-  Antonio Arseni  -  13/04/2016

CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO A FAVORE DEI FIGLI MINORI E MAGGIORI NON ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO - Antonio ARSENI

I genitori devono mantenere i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti in proporzione al proprio reddito, considerando le loro esigenze, il tenore di vita goduto quando i genitori erano conviventi, il tempo di permanenza presso uno di questi, le risorse economiche di entrambi i coniugi e la valenza economica dei compiti domestici nonchè di cura assunti da ciascuno dei genitori. Cinque parametri che vanno sapientemente dosati, caso per caso, per la determinazione di un equilibrato importo, idoneo a garantire i bisogni dei minori ritenuti prioritari rispetto ad ogni altra questione economica che scaturisce dalla rottura del rapporto coniugale.

I figli maggiorenni "fannulloni" non possono pretendere di gravare economicamente sui genitori quando abbiano la possibilità di intraprendere una attività e non lo facciano.

Le spese per l'iscrizione del minore ad una scuola privata non sono straordinarie allorchè la scelta fatta da uno dei genitori, non concertata con l'altro, risponda ad un maggiore interesse del figlio.


I genitori hanno il dovere di prendersi cura dei propri figli, minorenni o maggiorenni, e di mantenerli fino a quando non diventano economicamente autosufficienti.

Trattasi di un principio fondamentale del nostro Ordinamento, che discende dal precetto di cui all'art. 147 cc., imponendo agli stessi di far fronte alle molteplici esigenze dei figli non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età degli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura ed educazione.

Questo, però, non può e non deve significare che i genitori debbano soddisfare tutto quello che i figli chiedono, a ciò indotti da un consumismo tipico delle moderne società industrializzate, che, attraverso efficaci tecniche pubblicitarie, fanno apparire come reali meri bisogni fittizi o conducono ad identificare la personale felicità con l'acquisto ed il possesso di questo o quell'altro bene materiale.

L'assegno va determinato tenendo conto delle possibilità economiche dei genitori. Il Codice Civile indica, in particolare una norma specifica per il mantenimento dei figli, che è quella di cui all'art 337 ter CC inserito dal D.Lg 18/12/2013 n° 154, in sostituzione dell'abrogato art. 155 CC, di cui riproduce sostanzialmente il contenuto.

Dispone l'art. 337 ter, cc, che ciascuno dei genitori, salvo patto diverso tra gli stessi, provvede al mantenimento dei figli sulla base di un criterio di proporzionalità al proprio reddito.

Detto criterio va realizzato tenendo conto di vari fattori che la norma in esame individua, specificamente, nelle esigenze del figlio o dei figli, nel tenore di vita goduti in costanza di convivenza con entrambi i genitori, dei tempi di permanenza presso ciascuno di essi, delle risorse economiche di entrambi, della valenza dei compiti domestici e di cure assunti da ciascun genitore. L'assegno è automaticamente adeguato.

La giurisprudenza ha avuto modo di intervenire per spiegare il significato di detti criteri, pervenendo ai seguenti risultati, non senza avvertire (v. Cass. 19017/2015) che l'obbligo di mantenimento dei figli è, comunque, prioritario rispetto ad ogni altro adempimento di natura economica e può essere adempiuto attraverso una modalità diretta o indiretta.

La differenza consiste essenzialmente nel fatto che la prima si concretizza nel soddisfacimento immediato dei bisogni del minore, il che avviene soprattutto da parte del genitore collocatario del medesimo, il secondo, invece, si sostanzia nella corresponsione di un assegno di mantenimento periodico destinato a coprire le esigenze ordinarie della prole. Nonostante la riforma sull'affidamento condiviso (2006) indichi quale regime preferibile quello del mantenimento diretto, ciò non equivale a dire che lo stesso sia una conseguenza automatica ed obbligata di detta riforma (cfr in tal senso Cass. 785/2012).

Ed, invero, ragioni soprattutto pratiche, dovute al fatto che spesso, anche in caso di affidamento condiviso, il minore rimane prevalentemente collocato presso uno dei genitori (normalmente la madre), come accade nel caso di affidamento esclusivo ad uno dei genitori, rendono opportuno che il Giudice della separazione o del divorzio adotti provvedimenti che stabiliscano, a carico di uno dei coniugi, l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento a favore dell'altro, con il quale il minore vive in prevalenza: un assegno, dunque, destinato a sostituire il regime del mantenimento diretto attraverso un contributo periodico apportato proporzionalmente alle sue sostanze e determinato, dall'art. 337 ter CC n° 3, proprio dai tempi di permanenza presso uno dei genitori.

Raramente si riscontrano pronunce giurisprudenziali che prevedano come unica modalità di partecipazione al sostentamento della prole quella del mantenimento diretto da parte di entrambi i genitori.

Detto questo ed affrontando il tema specifico dei parametri, di cui il Giudice deve tener conto nello stabilire il contributo che deve essere corrisposto per il mantenimento del minore, va subito detto che i primi due testé ricordati (esigenze attuali del minore stesso e tenore di vita in costanza di convivenza dei genitori) costituiscono delle chiare indicazioni di come il legislatore abbia posto in primo piano, al pari di ogni altro provvedimento relativo alla prole, il preminente interesse (morale e materiale) di quest'ultima, tale da assumere un peso ancora più rilevante delle risorse economiche dei genitori. Abbastanza eloquenti appaiono le decisioni della giurisprudenza di merito e di legittimità, recenti ed anche più risalenti che, adottate sotto la vigenza dell'abrogato articolo 155 CC, sono tutt'ora utilizzabili stante la sostanziale identità di contenuto dell'art. 337 ter CC.

Così è stato stabilito (per fare solo degli esempi v. Cass. 19/03/2002 n° 3974, Tribunale di Monza 25/01/2010 n° 295 in Red. Giuffré 2010) come la misura del contributo al mantenimento dei figli minori possa dal Giudice essere "legittimamente correlata non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dalla attività professionale svolta dal genitore non convivente, quanto, piuttosto, ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita dei figli stessi."

Ed ancora, è stato affermato (Cass. 06/11/2003 n° 23630) che ai fini della determinazione dell'assegno periodico per i figli minori va attribuita sicura preminenza al criterio delle esigenze attuali dei figli che non sono certamente soltanto quelle inerenti il vitto, l'alloggio e le spese correnti, ma attinente ad essi è indubbiamente l'acquisto di beni durevoli (es. indumenti, libri) che non rientrano necessariamente tra le spese straordinarie.

Occorre, dunque, che nella determinazione del contributo in questione, le normali esigenze del minore vengano sempre e comunque soddisfatte, come avviene nella famiglia unitaria, laddove, secondo quanto prescritto dall'art. 148 CC, è affermato che "i coniugi devono adempiere l'obbligo di cui all'art. 147 CC secondo quanto previsto dall'art. 316 bis CC" dedicato proprio al concorso dei genitori al mantenimento dei figli.

L'esigenza che il minore non sia pregiudicato nella crescita e formazione a causa della crisi coniugale, che certamente non può ripercuotersi sullo stesso, spiega la scelta di prevedere, subito dopo, nell'art. 337 ter CC, al n° 2 del comma IV, la necessità che sia garantita la continuità del regime di vita precedente, proprio per evitare uno stravolgimento nella vita del minore: le attuali esigenze del minore (comma IV n° 1) e il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza tra i genitori (comma IV n° 2) sono parametri correlati e da tenere prioritariamente in considerazione.

Va rilevato, a tal riguardo, che ai fini della valutazione del tenore di vita, che deve essere assicurato al minore in misura analoga a quello già goduto prima della crisi coniugale dei genitori, rilevano anche gli incrementi di reddito di ciascuno dei coniugi, se riferiti all'attività che essi svolgevano durante la convivenza, rappresentandone il prevedibile sviluppo (v. Cass. 10/01/2011 n° 367; Cass. 20/01/2012 n° 785).

I primi due criteri, di cui appena si è discusso, poi vanno coordinati con gli altri elencati nell'art. 337 ter CC, tra cui, soprattutto, le risorse economiche dei genitori, ricavabili da una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti, dovendosi far riferimento anche alle concrete capacità lavorative ed alla potenzialità di produrre reddito (v., ex multis, Cass. 15/05/2009 n° 11291 e Corte Appello Catania 28/01/2015 in Red. Giuffré 2015).Dette potenzialità, se riferite al coniuge affidatario o collocatario, concorrono a garantire ai figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, una migliore soddisfazione delle loro esigenze di vita ma non comporterebbero la possibilità di operare una proporzionale diminuzione del contributo da parte dell'altro genitore (Cass. 2.8.2013 n.18538 e Cass. 13.5.2013 n. 10720)

Se è importante la valutazione della situazione economica delle parti, appare impensabile tuttavia che si possa garantire ai figli più di quanto le capacità economiche dei genitori siano in grado di fare, come, ad esempio, quando il soggetto obbligato a versare il contributo per il figlio minore abbia perso irrimediabilmente il posto di lavoro, da cui traeva esclusivamente quanto necessario per il sostentamento della famiglia e non abbia prospettive per un nuovo impiego. Ma sulla questione potrebbero farsi dei distinguo, come nel caso in cui la perdita del posto di lavoro sia dovuta a dimissioni, ovvero ad un licenziamento scaturito da una evidente inadempimento degli obblighi contrattuali del genitore onerato o quando, a prescindere da tutto ciò, il soggetto obbligato abbia le capacità professionali per poter rimediare ad una condizione di disoccupazione: il che potrebbe incidere negativamente sull'esame e decisione di una richiesta di esonero dal contributo in questione.

Al contrario, non vi sarebbe ragione per cui il Giudice non debba considerare, ad esempio, il carico economico che può avere il genitore obbligato per il fatto di dover provvedere al mantenimento di altro figlio nato fuori dal matrimonio (Cass. 14.5.2005 n. 10197).

Per quanto riguarda gli ultimi due parametri già ricordati (tempi di permanenza presso ciascun genitore, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore), essi andrebbero interpretati caso per caso perché se i compiti, ad esempio della madre collocataria, comportassero un costante impegno per la stessa, tale da impedirle di essere occupata a tempo pieno o addirittura part-time, è indubbio che una simile evidenza debba essere valutata dal Giudice al fine della determinazione dell'assegno di mantenimento del padre, che magari, nonostante l'affidamento condiviso, può stare con i figli pochi giorni ogni mese.

Una analoga evenienza, peraltro, non sarebbe idonea ad esonerare od allegerire il soggetto obbligato dall'obbligo di corresponsione del contributo di mantenimento del minore per poter quest'ultimo stare qualche volta con il genitore non collocatario, il quale poi nell'occasione provvede in modo esclusivo al mantenimento, ad esempio attraverso vitto, alloggio, vestiario (cfr Cass. 08/09/2014 n° 18869).

E ciò neanche nel caso in cui uno dei genitori elargisca al figlio dei soldi o altri beni mobili per spirito di liberalità, magari per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste alla base del contributo di mantenimento (v. Tribunale di Roma 21/03/2013 n° 6228 in Guida al Diritto 2013, 329,52).

Va segnalato che l'obbligo di mantenimento dei figli minori, ma anche per quelli maggiorenni che non sono ancora autosufficienti economicamente, per i quali valgono le stesse regole testé ricordate, può essere adempiuto dai genitori, in sede di separazione o divorzio, mediante un accordo tra le parti che, anziché attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca, o li impegni ad attribuire, ai figli la proprietà di beni mobili od immobili: tale accordo non realizza una donazione in quanto assolve ad una funzione solutoria compensativa della obbligazione di mantenimento (v. Cass. 23/09/2013 n° 21736; vedasi però Cass. VI Penale 16/03/2016 n° 10944, secondo cui l'obbligo di versare l'assegno di mantenimento per i figli è inderogabile ed indisponibile e non può essere sostituito con altra prestazione).

Con riguardo ai figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, l'obbligo di mantenimento verrebbe meno con il raggiungimento di una indipendenza economica dovuta, ad esempio, all'aver intrapreso una attività lavorativa, ma anche quando si sono dimostrati pigri nel rendersi indipendenti o hanno rifiutato di svolgere un lavoro loro proposto (v. Cass. 29/10/2013 n° 24414).

Viene dunque in considerazione la colpa del figlio maggiorenne indolente, il quale preferisce fare il "fannullone" invece di attivarsi per non gravare ancora sui genitori.

In tale contesto, si inserisce la recente pronuncia della Cassazione 01/02/2016 n° 1858 che, in aderenza ad altri suoi precedenti, ha stabilito che i figli maggiorenni (due nel caso di specie, entrambi iscritti alla Università, con scarsi risultati e abbondantemente fuori corso) non possono continuare ad essere mantenuti allorché, posti nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbiano tratto profitto "sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata, corrispondente alla professionalità acquisita".

Sulla stessa lunghezza d'onda, sostanzialmente appare porsi altro precedente della Corte Regolatrice (Cass. 30/10/2013 n° 24515) che ha reputato che non avessero diritto al mantenimento due figli di un padre divorziato, maggiorenni, sulla base del fatto che avevano espletato una attività lavorativa, seppure discontinua, ma attestante quantomeno il possesso di capacità idonee per immettersi nel mondo del mercato.Ciò è stato sufficiente a far ritenere la cessazione dell'obbligo di mantenimento per il padre non potendo assumere rilievo, secondo la interpretazione fornita dalla Cassazione, il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, pur se determinano l'effetto di rendere i figli maggiorenni prive di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento in cui presupposti siano venuti meno".

Per concludere, va ricordato che normalmente nei provvedimenti che fissano la misura dell'assegno di mantenimento per il figlio minore i Tribunali sono soliti stabilire che le spese straordinarie (scolastiche, mediche ecc.) sono poste a carico dei coniugi separati o divorziati nella misura del 50%, rimandando a dei protocolli esistenti in detti Uffici per la esatta individuazione, fatto sempre salvo il previo concerto tra i genitori per quelle prestazioni professionali o acquisti di beni che sono la causa degli esborsi in denaro. Le spese straordinarie sono quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità, imponderabilità, esulano dall'ordinario regime di vita e che sarebbe non corretto includere forfettariamente sull'ammontare dell'assegno di mantenimento (si pensi, ad esempio, alle spese di un dentista o a quelle un viaggio di piacere ancorchè effettuato in ambito scolastico). E ciò perché la inclusione di tali spese potrebbe rilevarsi in contrasto con il principio di proporzionalità, di cui sopra si è detto e con quello della adeguatezza del mantenimento (v. Cass. 08/06/2012 n° 9372 e Cass. 09/06/2015 n° 11894).

Sulla questione è di recente, però, intervenuta una interessante pronuncia della S.C. ,che è bene sottolineare, la quale ha affermato il principio che non esiste un obbligo di concertazione preventiva tra i coniugi per effettuare spese straordinarie che corrispondano al maggiore interesse dei figli (nella specie le spese per la iscrizione ad una scuola privata).

In tal caso, allorché non vi è accordo tra le parti ed uno dei due genitori si rifiuta di provvedere alle spese corrisposte dall'altro, "il Giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all'interesse dei minori mediante una valutazione sulla commisurazione della entità della spesa rispetto alla utilità che ne deriva ai minori e sulla sostenibilità della spesa stessa se rapportata alle condizioni economiche dei genitori"(Cass. 2.3.2016 n.4182).




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