-  Valeria Cianciolo  -  02/06/2016

Dal delitto donore al bondage. La giurisprudenza nel talamo nuziale – di Valeria Cianciolo

Introduzione

Le questioni di letto sono privatissime e la legge non si dovrebbe occupare di questioni così personali come i rapporti fisici fra i coniugi; tuttavia così non è, stando alla copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità sul punto.

I problemi legati ai rapporti sessuali sono senza dubbio frequenti, ma difficilmente la cosiddetta "comunione materiale" come la definisce il codice, costituisce il motivo reale della separazione: spesso sono latenti la perdita di stima, di affetto, e se tra i coniugi manca un"intesa psichica, certamente sparisce anche il desiderio di un incontro fisico con l"altro partner.

Il calo del desiderio può anche essere del tutto naturale ed i contrasti derivano dalla scarsa disponibilità di ciascuno nel comprendere le esigenze dell"altro.

Se vogliamo capire come si sono evoluti i costumi sessuali degli italiani, basta scorrere una Rivista come Foro Italiano.

Ma anche il cinema dei primissimi anni "60 è testimone crudele di quella mentalità.

Chi non ricorda il bellissimo film di Pietro Germi "Divorzio all"italiana"?

Il barone di Cefalù, per gli amici Fefè, capelli impomatati di brillantina, il bocchino e il tic della bocca, interpretato magistralmente da un Marcello Mastroianni candidato all"Oscar, è devastato dal desiderio per la cugina, irraggiungibile a causa della presenza incombente della moglie  Rosalia con la quale è sposato da quindici anni e che non sopporta più, tanto da sentirne quasi repulsione fisica e dunque, architetta l"uxoricidio con la scusa del delitto d"onore.

Il tema centrale era proprio quello dei delitti d'onore (in quegli anni erano circa più di mille all'anno). Alfredo Giannetti, che insieme a Ennio De Concini e allo stesso Germi ne scrisse il soggetto, ebbe l'idea di trasformare il tutto in una commedia dai contorni grotteschi e neri, muovendo così un forte atto d'accusa verso l'art. 587, figlio di un codice penale antico e fuori tempo. In fondo, un testo di legge che autorizza il delitto d'onore con una pena simbolica, non può che prestarsi all'irrisione.

Partiamo dall"inizio.

 

Il reato di adulterio

Il codice penale italiano ha conservato in vita il reato penale di adulterio fino a tempi relativamente recenti, prevedendo contemporaneamente, per l"omicidio della moglie adultera, la causa d"onore come attenuante specifica.

L"adulterio e il concubinato costituivano un reato penale in base agli articoli 559 e 560 del codice penale fino alla loro abrogazione nel 1968. [1]

L"adulterio, infatti, è considerato reato solo per la moglie, mentre il coniuge è passibile di pena solo nel caso di convivenza more uxorio. Ma il peggio è il cosiddetto omicidio a causa d"onore, quello che passerà alla storia come il famigerato "delitto d"onore".

Due erano le condizioni necessarie per riconoscere la causa d"onore: la reazione delittuosa doveva essere immediata; in secondo luogo, nel comportamento dell"assassino (lo chiamo così) si dovevano riscontrare "gli elementi etici che si ricollegano….al concetto dell"onore stesso, inteso come complesso di tutela e di salvaguardia della legittimità e dell"onestà dei rapporti sessuali".

Ma non basta: il codice Rocco insisteva anche il grave contraccolpo morale e psicologico dell"uomo. Finalmente nel 1981, l"art. 587 venne abrogato come "un fossile di sottocultura", "un vero e proprio incentivo a uccidere, in quanto suggerisce l"idea che attraverso l"omicidio si riconquisti l"onore perduto, che la donna possa essere trattata come un oggetto e che l"onore sia sempre e solo quello sessuale" (interventi del senatore Benedetti e della senatrice Jervolino, seduta del Senato del 15-5-1980).

Vale la pena di ricordare che fino alla riforma del 1975, la posizione della donna appariva di estrema subordinazione: le donne erano escluse dalla magistrature e dalla carriera diplomatica alla quale verranno ammesse nel 1963.

Per tutti gli anni "50 i giudici riconoscono l"obbligo da parte della donna di concedersi sessualmente come "remedium concupiscentiae" a beneficio dell"altro coniuge, oppure nel fine supremo della continuità della famiglia.

Né va sottaciuto che a quei tempi, l"informazione sui metodi anticoncezionali era reato secondo l"art. 553 del Codice Penale in vigore fino al 1971.

La donna adultera veniva punita più severamente dell"uomo a causa di quello che la legge indicava come "differenza fisiologica", il sequestro di una donna sposata (vale a dire di proprietà del marito) era molto più grave del sequestro di una donna non sposata, la verginità veniva considerato un obbligo morale e la donna smetteva tale stato solo per trasformarsi in moglie e madre.

 

Come si è evoluta la giurisprudenza

Fra le tante decisioni di particolare interesse per comprendere lo spirito e la mentalità di quel periodo (neanche tanto lontano), è la sentenza della Cassazione dell"11/07/1973 n° 2007 la quale si occupa di un caso degno di un soggetto caricaturale di un film di Pietro Germi.

La notte di nozze, il marito, constatata la pregressa deflorazione della moglie, (non ad opera sua), si recava (trascinandoci pure la moglie s"intende) presso il più vicino posto di Polizia ed esponendo l"accaduto al sottufficiale di servizio, veniva informato che il fatto non era penalmente perseguibile.

A questo punto conduceva la consorte nell"abitazione di una zia, dove, sempre alla presenza della svergognata moglie, di una cugina e del marito di quest"ultima riferiva quanto gli era capitato, provocando l"ammissione della moglie.

Iniziato il processo per separazione per colpa, le Corti precedenti respingevano la domanda di separazione per colpa della moglie così che il marito si rivolgeva alla Corte Suprema, rilevando che, la donna era riuscita a contrarre matrimonio mediante un inganno e cioè celando la perdita del proprio stato verginale.

Secondo il ricorrente i giudici di merito avrebbero errato nel non aver identificato in detto celamento un fatto ingiurioso in danno di colui che aveva ragione di confidare nell"integrità fisica e morale della giovane, alla quale stava per unirsi in matrimonio.

La Cassazione accoglieva il ricorso statuendo che la Corte Suprema in casi analoghi, aveva sempre affermato che "il celamento del difetto di verginità da parte della sposa, costituisce normalmente un"ingiuria grave nei confronti del marito."

 

L'astensione dai rapporti sessuali

Sembrano passate ere geologiche se consideriamo che l"attuale orientamento indica che sussiste in capo ad entrambi i coniugi un vero e proprio diritto-dovere vicendevole per ciò che concerne i rapporti sessuali, diritto-dovere che discende proprio dal "contratto matrimoniale" (passatemi l"inesattezza terminologica, ma forse ci siamo già avviati verso la contrattualizzazione del matrimonio ed il processo è già stato completato!!!).

Da ciò ne deriva, come conseguenza giuridica, che il sottrarsi ripetutamente a tale obbligo, indipendentemente dal fatto che l"omissione si riferirebbe all"uomo o alla donna, possa dar luogo all"addebito della separazione, in quanto sussisterebbe una espressa violazione delle obbligazioni sul tema, previste dalla normativa vigente.

Tuttavia tale rifiuto deve apparire ingiustificato e comunque ripetuto nel tempo; ciò in quanto, diversamente, non potrà discenderne alcun addebito della separazione.

In sostanza, dunque il mancato accordo tra coniugi circa i rapporti sessuali, il tipo di rapporti, la frequenza degli stessi e simili, legittima, inficiando la comunione materiale e spirituale tra gli interessati, la domanda di separazione.

 

Matrimonio bianco? Nessun addebito al marito se…

Il Tribunale di Pescara aveva respinto la domanda di addebito della donna che non aveva avuto soddisfazione neppure in appello, nonostante il marito non avesse negato la relazione extra coniugale e di essersi allontanato da casa per andare a vivere con la nuova compagna.

Ma l"infedeltà del marito non era stata la causa dell"unione matrimoniale. Risultava provato, mediante testimonianza della sorella del marito, che dalla nascita del figlio avvenuta nell"anno 2000, la coppia non aveva più rapporti intimi e ciò avrebbe condotto all"intollerabilità della convivenza.

Dopo la nascita del figlio la moglie si era astenuta dall" intrattenere qualsiasi rapporto sessuale con il marito.

Cosa dicono gli Ermellini?

La Corte di Cassazione chiarisce che l'obbligo di fedeltà coniugale costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, la cui violazione, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e la separazione personale, con addebito al coniuge infedele. Se però risulti, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in una situazione caratterizzato da una convivenza meramente formale, la violazione diventa irrilevante ai fini dell"addebito.[2]

 

Iperattività e pratiche sessuali: la valutazione dei giudici

I tribunali spesso si occupano di fattispecie grottesche o comiche, ma i giudici non entrano mai nel merito della scelta del tipo di rapporti sessuali, valendo il principio per cui qualunque cosa che viene fatta di comune accordo non interessa il magistrato.

Così il Tribunale di Prato con la sentenza del 21/11/2008 n° 1471 ha stabilito che non rileva lo stile di vita sessuale imposto da uno dei coniugi quando vi è il consenso dell"altro, ed appare irrilevante sotto il profilo giuridico, il seguire determinate pratiche sessuali quale lo scambio di coppia, l"amore in gruppo con partner occasionali, i giochi con più soggetti a carattere erotico e simili. Coartare la volontà del coniuge, costringendolo a rapporti sessuali promiscui, come anche il sottoporlo a violenze psicologiche reiterate nel tempo, comporta l'addebito della separazione.

Con questa pronuncia si ribadisce che la separazione dei coniugi deve essere addebitata a colui che ha violato i doveri nascenti non solo dall'istituto del matrimonio quanto, piuttosto, dalle comuni regole di rispetto dell'altrui persona. Nel dettaglio della questione in oggetto, la circostanza che la moglie avesse manifestato l' intenzione di cessare le pratiche di scambismo e le altre forme di perversione, a cui la coppia era dedita, ed il marito fosse diventato ostile nei suoi confronti in conseguenza del diniego, viene ritenuta dal Tribunale causa della impossibilità di proseguire la vita coniugale e, dunque, della rottura del matrimonio.

Ciò in quanto tali circostanze non sono da sole idonee a costituire causa di addebito per l"uno o per l"altro e neanche la frequenza e le modalità delle pratiche seguite

E" viceversa interesse del tribunale ai fini dell"addebito valutare il comportamento tenuto da un coniuge nei confronti dell"altro.

Nel caso in esame il tribunale addebitava la separazione al marito, irriguardoso nei confronti della moglie, avendola sottoposta a continue violenze psicologiche, umiliata davanti ai colleghi di lavoro e dimostrando assoluta noncuranza per i problemi di salute del coniuge, soprattutto quando la moglie aveva manifestato l"intenzione di cessare le pratiche di scambismo .

 

Il sadomaso non è un diritto: lo dice la Cedu

La Corte Europea, con la pronuncia 17.2.2005, ha messo in chiaro le regole del "gioco" con riguardo alle pratiche sadomasochistiche.

Come autorevolmente sostenuto dalla giurisprudenza internazionale, infatti, la libertà sessuale del soggetto trova il suo limite nella volontà del partner.

Nella fattispecie due cittadini belgi, un magistrato 60enne e di un medico di 56 anni, ricorrevano alla Corte contestando la loro condanna per pratiche sadomasochiste estreme sostenendo che era stato violato il loro diritto al rispetto della vita privata e che non sussistesse il rispetto del principio di legalità.
Nella sentenza, la Corte ha respinto le censure, affermando, in primis, che le pratiche in questione erano talmente violente tant'è che non v'era giurisprudenza in merito.

Essa ha, quindi, replicato che "se una persona può rivendicare il diritto di esercitare delle pratiche sessuali nel modo più libero possibile, il rispetto della volontà della 'vittima' di queste pratiche costituisce un limite a tale libertà".

La vittima, nel caso trattato la moglie del magistrato, compariva su una videocassetta, (esibita durante il processo ai due imputati), implorando i due soggetti attivi di porre fine alla violenza.

Nei "giochi sessuali" venivano usate fruste, aghi, pinze, cera bollente, scosse elettriche, e si ricorreva anche alla sospensione di diversi parti del corpo.

La fattispecie integra gli estremi del sadismo in senso stretto, non venendo in gioco quindi, attività di diverso tipo quali il Bondage o la Domination.

Nella sentenza, la Corte ha respinto le censure, affermando, preliminarmente, che "le pratiche in questione erano talmente violente e dunque senza dubbio talmente rare che l'assenza di giurisprudenza in merito non sarebbe sorprendente".

La sentenza è inequivoca nel negare al sadismo in questione la consistenza del diritto soggettivo: ogni pratica estrema violenta, pari al supplizio, non è scriminata dall"esercitare un diritto ma, nei limiti della disponibilità, solo dal consenso della vittima.

Il magistrato, nel caso di specie, era stato denunciato per lesioni e reati di prostituzione (aveva indotto la moglie alla prostituzione) ed era stato infine condannato a un anno di carcere e 2.500 euro di multa con la sospensione, più l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

Il medico aveva ricevuto una condanna a un mese di carcere con la sospensione e 185 euro di multa, sempre con il beneficio della sospensione della pena.

La Corte di Strasburgo rigetta i ricorsi dei due borghesi signori ritenendo che i confini della liceità fossero stati ampiamente superati: la stessa sorte sarebbe toccata ai due imputati nel nostro ordinamento.

Chissà come riscriverebbe "Divorzio all"italiana" Pietro Germi!

 



[1] art. 559 (adulterio): "La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell"adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito"; art. 560 (concubinato): "Il marito, che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove, è punito con la reclusione fino a due anni. La concubina è punita con la stessa pena. Il delitto è punibile solo a querela della moglie".

Nel codice penale italiano la causa d"onore come attenuante specifica dell"omicidio, era contemplata dall"art. 587 c. p., fino alla sua abrogazione, avvenuta tardissimo: solo nell"agosto del 1981. L"art. 587 era stato introdotto nel 1930, in pieno fascismo, dal codice Rocco, modificando l"art.337 del precedente codice Zanardelli. La grande differenza consisteva nel fatto che nel codice Rocco il delitto compiuto per vendicare il proprio onore veniva a configurarsi come titolo autonomo di reato, mentre precedentemente faceva parte delle attenuanti generiche.

Dai due articoli risulta evidente la disparità fra uomo e donna nella valutazione del comportamento configurabile come reato penale.

[2] Cassazione civile, sez. VI-1, ordinanza 05.02.2014 n. 2539

Ampia la casistica rinvenibile sul punto. Cass. Sez. I^ 31 maggio 2012, n. 8773: in difetto di intesa sessuale tra i coniugi è legittimo l'abbandono dalla casa familiare. Nel caso prospettato, due coniugi vivono una grave crisi coniugale per mancanza di intesa sessuale.

La moglie lascia la casa coniugale e il marito tenta di addebitare alla consorte la colpa della fine del matrimonio, sostenendo che le «problematiche sessuali» erano «riconducibili alla moglie», della quale rilevava una «grave indisponibilità e non recettività». Di diverso avviso la Cassazione (sentenza n. 8773/2012), secondo cui  è «insussistente la violazione di obbligo matrimoniale»  da parte della moglie in quanto «l'abbandono della casa familiare appare determinato da giusta causa, debitamente comprovata e consistente nella mancata realizzazione tra le parti di una intesa sessuale».

Cassazione civile , sez. I, sentenza 06.11.2012 n° 19112: "La sedatio concupiscentiae, ossia l"appagamento sessuale, non è l"unico scopo del matrimonio, ma il rifiuto della moglie, reiterato nel tempo, di avere rapporti sessuali con il marito, qualora sia effetto di una repulsione personale nonché fonte di umiliazione e offesa, alla dignità dello stesso, costituisce causa di addebito della separazione."

 




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