-  Redazione P&D  -  12/05/2013

COSÌ LONTANA, COSÌ VICINA: L AFRICA NERA FRA DIRITTO E TRADIZIONE – Benedetta PIOLA CASELLI

1. Di che cosa stiamo parlando? - 2. La società tradizionale - 3. La giustizia tradizionale - 4. I colonizzatori di fronte al diritto tradizionale - 5. Regole scritte e tradizione dopo l"indipendenza: adattamento del diritto alla mentalità - 6. Il giudice ed il senso del giusto - 7. Il rovescio della medaglia: quando la legge entra nel villaggio - 8. L"organizzazione dell"ordinamento - 9. Realtà della giustizia formale e della giustizia tradizionale oggi - 10. Cenni conclusivi

  

Di che cosa stiamo parlando?

Ancora lontana nella mentalità, eppur sempre più vicina nella pratica, la cultura africana ormai riguarda tutti. Ci sono tante cose che dovrebbero muovere l"interesse generale verso un continente con cui, fosse solo per l"immigrazione, ci relazioniamo sempre di più; e tante chiavi di lettura ancora da dare per capire cosa succede, come si vive, come si guarda il mondo dall"altra parte del mare.

Qui vorrei suggerire delle linee guida per capire come funziona il diritto africano, senza pretesa di esaustività e sperando di non scriverle in modo troppo noioso.

Ma più che di diritto africano, si dovrebbe parlare di diritti africani, per indicare modelli diversissimi che concorrono fra loro: da una parte, la giustizia tradizionale di villaggio, con una propria concezione della regola; dall"altra le corti statali di modello europeo, con leggi e regole almeno formalmente riconducibili a quelle a noi familiari; in ultimo, lo strano miscuglio che viene fuori quando il giudice –che sia tradizionale o togato- tenta di conciliare i due diversi sistemi per trovare una soluzione di compromesso accettabile alle parti.

Questo intreccio non può essere capito senza rifermento alla società, che è causa ed oggetto delle regole: viene perciò premesso (e ripreso nel corso dell"articolo) il riferimento alle strutture familiari ed ai modelli relazionali.

 Ultima breve nota: l"Africa e" un continente e non un paese; e, se la limitiamo a quella "nera" o "subsahariana", è un continente nel continente. Questo vuol dire che le differenze fra zone geografiche, anche interne agli Stati nazionali che ne fanno parte, sono molto accentuate: differenze culturali notevoli si possono trovare anche in tribu" fra loro confinanti.

Parlare di "diritto africano" e" dunque una generalizzazione che serve a fare ordine in un cosmo di concetti che ci sono, per lo piu", sconosciuti. E" ovvio, inoltre, che in Africa non si vive solo in capanne col tetto di paglia, ma anche (e spesso) in città di tipo europeo, a stretto contatto con "expats" di tutto il mondo. Nel cuore di una metropoli, nelle discussioni con i membri di élites spesso istruiti all"estero, il divario culturale sarà certamente meno profondo. Eppure, anche in quel contesto, la conoscenza approfondita e l"osservazione attenta potrebbero mostrare, comunque, tutta la forza del retaggio delle regole e delle credenze tradizionali sul modo di vedere la realtà.

Ad esempio, tutti gli esponenti del mondo intellettuale africano che ho potuto conoscere hanno negato di credere nella magia, disprezzandola anzi come una superstizione da ignoranti. Quasi nessuno, peraltro, si è poi rivelato immune da un senso del soprannaturale pervasivo ed insistente su ogni aspetto della vita, e dai rituali che, sotto varie forme, controllano le forze metafisiche.

I casi esposti vengono dalla mia esperienza di ricercatrice, cooperante e funzionaria UE in Costa d"Avorio, Nigeria, Mozambico e Togo.

 

2. La società tradizionale

Tradizionalmente la societa" africana è organizzata per famiglie, riunite in villaggi e tribù, che riconoscono la discendenza da un solo antenato comune. I rapporti fra tribù diverse sono spesso conflittuali, soprattutto per la lotta per la conquista delle risorse naturali. A seconda della condizione climatica e della posizione geografica, nonche" di fattori culturali qui difficili da analizzare, le tribu" si dedicano alla pastorizia, alla caccia, alla pesca, ad un"agricoltura di base. L"economia, ad ogni modo, è prevalentemente di sussistenza. L"accumulo di "capitale" (anche risorse naturali), da investire o da conservare per i periodi di carestia è poco considerato, forse anche perche" la generosita" della natura permette in ogni stagione la sopravvivenza. Questo carattere della società africana colpisce sempre l"osservatore straniero, abituato al risparmio, all"accumulazione ed all" "investimento" delle risorse e della valorizzazione del tempo.

Le tribù si possono dividere in patrilineari o madrilineari, a seconda se la discendenza appartiene alla famiglia del padre o della madre.

In quelle patrilineari appartiene al padre; ciò significa che i figli contribuiranno alla ricchezza della famiglia del padre. In queste famiglie, il ruolo dei nonni materni e della loro famiglia è ridotto; e, se il padre viene a mancare, è un suo fratello che si fa carico della vedova e dei figli.

Al contrario, nelle famiglie matriarcali la discendenza appartiene alla famiglia della madre. Il ruolo del padre è minimo (in certe tribù è quasi esclusivamente "procreativo") ed il capo famiglia è il padre della madre o suo fratello. In queste tribù, generalmente, le donne sono socialmente più considerate, perché è attraverso di loro –e i loro figli- che la famiglia d"origine acquista forza lavoro e ricchezza. Nelle famiglie patriarcali, invece, i figli vanno "perduti", perché passano con la madre alla famiglia del marito.

La posizione della donna africana nella tradizione, pur non essendo paritaria con quella maschile, non è così gravosa come in alcuni paesi, o in alcune zone e tribù, musulmane.

E" vero che la donna sopporta gran parte del lavoro, della cura della casa e dell"allevamento dei figli. Tuttavia, molte donne sono attive nella società ed in politica e possono ricoprire ruoli di rilievo.

Il rispetto della donna e la sua considerazione sociale dipendono in grandissima parte dal suo ruolo di madre. In alcune tribù della Nigeria, quando una donna ha fatto nascere vivo il decimo figlio riceve dal marito uno sgabellino intagliato, con cui può assistere al consiglio degli anziani (il marito parlerà per lei). Nel nord del Togo ho conosciuto una rispettatissima donna capo-villaggio.

La società africana è, d"altra parte, estremamente gerarchizzata. Ciascuno occupa un posto ben stabilito, ed il comportamento deve rispettare tale posizione. I ruoli (uomo/donna, capo/servo, anziano/giovane, etc… ) non sono messi in discussione e sono attentamente rispettati. I compiti relativi ai ruoli non vengono invertiti: se spetta alla donna battere l"ignam, non si vedranno uomini a farlo; se spetta al servo portare fuori la spazzatura, non saranno mai i padroni a farlo.

L"osservatore straniero si scandalizza spesso vedendo le donne sopportare fatiche enormi, mentre i mariti, i fratelli ed i figli maschi le osservano in pieno ozio, senza aiutare. Il caso classico è quello dell"acqua, che viene trasportata in grandi recipienti tenuti in bilico sulla testa, con un peso di molti chili. La spiegazione è sempre nella divisione ferrea dei ruoli, che spesso non ha nulla a che vedere con la forza fisica dei soggetti.

Questa divisione dei compiti non è, comunque, insensata, ma ha quasi sempre una ragione considerata vantaggiosa dalle parti.

Una volta quando, da ragazzina carica di presunzione culturale, volli spiegare alle donne di un villaggio ivoriano che era molto più consono che l"acqua fosse portata dagli uomini, suscitai l"ilarità generale. Mi fu risposto che quella era una bellissima attività, perché consentiva un"aggregazione tutta femminile, chiacchiere senza paura di mariti e fratelli e, in più, era uno dei pochi momenti in cui le donne potevano stare "fuori" dallo sguardo controllante del villaggio casomai … ci fosse un amante.

Alcuni ruoli sono "protetti" con dei tabù, cioè divieti puniti da sanzioni divine. Ad esempio, in certi villaggi l"uomo non può entrare nella cucina, che è riservata alla donna, a pena di grande sfortuna. Questo protegge la donna dalle intrusioni del marito su come è gestito il cibo ed il denaro per comprarlo.

Il rispetto dei ruoli è cosiderato fondamentale per l"armonia dei rapporti e la pace del villaggio, ed ogni sua infrazione viene punita, almeno con il rimprovero.

Con il progresso e l"inurbamento, molti comportamenti e modi di vita stanno cambiando. Nonostante ciò, nella gran parte del continente nero la dimensione di villaggio è quella prevalente, e le regole di comportamento resistono ai ritmi ed agli stimoli della città.

  

3. La giustizia tradizionale

La giustizia tradizionale è in genere esercitata a livello di villaggio, da soggetti differenti a seconda delle tribù e dei luoghi. Generalmente la decisione è presa da un organo collegiale, formato dal capo villaggio (o da una persona da lui delegata) ed alcuni consiglieri, o dal consiglio degli anziani, cioè dall"insieme di tutti i capi famiglia, in genere assistiti da un soggetto in contatto con il soprannaturale.

La giustizia tradizionale presenta notevoli differenze rispetto al nostro modo di intendere il diritto e la legge: e ciò si riflette soprattutto nel il modo di risolvere le controversie e nel modo di concepire la pena.

Nel nostro modo di vedere il diritto esiste "a priori" una regola che stabilisce chi ha ragione e chi ha torto. Stabilisce, inoltre, la misura ed il modo della sanzione.

Nella giustizia africana, invece, il modo più comune di risolvere una disputa è la conciliazione. Ciò non significa che non esistano delle regole pre-esistenti o che non vengano applicate. Le regole esistono, sono numerose: sono però considerate per lo più come "orientative", nel senso che propongono , ma non impongono necessariamente la soluzione.

Tali regole non sono quasi mai scritte ma, come succede nelle tradizioni orali, sono spesso contenute in modi di dire, canzoni o proverbi.

La preferenza per la conciliazione si deve al desiderio di mantenere unito il villaggio, di non creare risentimenti e fazioni che possono esplodere nella vendetta o trascinarsi di generazione in generazione. Una soluzione condivisa dalle parti è considerata più utile (e perciò "migliore") della "vittoria" della pretesa di una parte sull"altra, proprio perché non lascia spazio ad ulteriori rivendicazioni e rancori.

Essa, inoltre, rende più probabile che la sanzione sia adempiuta, permettendo così di risparmiare le energie di controllo e coerzione.

Tuttavia, la prevalenza della conciliazione sull"applicazione della regola neutra, prevedibile e certa, porta con sé delle conseguenze ormai estranee (almeno in principio) alla nostra mentalità: l"apertura alla giustizia di status.

Come si è detto la società africana è ancora molto gerarchizzata, i compiti ed i ruoli sono ben separati e la considerazione sul valore degli individui è in relazione al gradino della scala sociale su cui essi si trovano.

Non deve perciò sorprendere che in una disputa fra un ricco ed un povero, la soluzione venga trovata quasi sempre a favore del ricco, ed il povero la accetti; e così fra uomo e donna, a meno che non subentrino interessi familiari diversi e più complicati.

Spesso sono le parti lese, ma socialmente inferiori, a farsi da parte o ad accettare una composizione che non conviene loro, ma che sentono di dover accettare per "l"ordine naturale delle cose", o per timore riverenziale, o per ottenere la benevolenza di chi sentono a sé sovraordinato.

Ad esempio, mi è capitato di assistere a casi sottoposti a un régolo mozambicano riferite a fattispecie simili, ma a cui è stata data una soluzione differente. Nel primo caso, la moglie di un ricco aveca danneggiato il banchetto delle uova di un povero… facendo retromarcia (perché "non lo aveva visto") ; nel secondo un uomo aveva investito un cucciolo di capra appartenente ad un suo vicino.

L"affare delle uova fu liquidato con una somma simbolica, di certo inferiore al danno, mentre nel caso del capretto il danneggiato fu risarcito del prezzo intero di una capra giovane.

Le soluzioni furono accettate da tutte le parti: il primo caso coinvolgeva due soggetti differenti per status, essendo la donna moglie di un ricco notabile della provincia, mentre il secondo riguardava parti socialmente uguali.

Anche la pena è vista in funzione dell"utilità del villaggio. In gruppi molto piccoli, che vivono per la sussistenza, la forza lavoro di ognuno è importante: per questo è necessario che le pene siano pensate in modo da non perderla.

Nel diritto tradizionale, quindi, un"idea come la prigione è assurda: si toglie una risorsa al villaggio, si mina il sostentamento della famiglia, e non si è sicuri del ravvedimento del reo.

Le sanzioni africane sono altre: quelle che mirano al "recupero", come il lavoro forzato per il villaggio o per una famiglia; quelle che "dissuadono" e scaricano la rabbia della parte lesa, come le pene corporali (molto usate) o, nei casi di offese minori, il taglio dei capelli; quelle definitive, che servono ad evitare che il villaggio sia turbato dalla recidiva del reo: l"esilio, la riduzione in schiavitù con vendita, la morte.

Molto usate sono le pene "a favore della collettività", come il lavoro forzato. In un caso controverso di omicidio, in cui un figlio aveva ucciso il padre perché questi gli aveva fatto una serie di ingiustizie pesanti, il villaggio ha ritenuto valide le ragioni del figlio ma, per sanzionare il comportamento violento, lo ha costretto a riparate diversi tetti di capanne (il caso, ormai vecchio di dieci anni, viene da un villaggio interno in Costa d"Avorio; un caso simile è avvenuto più recentemente nel nord del Mozambico).

Proprio perché si cerca, prima di tutto, di mantenere l"armonia all"interno del villaggio, la "redenzione" del reo ha molta importanza. Se un criminale dimostra di essersi pentito ed essere pronto a condurre una vita onesta, le sanzioni saranno meno severe.

Un paio di casi significativi li ho potuti notare nella corte penale di Maputo, dove ho visto significativamente cambiare sentenze per furti minori (una borsa, un pacco d"acqua, un telefonino) a seconda che il reo piangesse calde lacrime e giurasse di avere imparato la lezione, fosse composto ma freddo (occhi bassi), guardasse il giudice negli occhi (segno di sfida).

Il valore della "redenzione", vera o falsa che sia, è tanto radicato che lo si ritorva nella vita comune, oltre che nel diritto formale: in Mozambico, ad esempio, è facile incontrare persone che, dopo aver commesso qualche infrazione in buona o cattiva fede, si scusano dicendo "foi um erro" (è stato uno sbaglio) e dopo ciò si aspettano di essere pienamente perdonate. Sono estremamente deluse quando ciò non avviene.

Un ultimo punto da osservare è che la distinzione fra diritto pubblico e diritto privato, nella società tradizionale, è molto sottile (in certe società è inesistente). Ad esempio, ad illeciti di diritto privato possono rispondere sanzioni penali, ed, al contrario, a condotte penali possono corrispondere sanzioni civili.

In Nigeria mi è capitato di vedere un"inadempimento contrattuale punito con delle frustate; mentre in Mozambico un omicidio sanzionato con … un obbligo di fare.

Un incidente può scatenare la vendetta; un reato può essere estino con l"obbligo di una prestazione.

Anche questo non deve sorprendere. Spesso la vita vale per il lavoro, per la ricchezza che porta alla famiglia: ricchezza che, nella società che vive appena a livello si sussistenza, vuol dire vita per altre persone.

Non a caso, uno dei modi per impedire la vendetta del gruppo familiare che ha subito una vittima, in molte tribù è possibile scambiare una persona, che diventa servo, od offrire dei bambini, che apparterranno all"altro nucleo familiare, o addirittura promettere dei nascituri (Esempi si trovano nel nord della Nigeria).

  

4. I colonizzatori di fronte al diritto tradizionale

La storia coloniale varia di paese in paese, ma certamente l"impatto con le usanze africane non deve essere stato facile per nessun europeo.

Alcune erano considerate altamente immorali, perché contrarie alla religione: la poligamia, il levirato (il diritto di matrimonio del vedovo sulla sorella più giovane della moglie defunta), alcuni tipi di uccisioni.

Alcune, prima strumentali, sono diventate inaccettabili con gli anni, come la riduzione e vendita in schiavitù (molto praticata ancora oggi di fatto, se non di diritto, ad esempio in Nigeria), o le vendette pubbliche in cui il reo veniva ucciso barbaramente dalla folla (ai nostri giorni si usa immobilizzare il reo con un pneumatico e cospargerlo di benzina, per arderlo vivo: mentre impazzisce di dolore la folla acclama. Questa usanza è comune a tutti i paesi che ho visitato). Paradossalmente, si trovano commenti di coloni in rivolta contro queste usanze scritti in anni in cui le esecuzioni pubbliche erano ancora in pieno vigore in Europa.

Alla difficoltà di accettare il confronto con altre regole si aggiungeva la ragione politica che voleva, per avere uno Stato ben amministrato, che il potere giudiziario fosse centralizzato e controllabile.

Amministrare la giustizia non è solo un dovere: è anche e principalmente un potere, che i neonati Stati coloniali non volevano lasciare ai capi tradizionali.

Mentre per le dispute fra coloni fu subito evidente che occorreva estendere il sistema giuridico e le leggi della madrepatria, per le dispute fra locali e locali, e quelle fra locali e coloni bisognava scegliere quale diritto applicare. Quasi ovunque, per le dispute fra coloni e locali fu scelto di adottare il sistema "importato", cioè di usare le corti e le regole della madrepatria in Europa. Questo sistema chiaramente favoriva il colono, ma la possibilità di fare altrimenti era molto lontana dalla mentalità corrente.

Per le dispute fra locali, invece, ciascuna potenza colonizzatrice adottò una propria politica: o lasciare che le dispute fossero risolte in maniera tradizionale, non considerandole risolvibili dalla giustizia europea; o tentare di imporre corti e leggi anche alle dispute degli autoctoni; o riservare delle materie "più sensibili" alla competenza delle autorità tradizionali, come il diritto di famiglia e le successioni, mentre alle corti Statali ed al diritto dei "bianchi" le dispute che riguardassero interessi diversi.

Ciò comportava la costituzione di un sistema di corti di modello europeo, la formazione di giuristi e la diffusione di codici, leggi e giurisprudenza: cosa non facile in paesi vasti, spesso ostili ed in cui la popolazione era analfabeta e non cosciente (né volenterosa di sapere) in cosa consistessero le strane regole dei colonizzatori.

Questo sforzo, comunque, fu fatto e, finchè restò in piedi, il sistema coloniale funzionò abbastanza bene.

Ancora oggi le strutture utilizzate per i tribunali sono per lo più quelle costruite durante la colonizzazione; ed anche la maggior parte dei codici, delle leggi e delle raccolte di giurisprudenza risalgono alla colonizzazione. Solo le Costituzioni sono recenti, perché riformate negli anni dai numerosi colpi di Stato.

Con l"indipendenza, raggiunta da tutti gli Stati fra la fine della seconda guerra mondiale ed il 1975 (anno dell"indipendenza delle ultime colonie rimaste, quelle portoghesi), i neonati paesi poterono scegliere quale sistema giuridico adottare. Alcune cambiarono, ad esempio adottando la Shar"ia, ma molte altre, per convinzione, convenienza o per forza di inerzia, restarono fedeli a quello dell"ex madrepatria.

Anche rimanendo formalmente identici, però, i sistemi giuridici hanno subìto diversi adattamenti dovuti al luogo ed alla mentalità. Si trova così che in alcuni sistemi di Common law si fa riferimento prima di tutto alla legge, per la difficoltà di trovare la giurisprudenza (non ci sono raccolte di precedenti, non ci sono computer o connessioni per cercarla in rete, mentre le raccolte di leggi circolano più agevolmente); al contrario in paesi di Civil law si fa gran riferimento alla giurisprudenza per capire la ragione di regole dei "bianchi", che sembrano ancora molto criptiche.

Ad esempio, recentemente mi è capitato di negoziare con un giovane avvocato togolese il finanziamento della diffusione in CD-Rom della raccolta di giurisprudenza coloniale francese fra il 1920 ed il 1960. "Perché", chiedevo io, "vi servono casi così vecchi?"; "Perché" mi ha risposto lui "molte leggi francesi sono ancora del 1920. Non le abbiamo modernizzate ed i giudici di periferia non le capiscono. Sono troppo astruse. Hanno bisogno di casi pratici per spiegarsi come applicare delle regole che gli sembrano strane".

Ecco dunque che nel sistema di civil law per eccellenza, il precedente giocherà un ruolo di prim"ordine…

 

5. Regole scritte e tradizione dopo l"indipendenza: adattamento del diritto alla mentalità.

Se molte leggi sono rimaste invariate fino ad oggi e si rivelano perciò inadeguate perché troppo risalenti, il grande cambiamento si è avuto, invece, nella magistratura.

Con l"indipendenza i giudici europei hanno lasciato il posto a giudici locali; alcuni formati in Europa, ma in maggior parte formati nelle università in loco o non formati affatto (ed inseriti per ragioni politiche).

I nuovi magistrati si trovano di fronte a diversi problemi: un ordinamento lacunoso ed arretrato; la presenza di regole inadatte; la mancanza di regole di cui la società sente il bisogno.

Un esempio di regola arretrata è l"imputabilità penale nel codice penale mozambicano, che è stata riformata solo recentemente. Il Mozambico ha ereditato sistema, leggi e codici portoghesi; ed è soggetto ad un fenomeno interessante: siccome gli scambi con la madrepatria sono continui ed intensi, si ha una doppia circolazione giuridica. Accanto ai codici propriamente mozambicani, che sono ancora quelli dell"indipendenza, (anche se con qualche cambiamento), circolano e vengono venduti quelli portoghesi, senz"alcun dubbio ben più evoluti. I giuristi e gli studenti si formano soprattutto su questi ultimi che però… non corrispondono a quelli ufficialemente in vigore.

Il giudice si trova a dover scegliere quale regola applicare fra vecchia e nuova (sempre che ne conosca la differenza, cosa non scontata), ma quasi sempre decide sulla base del codice che ha in mano: se è quello portoghese applica la regola portoghese, se è quello mozambicano la regola mozambicana.

Questo equivoco crea parecchia confusione. Ad esempio, il codice ufficiale mozambicano stabiliva l"imputabilità penale a dieci anni, mentre quello portoghese a sedici. Prima che la regola fosse cambiata, il giudice doveva decidere quale delle due applicare: era possibile mandare in prigione un bambino di dieci anni, o di tredici, o di quindici (in mancanza di strutture differenti) insieme a degli adulti criminali? Il problema, già scottante per un sedicenne, diventava moralmente insopportabile per ragazzi ancor più giovani. Si sono avute decisioni in entrambe le direzioni, basate soprattutto sull"isolamento geografico del tribunale e sul carattere del minore.

Un esempio di regola non funzionale è la responsabilità civile. Il riferimento è sempre al Mozambico che, come noi, prevede che chi abbia commesso un danno ingiusto sia obbligato a risarcirlo.

In una situazione di forte incertezza, come quella africana, può non essere conveniente addossare ad una sola delle parti il peso di tutta la responsabilità, perché l"attenzione deve essere sviluppata in ognuna. Così, nel caso di un pullmino che, sbandando per lo scoppio di una gomma, aveva danneggiato un"autovettura che passava, è stato chiesto al conducente di ripagare solo metà del danno, come se ci fosse un concorso di colpa (francamente difficile da riconoscere). "Ma ognuno sa" ha argomentato il giudice, "che le strade sono pericolose, e che questo tipo di incidenti può succedere: dunque TUTTI devono vegliare per ridurre il pericolo per sé e per gli altri".

Un ulteriore esempio è la regola della responsabilità personale per i debiti. La regola obbliga colui che li ha contratti a rispondere con il proprio patrimonio presente e futuro.

Le regole hanno valore se posso essere coercite: altrimenti è come se non esistessero. Questo crea un "buco" legislativo in pratica, anche se in teoria la norma esiste.

La regola dell"obbligazione personale funziona in una società dove l"accumulazione dei beni è possibile; in una situazione di estrema povertà, invece, la coercizione ne è impossibile, perché non esistono beni personali su cui rivalersi, e la prospettiva che esistano in futuro è labile. Il diritto tradizionale prevede una sorta di obbligo congiunto della famiglia a ripagare il debito, oppure il lavoro forzato (in certi la riduzione in schiavitù): chi non può rispondere con i propri beni del debito, risponde con il proprio lavoro. Il diritto formale non prevede, invece, queste possibilità o le prevede in modo assolutamente residuale (pensate ad es. all"applicazione del datio in solutum).

Il risultato della regola inadatta è che i prestiti sono concessi con estrema difficoltà e con delle condizioni molto svantaggiose per chi li chiede, perché il rischio del creditore è molto alto.

Ciò può nuocere sensibilmente ad una società che ha estremo bisogno di far circolare la ricchezza (e sviluppare la mentalità connessa).

Qusto stato di cose non è necessariamente inevitabile: si possono pensare delle soluzioni alternative imparando la lezione del diritto tradizionale ma mitigandola. Un"idea è, ad esempio, creare un sistema di responsabilità familiare, per cui i parenti stretti sono responsabili nella contrazione dell"obbligazione ma anche nella solvibilità; o sviluppare la regola del datio in solutum prevedendo e quantitizzando l"obbligo di fare che la parte insolvente dovrebbe adempiere.

Infine, vi sono fatti della vita quotidiana che non sono disciplinati a livello formale. E" così per molte usanze e tradizioni, come il matrimonio con lobolo, che non è ufficialmente riconosciuto; ma anche per questioni meno facili da comprendere, come quelle legate alla magia.

 

6. Il giudice ed il senso del giusto

Come reagisce un giudice in fronte ad un caso in cui la legge formale cozza con i suoi principi etici, o quando si trova di fronte ad una regola che giudica inadatta?

Sono casi molto frequenti, perché le leggi erano state scritte da europei per europei; solo in un secondo momento importate in Africa; e solo in un terzo estese a tutti gli africani.

La domanda può anche porsi in questo modo: quanto è fedele un giudice al testo della legge? (ammesso che la conosca).

Sempre con le dovute eccezioni, si può rispondere che il rispetto della regola scritta è poco. Le interpretazioni dei testi normativi sono creative, a volte l"applicazione è addirittura in contrasto con il senso della disposizione.

In qualche modo i giudici fanno "quello che gli pare"; ma questo non è sempre negativo. Spesso sono proprio i magistrati a mediare fra la regola di legge, ufficiale ma non compresa dalla popolazione, e la regola tradizionale, non ufficiale ma spesso più vicina alla gente, trovando delle soluzioni accettabili per tutti.

In una corte di Maputo, ad esempio, era arrivato un caso di eredità. Una vedova chiedeva che le fosse riconosciuta la proprietà dei beni del marito, mentre la famiglia del defunto non voleva. Secondo il codigo civil, la vedova eredita i beni del marito in concorrenza con i figli, se ci sono, altrimenti eredita interamente, fatte salve le disposizioni del testatore sulla quota disponibile.

Secondo la tradizione ronga, invece, la vedova è fra il 4 ed il 14 posto nella scala successoria; il che equivale a dire che non eredita mai. Questo specialmente in assenza di figli, che la tradizione garantisce affidandone il mantenimento al gruppo familiare del defunto. Cosa succede alla vedova è, invece, tutto da vedere. Sicuramente giocano un ruolo fondamentale i rapporti familiari e la situazione economica; ma non è detto che la vedova- solo perché ex moglie- sia presa in carico dai parenti del marito.

Nel caso di specie, la pretesa della vedova sull"eredità del marito era fondata secondo la legge, ed infondata secondo la tradizione.

Il giudice decise per una via di mezzo, dando una parte dei beni alla moglie e l"altra ai fratelli del marito. Questa decisione, che a prima vista sembra svantaggiare la donna, in realtà la tutelava: infatti evitava una frattura con la famiglia del de cuius che sarebbe stata socialmente più pericolosa per lei che non la rinuncia ad alcuni beni.

Un secondo caso, che vale la pena raccontare perché particolarmente "esotico", è stato risolto sempre dalla stessa corte. Si tratta di un esempio in cui il giudice applica le categorie giuridiche in modo tecnicamente perfetto ma per un fatto, ai nostri occhi, immaginario.

Due famiglie avevano deciso di scambiarsi la casa, e per questo avevano preso solenne impegno, firmato un contratto e sacrificato un capretto. Una delle due, arrivato il momento del trasloco, aveva però cominciato a tergiversare. Dopo qualche mese l"altra, stanca dei ritardi, aveva "fatto una cerimonia" (una magia nera) contro la prima. Il suo capofamiglia si era trovato così, in virtù della magia, a poter camminare solamente a quattro zampe, ed aveva perso il lavoro.

La famiglia riluttante aveva infine acconsentito allo scambio, ma la magia "non era stata ritirata"e l"uomo aveva continuato camminare a carponi. Al potere di fare la magia non corrisponde, necessariamente, il potere di toglierla: ritenendo di essere stata ingiustamente danneggiata, la famiglia con l"uomo a quattro zampe agì per il risarcimento dei danni. Il giudice glieli concesse.

Non importa stabilire se l"uomo fingesse, o fosse completamente condizionato o se la storia della magia fosse vera o falsa; ciò che conta rilevare è che la magia veniva ritenuta esistente come possibilità, e quindi trattata come qualcosa che può accadere.

La paura del soprannaturale sta pian piano scemando con il progresso ed il contatto con gli occidentali, ma resta ancora ben salda nella grande maggioranza degli africani. Ricordo, ad esempio, che durante le elezioni nigeriane del 2005 quasi tutti i candidati si contendevano gli stregoni più potenti, pagandoli cifre da capogiro. Questi fatti erano pubblici, ed i salari dei maghi apparivano sui giornali come sui nostri appaiono i salari dei manager.

In molti stati gli stregoni possono andare in giudizio a testimoniare sull"esistenza o meno di fatti sovrannaturali, ed in certe situazioni si riuniscono addirittura in "sindacato" (ad esempio, in Mozambico, la loro associazione, l"AMETRAMO, è spesso consultata dalle corti per i fatti di magia).

Il risarcimento dei danni accordato alla prima famiglia non fu mai contestato dalla seconda sul an (avevano confessato di avere fatto la magia, e quindi di aver causato un danno), ma sul quantum (ritenevano la quantificazione eccessiva).

Un terzo esempio riguarda il riconoscimento delle tradizioni. Ad esempio, in Mozambico il matrimonio tradizionale con lobolo non è del tutto equiparato al matrimonio civile: ciò può danneggiare la moglie ed i figli.

In un caso, sempre di Maputo, una vedova sposata "con lobolo" chiedeva il versamento della pensione del marito, morto sul lavoro, che le veniva contestato perché non registrata come sposa. Il giudice decise in suo favore: sarebbe stato giusto altrimenti?

 

 7. Il rovescio della medaglia: quando la legge entra nel villaggio

Le regole, le istituzioni ed il modo di pensare "tradizionale" influenzano i tribunali dello Stato.

Avviene però anche il contrario: la legge formale, la Costituzione, le Convenzioni sui diritti umani entrano ed influenzano le decisioni dei tribunali di villaggio, quando sono conosciute.

Questo avviene per diverse ragioni: 1) le regole formali hanno, comunque, un certo prestigio e, se non sembrano assurde o inopportune, possono essere accettate; 2) regole presentate come molto importanti acquistano autorità perché si suppone che siano state discusse ed accettate da persone molto sagge; 3) il giudice che conosce sia la tradizione che la legge gioca su un doppio binario e acquista reputazione nel villaggio.

La presenza delle organizzazioni internazionali e delle ONG ha ormai assunto proporzioni significative in tutti gli stati dell"Africa, ed il loro impegno nella promozione dei diritti umani e del rispetto delle leggi è innegabile. Anche se i risultati possono tardare, la mentalità a poco a poco cambia.

Ad esempio si hanno decisioni di villaggio in cui il bambino ladro viene "picchiato ma non troppo", perché contrario alle convenzioni internazionali (!) , o in cui il padre appartenente a un altro villaggio (e con altre famiglie a carico) viene obbligato a mantenere i figli lasciati con la madre "perché lo dice la legge", o i giovani innamorati difesi contro i genitori contrari alla loro unione perché "la Costituzione garantisce la libertà".

Naturalmente le regole "formali" hanno più probabilità di essere recepite ed applicate quando non si scontrano troppo con la mentalità comune, o vengono ricondotte a delle categorie comprensibili al villaggio: ad esempio, un"attivista di una organizzazione contro la violenza sulla donna spiegava che la moglie "non va picchiata, altrimenti il marito dimostra a tutto il villaggio di non avere sufficiente autorità per farsi ubbidire altrimenti".

Il diritto all"integrità fisica della donna è indipendente alla sua posizione di moglie ed al suo presunto dovere di obbedire; tuttavia, il modo in cui il concetto veniva spiegato faceva leva su un sentimento –l"orgoglio dell"autorità- riconosciuto ed accettato.

Anche se la spiegazione dell"attivista non era ortodossa, c"è ragione di credere che qualche botta, quella sera, sarà stata risparmiata.

  

8. L"organizzazione dell"ordinamento

Per quanto riguarda l"organizzazione dell"ordinamento, possiamo riassumere così:

1) la struttura delle corti formali, generalmente, rispecchia quella della madrepatria al momento dell" indipendenza. Generalmente si hanno corti di primo grado e di appello, sia per il civile che per il penale; talvolta una Corte Suprema. E" possibile trovare anche delle corti specializzate, come il tribunale amministrativo e la corte dei conti.

A questo sistema si contrappongono i tribunali tradizionali, che possono essere di villaggio o di quartiere. Molte città africane, infatti, si sono espanse inglobando i villaggi vicini e trasformandoli in quartieri urbani. Questi "quartieri" hanno spesso mantenuto la loro organizzazione interna, con un capo, uno stregone, un consiglio degli anziani. In Nigeria, quando muore un reuccio si scatena la caccia all"uomo per potere sotterrare il sovrano assieme a qualcuno che gli faccia compagnia. Ho assistito a questa caccia nel quartiere/villaggio di Isolo, a Lagos. Era il 2005.

Le corti tradizionali decidono tutto oralmente, senza registrare le sentenze per mancanza di mezzi (carta, penne) e di alfabetizzazione.

Ai tribunali si affiancano molti altri organi di risoluzione delle controversie che non hanno un ruolo "ufficiale". Associazioni, chiese, posti di polizia: ogni istituzione con un certo prestigio viene usata per sviscerare le questioni e risolvere il contrasto prima che diventi esclusivo. Se l"istituzione è collegiale è preferita.

2) Anche l"ordine delle fonti del diritto rispecchia, almeno formalmente, quello della ex-madrepatria, con la prevalenza della legge o del precedente a seconda se il sistema sia di civil o di common law. Come si è detto, però, questa prevalenza è più teorica che pratica.

Fonte prima del diritto tradizionale è, invece, la consuetudine. Anche questa, però, è applicata molto elasticamente; ciò che conta è soprattutto risolvere la disputa senza strascichi e possibilmente con il ravvedimento del reo.

3) Il ruolo del giudice cambia significativamente. Per il sistema europeo, il giudice deve essere terzo alle parti per assicurare un giudizio indipendente e corretto. Deve inoltre essere un tecnico del diritto ed attenersi il più possibile al senso letterale del testo normativo.

Per la mentalità africana il giudice non è un tecnico, ma deve essere un uomo saggio (possibilmente anziano), dotato di molto buon senso. Deve essere aiutato da consiglieri perché la decisione sia riflettuta da più persone, e più parti si sentano responsabilizzate nella sua attuazione. Deve inoltre conoscere le parti il più possibile per prendere una decisione "giusta" . Non può quindi essere un estraneo: rischierebbe di sottovalutare degli elementi (anche caratteriali) importanti.

4) Per la tradizione africana, la soluzione "giusta" non è quella presa nel rispetto assoluto di regole pre-esistenti ed imparziali, ma quella condivisa dalle parti. La funzione della regola cambia: non dà la soluzione, ma la indirizza. A sua volta, la sanzione appropriata è quella che reca un vantaggio al villaggio, sia questo inteso come cessazione del contendere (pace sociale), utilità pratica (lavoro forzato), recupero del reo per i casi minori (e della sua forza lavoro), o fine del pericolo (morte o allontanamento del reo). In quest"ottica, la carcerazione appare irrazionale, perché sottrae della forza lavoro, non redime, crea acrimonia, non allontana definitivamente il pericolo; a meno che non consista in una tremenda punizione. Nel nord del mozoambico alcune ONG hanno condotto (e completato, ormai, credo) con successo un progetto di risanamento delle carceri locali. Si è intervenuti tanto sulle strutture quanto sulla risocializzazione dei prigionieri, attraverso la creazione di gruppi di produzione artigianale, con uno sbocco commerciale in Europa, ed alla rielaborazione dell"esperienza delittuosa, attraverso l"assistenza psicologica ed il teatro-dramma. La reazione dei prigionieri è stata entusiastica, mentre non ho sentito alcun commento favorevole da parte della popolazione civile, che non capiva come mai " in prigione si dovesse star meglio che fuori".

Il recupero del reo attuato al di fuori del villaggio e del controllo dei suoi pari non era considerato possibile, o comunque utile, perché non sarebbe tornato a vantaggio della comunità che aveva subito il torto.

Lo stesso atteggiamento ho visto nei confronti dei carcerati in Nigeria, ed in Togo: la popolazione non riusciva a capire perché i donors volessero investire per riabilitare le strutture carcerarie invece di concentrarsi su pozzi, strade, ospedali e scuole. Il ragionamento era sempre lo stesso: il reo deve riparare al male fatto o con il lavoro (e allora ben vengano i lavori forzati, ma senza compenso per il prigioniero) o almeno, del tutto in subordine, con la sofferenza.

Il carcere diventava, quindi, il sostituto simbolico della pena corporale che il diritto tradizionale avrebbe inflitto.

 

8. Realtà della giustizia formale e della giustizia tradizionale oggi

Il panorama della giustizia di Stato non è, quasi da nessuna parte, confortante.

Generalmente gli africani non amano risolvere le proprie controversie di fornte a un Tribunale di Stato, verso cui sono diffidenti.

Le ragioni sono molte, alcune di ordine pratico ed altre di ordine culturale.

In primo luogo, i Tribunali si trovano nei grandi centri, e sono perciò irragiungibili dai villaggi (un viaggio su strade spesso di terra battuta e pochi mezzi per arrivarci, hanno un costo troppo alto in termini di tempo e di denaro).

A ciò si aggiunge che una decisione presa lontano dal villaggio –e senza la sua partecipazione- può non essere accettata e condivisa, quindi può "non contare". Al contrario, la giustizia comunitaria è vicina, partecipativa, decisa ed applicata sotto gli occhi di tutti. Questo porta ad una responsabilizzazione di tutti sull"adempimento della sanzione, ed alla riaccettazione del reo quando questi l"abbia compiuta.

Una pena stabilita e scontata lontano, come può essere la prigione, non prova al villaggio né il ravvedimento del reo né la sua punizione.

In terzo luogo, i processi in tribunale sono lunghi, costano, e vengono decisi sulla base di regole non sempre conosciute o condivise.

Le parti quindi preferiscono una giustizia meno onerosa e più "certa", secondo i loro parametri.

L"autorità del giudice togato, terzo alle parti e "tecnico" (almeno in teoria), non corrisponde all"aspettativa della tradizione, che vuole una decisione collegiale e la conoscenza dei fatti pregressi e del carattere delle parti.

Bisogna aggiungere, inoltre, che il risultato dei processi non è interamente prevedibile neanche da chi conosca le leggi; in parte perchè, come si è detto, l"interpetazione delle norme è molto libera; in parte perché la corruzione dei magistrati è un fenomeno frequente.

 Questi problemi sono al centro delle riforme finanziate dalle Organizzazioni Internazionali. Il centro delle riforme è, però, quasi sempre il rafforzamento della giustizia formale: modernizzazione delle normative, costruzione di più tribunali e prigioni, campagne di sensibilizzazione sui diritti, formazione dei magistrati al rispetto della legge.

Il ruolo del diritto tradizionale e delle sue istituzione non è riconosciuto o, quando lo è (come in Mozambico), è comunque molto limitato.

Anche questo è legato a ragioni di ordine pratico e culturale. Sicuramente esiste una diffidenza di base verso una giustizia tanto diversa da quella praticata in Europa.

Inoltre, molte regole o sanzioni non sono moralmente accettabili al giorno d"oggi, come le pene corporali, e generalmente i donors hanno aderito a convenzioni internazionali che li impegnano a certi standard di tutela della persona. Le soluzioni possono inoltre essere molto distanti dai codici (ad esempio, come si è visto, l"accettazione della discriminazione per status –che elimina a priori il concetto di giustizia "uguale per tutti"- o il valore dato alla magia, considerata come un "fatto" reale). Ciò può portare ad vero problema di applicazione delle disposizione sui diritti umani.

Fra le ragioni pratiche, si può ricordare che l"accettazione della giustizia di villaggio rende estremamente difficile monitorare lo svolgimento dei processi e le soluzioni.

Spesso infatti le corti sono in luoghi quasi inaccessibili, per via della condizione delle strade, la mancanza di mezzi di comunicazione (a parte il cellulare) e di trasporto, l"imprevedibilità delle condizioni climatiche.

Le corti tradizionali vengono viste, quindi, come la rinuncia ad una giustizia unitaria, poiché le regole cambiano di villaggio in villaggio e la loro armonizzazione è considerata pressochè impossibile.

 In ultimo nell"esposizione, ma in primo luogo nella determinazione delle politiche delle Organizzazioni Internazionali, vi è la necessità di dare una reale garanzia al credito, per incentivare gli investimenti stranieri e creare sviluppo.

La frammentarietà e la tendenziale imprevedibilità delle soluzioni di corti non statali sono giudicate inadeguate a garantire gli investimenti, che hanno necessità di regole prevedibili e certe.

I modelli di soluzione proposta ricalcano, però, sempre lo stesso schema di rafforzamento della giustizia di modello europeo.

 

 9. Cenni conclusivi

 Volendo brevissimamente riassumere: 1) è imprescindibile, per comprendere come funziona il diritto di popoli lontani, conoscere le loro tradizioni, regole, strutture, psicologia e dinamiche sociali. Il giurista che guardasse con sufficienza il ruolo di antropologi, sociologi ed etnopsicologi, rischierebbe di avere una visione molto limitata – e spesso falsata- delle cose. 2) La preferenza per evitare il conflitto, o risolverlo attraverso la conciliazione, è pervasiva, così come la conseguente, diversa, funzione della regola. Questo è un punto fondamentale che, se ignorato, rischia di creare continue incomprensioni. 3) Molto spesso il diritto formale rispecchia quello delle ex-madripatrie (es: paese ex colonia francese, civil law di modello francese; paese ex colonia inglese, common law inglese, etc…), e così ci si potrebbe aspettare un"organizzazione sia tecnico-burocratica sia legislativa e giurisprudenziale a noi "familiare". Ciò però va corretto con le difficoltà pratiche di produzione, fruizione e comprensione delle norme: si potranno perciò avere "correzioni" del sistema che rendono tutt"altro che prevedibile il risultato del legal process: ad esempio, sovrapposizione di testi giuridici difformi ugualmente applicati, o disapplicazione esplicita o implicita (attraverso interpretazioni basate su regole tradizionali, che quindi devono essere conosciute) della norma di legge. 4) I modelli di rafforzamento della giustizia formale sembrano produrre scarsi risultati in relazione agli investimenti attuati, ma una alternativa reale ed efficace non è stata ancora sperimentata. Sarebbe un buon campo di indagine per gli studiosi di analisi istituzionale.




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