-  Krasovec Lucas Lucia  -  21/06/2013

CONVERSAZIONE CON MARCO ROMANO SULLA LIBERTA' DEL COSTRUIRE - Lucia Krasovec Lucas

Quale significato possiamo dare oggi all'Architettura? E quale ruolo ha l'Architetto nella trasformazione / evoluzione della società civile?

L'Uomo è Architetto per eccellenza fin dall'inizio, di qualunque inizio si tratti. L'Architettura per l'Uomo è una questione endemica proprio perché è l'esterno da sè ma incidente su di sè, la circostanza che l'Uomo ha dovuto da sempre conoscere comprendere gestire al fine di potersi garantire un presente ottimale e un futuro plausibile.

Ed è in questo senso che la professione dell'Architetto è la più antica del mondo, proprio perché l'Uomo è l'artifex del proprio destino e quindi del proprio modo di vivere, "costretto" continuamente a proteggere modificare trasformare esplorare lo spazio in cui ha deciso poi di stabilirsi. Per secoli la città, la cui cornice esteriore fatta di strade e case in cui le persone ambientano le proprie vite in un confronto interpersonale che è la base stessa della libertà, ha visivamente mostrato le tensioni, i conflitti e le diverse istanze di chi le ha abitate. Il concetto di pianificazione, che la società attuale riconosce come strumento per stabilire a priori in modo vantaggioso la direzione e modalità con cui la città debba svilupparsi, porta spesso alla sottrazione dei diritti del cittadino che non può esprimere in toto la sua visione e quindi viene di fatto escluso dalla società in cui vive. È sulle questioni della civitas e dell'urbs che si innesta l'ultimo libro di Marco Romano, che è stato direttore del Dipartimento di Urbanistica dello IUAV e della rivista Urbanistica, oggi docente di estetica della città, ospite oggi a Trieste nell'ambito del terzo incontro con la città organizzato da AIDIA – Sezione di Trieste, Associazione Italiana Donne Ingegneri Architetti http://aidiasezionetrieste.blogspot.it/.

Da mille anni in Europa, scrive Marco Romano, per essere una persona socialmente riconosciuta devi appartenere prima di tutto a una città, cittadino della tua civitas, mentre nell'Islam, per esempio, appartieni prima di tutto a un clan, a una tribù, a un orientamento confessionale, e nella Roma antica a una gens. Questa civitas noi la immaginiamo come un soggetto dotato di una propria personalità e quasi di una propria volontà di ordine superiore a quella dei cittadini che la compongono, e ci ostiniamo a immaginarne ogni volta il nuovo destino, scegliendo finalmente un nuovo sindaco che ne interpreterà la volontà. Ma la civitas non è mai stata un luogo di concordia sui temi collettivi da privilegiare, i gruppi di cittadini sono in antagonismo tra loro perché vogliono cose diverse, su un'area libera un grattacielo o un giardino pubblico: questa è l'essenza della civitas, è il luogo della libertà, dove ciascuno è libero di dire la sua su quanto il sindaco dovrebbe fare, aggregare altri cittadini con la sua medesima opinione, e spingere perché venga accolta in conflitto con altri gruppi che la pensano diversamente.   In questo senso, secondo Romano, non si evidenziano particolari differenze nei tempi recenti rispetto al passato.

Si potrebbe quindi considerare l'architettura libera come sinonimo di bella architettura? Citando Filarete, continua Romano, "la testa dell'uomo, o vuoi dire la faccia, è quella che ha in sè la bellezza principale e per la quale si conosce ciascheduno. Tu non vedesti mai edificio o casa d'abitazione che totalmente fusse l'una come l'altra, nè in similitudine, nè in forma nè in bellezza: chi è grande, chi è piccolo, chi è mezzano, chi è bello e chi è men bello, chi è brutto e chi è bruttissimo". È Dio stesso che ha voluto ciò: "Iddio, che l'uomo come che in forma fece a sua similitudine, così e partecipasse in fare qualche cosa in sua similitudine mediante l'intelletto gli concesse. E quando si crede di vedere case uguali, a guardar bene sono invece tra loro differenti: anche se si volesse fare molte case che si assomigliassero in una forma e in una similitudine, non mai farebbe che fosse l'una come l'altra".

Ecco come da secoli la bellezza dell'architettura sta nella sua diversità, dunque nella libertà del gusto del committente e nel talento dell'architetto nell'interpretarlo. Se percorriamo una strada qui a Trieste, sottolinea Marco Romano, possiamo immaginare di trovarci nella sala di un museo, perché ogni facciata rispecchia una volontà estetica particolare, ora liberty ora neoclassica. E la bellezza della città sta proprio nella diversità delle sue case e dunque nella libertà che le ha consentite.

Si potrebbe quasi pensare alla formulazione di una equazione che preveda la libertà di costruire solo in una società evoluta, ma chi giudica quando una società sia evoluta? La storia è punteggiata di movimenti che si propongono di realizzare una società perfetta, ma la loro perfezione – imposta dall'alto di un regime totalitario – è poi quello di un lager, l'Utopia di Tommaso Moro dove tutte le case di Amauroto erano eguali. Non esiste una società evoluta perché sempre qualcuno ne vorrebbe modificare qualche aspetto: il carattere della civitas e della società europea è proprio quello di essere in continua evoluzione, e questa evoluzione è consentita e stimolata proprio dalla libertà: le prime case moderne di Milano sono state rinviate fino a nove volte dalle commissioni edilizie di allora e adesso sono nei libri di storia dell'architettura.

Le parole di Marco Romano scorrono, sulle pagine del libro Liberi di costruire, edito dalla Bollati Boringhieri, con grande leggerezza seppure colme di denuncia e consapevolezza politica, reclamando il diritto alla libertà e alla possibilità di vivere ancora democrazia e bellezza come patrimonio comune. La democrazia comporta un principio di eguaglianza tra i cittadini, la bellezza della propria casa – che ciascuno ha voluto così – è l'espressione viva dell'eguaglianza della democrazia, e dunque c'è una forma di arroganza nell'attribuirsi il diritto di giudicare in che cosa debba consistere l'eguaglianza se non proprio nell'equivalenza di principio dei gusti individuali. Ma l'architettura non è mai la sfera del quotidiano, rappresenta sempre il desiderio di sconfiggere la morte lasciando di noi un ricordo durevole di pietra nell'ambito di un gusto estetico corrente e riconosciuto - seppure diverso da committente a committente. A sua volta, la civitas intende mostrare il proprio rango rispetto alle altre città ricorrendo, nei suoi nuovi temi collettivi, a architetti rinomati la cui fama ci aspettiamo duri per sempre (ma sarà anche oggi così? Fuksas come Palladio?). Per costruire la nuova cattedrale le città non ne affidavano il cantiere a un capomastro locale, ma ricorrevano a team famosi per le tecniche cui sapevano ricorrere: magistri cum machinis (e non "maestri comacini"!).

Chiedo a Marco Romano, che scopro molto informato sulla città, se a Trieste, ad esempio, è possibile rinvenire gli indizi  per attivare uno sviluppo più libero e coerente, di qualità. Risponde semplicemente che è sempre possibile, in qualsiasi città, studiare un piano regolatore che riprenda i principi correnti prima della pianificazione moderna, diciamo intorno al 1950. E' un lavoro paziente, con molte cancellature e rifacimenti proprio come per il progetto di una casa, ma alla fine possiamo vedere come potrebbe diventare la città nuova, e anche migliorata quella degli ultimi cinquant'anni.

Lucia Krasovec Lucas




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