattamento. Anzi, mi pare proprio di poter dire che, se il fine è quello di contrastare l"evasione dei redditi sommersi, l"esclusione dei commerciali è del tutto irragionevole dal momento che il contratto a forma libera si presta evidentemente ad occultare proventi di natura reddituale, oltre che, talvolta, a celare lo stesso tipo di rapporto negoziale.




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