-  Storani Paolo  -  07/09/2013

COSA INTENDIAMO PER DISCONOSCIMENTO DI SCRITTURA PRIVATA - Cass. 18349/2013 - Paolo M. STORANI

Muovendo da Cass. Civ., Sez. II, 31 luglio 2013, n. 18349, Pres. Roberto Michele Triola - Est. Pasquale D'Ascola, PM Carmelo Sgroi (conclusioni: rigetto del ricorso), è possibile sviluppare qualche riflessione d'ordine pratico su cosa si intenda per disconoscimento di scrittura privata.

In sintesi, la Corte d'Appello de L'Aquila, con sentenza depositata il 16 gennaio 2007, capovolgeva la decisione del Tribunale di Avezzano, che aveva accolto la domanda di condanna dell'attore al pagamento di una somma mutuata in più riprese ai convenuti.

Il riconoscimento del diritto era contenuto in una scrittura privata sottoscritta dai convenuti e prodotta in giudizio in fotocopia.

Deceduti i convenuti, la domanda era stata riassunta ed accolta nei confronti dell'erede testamentario, che pure aveva contrastato la richiesta e, realizzatosi il deposito dell'originale della scrittura, l'aveva disconosciuta.

La Corte distrettuale aquilana ribaltava il responso del Tribunale marsicano e, "rilevato che a seguito del disconoscimento, iniziale e successivo, non era stata proposta la procedura di verificazione, rigettava la pretesa attorea".

La questione giungeva alla Suprema Corte sotto la vigenza dell'obbligatorietà del quesito di diritto.

E l'unico motivo in cui era condensato il ricorso al S.C. consisteva nel seguente quesito: "ai fini del disconoscimento di una scrittura privata, nella sua interezza o limitatamente alla sua sottoscrizione, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale o speciale, è sempre necessaria una impugnazione specifica e determinata, che contesti chiaramente l'autenticità della stessa, e che non lasci dubbio alcuno sulla sua interpretazione".

Un primo paletto: stando al magistero della emblematica Cass., Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5461 (Pres. Roberto Preden, Rel. Francesco Trifone), l'onere di disconoscere la conformità fra l'originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'adozione di formule sacramentali, viene assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto.

Talché, gli estremi della negazione della genuinità devono desumersi in maniera inequivoca.

Ne consegue, ad esempio, che la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all'originale, a mente dell'art. 215 c.p.c., n. 2, se la parte comparsa, nei cui confronti è stata prodotta, non la disconosce in modo formale e specifica nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione.

In proposito, per migliore informazione, si veda il contributo di Giorgio Grasselli, avvocato in Padova, a margine del medesimo art. 215 c.p.c., nel Commentario al Codice di Procedura Civile a cura di Paolo Cendon, edito da Giuffrè nel 2012.

La scrittura si ha per riconosciuta in due ipotesi:

1. Se la parte cui è attribuita è contumace;

2. Se la parte costituita non la disconosce nella prima udienza o nella prima risposta che segue alla produzione della scrittura.

Nel caso da cui parte la nostra disamina il S.C. ha seguito l'insegnamento della Corte di legittimità ritenendo che fosse stato espresso "un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta".

Comparsa di costituzione e di risposta: "gli attuali convenuti non ebbero a sottoscrivere alcuna scrittura privata e, nel caso, sicurtamente estorta con inganno e raggiro"; una chiara manifestazione di volontà impossibile da fraintendere!

Presa visione del deposito dell'originale, parte resistente "aveva immediatamente disconosciuto la sottoscrizione del de cuius".

Ineccepibile, dunque, la statuizione della Corte aquilana che ha tratto le logiche conseguenze dalla mancata istanza di verificazione.

Da rilevare che:

a) la prima, tempestiva manifestazione di volontà dei convenuti era univoca e la Corte d'Appello le dà peso razionalmente;

b) in linea subordinata, costoro anche avevano avanzato un'ipotesi di estorsione e vizi di volontà, formula eventuale che avrebbe avuto vigore autonomo soltanto a seguito di positiva verificazione della scrittura che fosse, quindi, risultata vergata di pugno dai convenuti;

c) ai sensi dell'art. 216 c.p.c. la parte che aveva prodotto la scrittura poi disconosciuta ex adverso avrebbe dovuto domandarne la verificazione e tale vaglio è mancato.

Non avendo la parte interessata agito nel senso or ora indicato, il S.C. ha confermato la congrua e logica decisione del Collegio di secondo grado, rigettando il ricorso e condannando parte ricorrente alla refusione dei compensi di lite alla controparte che aveva resistito con controricorso.

Di seguito il testo integrale della significativa pronuncia qui segnalata, trattata alla pubblica udienza del 19 marzo 2013.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 marzo - 31 luglio 2013, n. 18349

Presidente Triola – Relatore D"Ascola

 

Svolgimento del processo

 

D.F.I. conveniva in giudizio D.C.S. ed P.E. , chiedendone la condanna al pagamento di Euro ventimila, somma mutuata in più riprese, come riconosciuto in una scrittura privata del 14 febbraio 1989 sottoscritta dai convenuti e depositata in fotocopia.

I coniugi D.C. si costituivano in giudizio negando il debito.

Tal G.M. , inizialmente indicato quale testimone, interveniva in giudizio adesivamente, senza assumere pertanto la veste di litisconsorte necessario.

Interrotta per la morte dei convenuti, la causa veniva riassunta nei confronti dell'erede testamentario D.C.B. , la quale resisteva in giudizio e, avvenuta la produzione dell'originale della scrittura, disconosceva le sottoscrizioni. La domanda veniva accolta dal tribunale di Avezzano. La Corte di appello di L'Aquila il 16 gennaio 2007 capovolgeva la decisione e, rilevato che a seguito del disconoscimento, iniziale e successivo, non era stata proposta la procedura di verificazione, rigettava la pretesa attorea.

D.F.I. resisteva con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso consta di un solo motivo, che denuncia in rubrica violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., condensato da quesito di diritto che qui si riporta:

"Ai fini del disconoscimento di una scrittura privata, nella sua interezza o limitatamente alla sua sottoscrizione, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale o speciale, è sempre necessaria una impugnazione specifica e determinata, che contesti chiaramente l'autenticità della stessa, e che non lasci dubbio alcuno sulla sua interpretazione?".

Come risulta palese dalla formulazione, il tema della controversia non è il principio di diritto, senza dubbio pacifico, che si vuole affermare (cfr. per tutte Cass. 5461/06, secondo la quale "l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto: tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia"), ma la sussunzione in esso del caso di specie e l'adeguatezza della motivazione con la quale la Corte di appello l'ha sorretta.

Nella specie la Corte di appello ha avuto ben presente il ricordato insegnamento della Corte di legittimità, poiché ha ritenuto che fosse stato espresso "un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta". Lo ha ravvisato nel fatto che in comparsa di risposta fosse stato dedotto testualmente: "gli attuali convenuti non ebbero a sottoscrivere alcuna scrittura provata e, nel caso, sicuramente estorta con inganno e raggiro".

Ha aggiunto che la odierna resistente aveva ribadito la contestazione della scrittura prodotta in copia e, avuta visione dell'originale prodotto in corso di causa, "aveva immediatamente disconosciuto la sottoscrizione del de cuius".

Ha osservato che detto secondo disconoscimento era tempestivo in relazione alla produzione dell'originale; ha concluso traendo le conseguenze della mancata istanza di verificazione.

La decisione così assunta è ineccepibile sotto ogni profilo.

La motivazione circa la idoneità del primo disconoscimento è congrua e logica, poiché ha dato peso, razionalmente e opportunamente, alla prima manifestazione della comparsa di risposta e non alla subordinata ipotesi di estorsione e vizi della volontà. Questa ultima era formulata in via eventuale ("nel caso"); era dunque destinata ad assumere valore e senso autonomo solo ove, a seguito di positiva verificazione, che è mancata, la scrittura fosse risultata di pugno dei convenuti.

Inoltre l'inequivoco e tempestivo disconoscimento effettuato dopo la produzione dell'originale valeva a confermare chiaramente l'adempimento dell'onere di disconoscimento.

Ai sensi dell'art. 216 c.p.c., la parte che aveva prodotto la scrittura così disconosciuta avrebbe dovuto chiederne la verificazione.

In mancanza, è corretta la decisione del giudice di merito, che ha considerato non provata la domanda.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.




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