-  Redazione P&D  -  21/02/2007

Corte di Giustizia, sez. III, 14 settembre 2006, causa C-228/05 - Pres. Rosas - Rel. Puissochet - CONTRASTA CON L'ART. 17 DELLA VI DIRETTIVA CE IL PREVIGENTE ART. 19 BIS D.P.R. 633/1973 LADDOVE PREVEDE L'INDETRAIBILITA' IVA

Contrasta con l’art. 17, n. 7 della VI direttiva CE, il previdente art. 19 bis, 1° co., lett. c) e d) del d.p.r. 26 ottobre 1973, n. 633, laddove prevedeva l’indetraibilità IVA relativa all’acquisto, uso e manutenzione di autoveicoli non formanti oggetto della sua attività propria.

La controversia dalla quale scaturisce la sentenza in rassegna, sortisce da una istanza di rimborso, poi rigettata, che una società di capitali italiana formulava alla Agenzia delle Entrate. La questione era assai semplice: la società riteneva di aver diritto all’indicato rimborso d’imposta poiché veniva postulato che negli anni 2000-2004 aveva indebitamente versato l’IVA relativa all’acquisto e alla gestione degli autoveicoli non rientranti nell’oggetto dell’attività di impresa.

La motivazione si fondava sulla pretesa incompatibilità (e quindi illegittimità) della normativa domestica recata dall’art. 19 bis, 1° co., lett. c) e d) del d.p.r. 26 (modificata più volte nel corso degli anni e in vigore fino al 31.12.2006), laddove prevede la non detraibilità (salvo il caso di agenti e rappresentanti) dell’IVA relativa: a) all’acquisto o l’importazione di ciclomotori, autovetture e autoveicoli indicati nell’art. 54, lett. a) e c) del d.lg. 30 aprile 1992, n. 285, non adibiti ad uso pubblico e che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa; b) le prestazioni di impiego, custodia, manutenzione e riparazione; c) l’acquisto o l’importazione di carburanti, componenti e ricambi destinati a tali veicoli, con la l’art. 17 della VI direttiva CE.

In particolare tale articolato sembrava essere incompatibile con l’art. 17, n. 6 laddove viene stabilito che gli Stati membri, in attesa dell’approvazione in sede comunitaria di un elenco di beni e di servizi per i quali può essere limitato il diritto alla detrazione, possano mantenere le limitazioni al diritto di detrazione già previste al momento di entrata in vigore della direttiva stessa. Ma l’incompatibilità si estendeva anche all’art. 17, n. 7 che autorizza uno Stato membro, per ragioni congiunturali, ad escludere taluni beni, dal regime di detrazione dell’IVA, fatta salva la consultazione prevista dall’art. 29.

Premesso che l’elenco previsto dall’art. 17, n. 6 non è stato mai emanato e che quindi l’articolo non poteva considerarsi applicabile, la lite si risolveva con l’analisi dell’art. 17, n. 7.
L’autorizzazione prevista da questo articolo prevede in ogni caso che lo Stato membro ha la facoltà di escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni «fatta salva la consultazione prevista dall’art. 29».

Tale consultazione permette alla Commissione e agli altri Stati membri di controllare l’uso da parte di uno Stato membro della possibilità di derogare al regime generale delle detrazioni dell’IVA, verificando, se la misura nazionale di cui trattasi soddisfi la condizione di essere stata adottata per motivi congiunturali.

In tal guisa la VI direttiva prevede un obbligo procedurale che gli Stati membri devono rispettare per potersi avvalere della norma derogatoria da esso stabilita. La consultazione del comitato IVA risulta così essere un presupposto (conditio iuris) dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta disposizione. Sulla scorta di tali elementi la Corte di Giustizia ha così concluso che l’adozione da parte del Legislatore italiano di misure derogatorie al principio del diritti a detrazione dell’IVA, è illegittimo siccome le norme sopra indicate sono state sistematicamente prorogate dal Governo italiano a partire dal 1980, senza alcuna previa consultazione del comitato IVA. E dunque, tali misure devono essere di conseguenza considerate parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 17. n. 7, della VI direttiva.

La conclusione che la Corte di Giustizia trae dalla vicenda è icastica: il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura deve poter ricalcolare il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della VI direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.
A tale fine il Governo ha emanato il decreto legge 15 settembre 2006, n. 258 (convertito dalla legge 10 novembre 2006, n. 278), teso a dare attuazione alla sentenza in esame, che prevede due forme di rimborso: la prima da presentare in via telematica entro il 15 aprile 2007 mediante apposita istanza di rimborso (che sarà approvato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate); il secondo mediante la via ordinaria costituita dall’istanza di rimborso di cui all’art. 21 del processo tributario.




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