-  Mottola Maria Rita  -  20/06/2014

CURATORE SPECIALE DEL MINORE O ADS? - Maria Rita MOTTOLA e Laura PROVENZALI

Potete leggere in questa rivista il commento steso dall'avv.to Mazzotta al decreto 15 maggio 2014 del Tribunale di Milano a cui vi rimandiamo.

In breve, la decisione argomenta a favore della nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. nell'ambito di un processo di separazione particolarmente burrascoso che ha messo in luce la situazione di gravissimo disagio patita dal figlio della coppia.

Decisione certamente condivisibile, in ambito processuale, tutelare gli interessi del minore soggetto fragile e, se ci consentite la definizione, vaso di coccio tra vasi di pietra.

Tempo fa, all'alba della riforma del 2006, sollecitavamo un simile provvedimento ogni qual volta sarebbe stato necessario tutelare gli interessi del minore nell'ambito processuale. Quindi, possiamo sentirci soddisfatti.

Certo, fino al momento in cui non leggiamo il dispositivo che indica come primo compito assegnato al curatore di intrattenere i rapporti con la struttura di supporto alla famiglia, incaricato con lo stesso decreto di ricercare un centro estivo ove collocare il minore durante il periodo delle vacanze.

E a questo punto sorge spontanea una domanda: ma il curatore non è demandato a tutelare in ambito processuale gli interessi del minore e, dunque, intervenire nel processo con tutte le facoltà delle parti, dando al piccolo anche la visibilità che spetta?

Perché, se è così, il primo incarico, corrispondente a mantenere i rapporti con la struttura incaricata di trovare ogni idonea sistemazione e soluzione per la vita del minore, da coniugarsi con la successiva prescrizione ad entrambi i genitori di prestare la massima collaborazione al curatore, non rientra affatto nei compiti della parte processuale, trattandosi di attività del tutto estranea al processo in senso stretto.

Vogliamo lasciare privo di tutela il piccolo? Vogliamo tornare indietro escludendolo dalle decisioni che lo riguardano? No, affatto, vorremmo solo utilizzare al meglio gli istituti che l'ordinamento offre e in particolare l'Amministrazione di Sostegno che ha esattamente questa funzione, quella di attuare un progetto di vita in collaborazione con il giudice e con i servizi socio assistenziali, con la possibilità di individuare una miriade di incarichi, dai più banali ai più complessi (e ben può essere nominato AdS l'avvocato).

Nell'ambito processuale la figura del curatore ha una funzione del tutto diversa, soprattutto allorquando i genitori stremati da una lunga lite potrebbero giungere a una definizione che non tenga nel debito conto gli interessi dei figli e diretta unicamente a risolvere i problemi personali dei coniugi.

L'anello mancante sta quindi nel raccordo fra le due facce della medaglia.

Portare la voce del minore nel processo significa curarne gli interessi in una situazione specifica e legata al conflitto di interessi fra il minore stesso ed il soggetto al quale spetterebbe la sua rappresentanza e presuppone averne raccolto le volontà con modalità di interazione diretta, oppure, (laddove questa sia sconsigliata) attraverso una sostitutiva attività di ricostruzione de relato, con conseguente formazione di convincimento del curatore stesso.

Altro è porsi come adulto di riferimento, come guida nel quotidiano, il che presuppone senza ombra di dubbio un legame di fiducia basato sulla costante posizione di ascolto dei bisogni.

L'esercizio dell'ascolto, inteso come contatto empatico e non mediato (dove la comunicazione verbale è forse fra le ultime modalità) è caratteristica peculiare dell'Amministratore di Sostegno, al quale spetta poi il successivo compito (in collaborazione con i servizi) della traduzione più adeguata e confacente delle emozioni raccolte per la buona riuscita di un progetto a lungo termine che troverà suggello nella supervisione finale del Giudice.

Nell'attuale contesto normativo, è pur vero, il principale mezzo di protezione giuridica dei minori è la tutela, fattispecie contemplabile nei casi in cui le figure genitoriali sono assenti (per decesso, per essere ignoti oppure lontani e impossibilitati a svolgere la loro funzione) oppure incise da provvedimenti ablativi o sospensivi della responsabilità genitoriale.

Ed è altrettanto vero (come nella vicenda che ha portato all'emissione del decreto del Tribunale di Milano di cui si diceva) che, fin che è possibile, fin che vi sono segnali, anche minimi, che inducono a sperare, il superiore interesse del minore a restare nella "sua" famiglia giustifica la resistenza ad allentare o scindere i legami, ad agire, insomma, quei poteri incisivi della responsabilità genitoriale attribuiti all'Autorità Giudiziaria.

Ecco la ragione per cui una nuova lettura dell'istituto dell'AdS, in coerenza con i principi ispiratori della piena protezione dei soggetti fragili e della possibilità della loro rappresentanza, sostanziale e processuale, costituisce una proposta da analizzare al fine di realizzare la più efficace e funzionale sintesi degli interessi del minore nelle situazioni di sofferenza familiare "in itinere", la cui prognosi è ancora al vaglio.




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