-  Tornesello Giulia  -  11/06/2014

DANNO ESISTENZIALE: QUESTE STRANE OCCASIONI – Giulia TORNESELLO

prima parte

 

"Gaetano Tumiati scrittore e giornalista fu per anni apprezzato redattore capo della Rivista Panorama.

Il pubblico dei lettori lo amava ed attendeva l"uscita dei suoi articoli ma non sapeva che il povero Tumiati aveva ogni volta cominciato e finito di scrivere ingoiando un rospo direttoriale. Mai iniziare con Io o comunque usando la prima persona, un puntino nero al posto della firma.

Perché mai Tumiati scrittore di successo amato, letto da tanti, carattere forte e schietto, soggiaceva ad una regola non condivisa?

Forse perché chi è forte soffre sì per le meschinità altrui, ma sino ad un certo punto. Oltre quel punto intangibile ciò che non è importante per il suo lavoro non lo scalfisce o meglio non lo fa soffrire davvero.

Nel 1976 Tumiati scrisse un libro titolato "Il Busto di Gesso" per il quale gli fu assegnato il Premio Campiello.

Il libro iniziava così:"Io porto il busto".

Era arrivato finalmente in quella che gli arabi chiamano la "Pianura Proibita". " …quei territori della scrittura dove lo stile pianeggiante della semplicità nasce dopo un lungo sforzo, e testimonia di laboriose e difficili prove". (C. Garboli "Pianura Proibita" Adelphi).

 

 

1-QUESTE STRANE OCCASIONI

 

Dal 2004 in poi si è presentata per me una strana occasione, una occasione per il "cambio di passo", non posso definirla con altro sostantivo.Ho cercato nella mia casa, nel luogo della mia vita, del mio riposo e della mia quiete (Eliot) l"inveramento di quello che so e che dico da anni nelle relazioni, nelle pubblicazioni.Ma cambiar passo comporta uno spogliarsi, come uno svuotarsi. Per essere sufficientemente sensibili (disponibili). Si deve essere in grado di lasciare andare quello stato di tensione che compare ad ogni istante in una forma o in un'altra, sia questa un eccesso di volontà, il desiderio di risultato, o un qualunque tipo di paura. Solo allora si avrà, come in una danza, "il cambio di passo".Per dirla ancora con Eliot "ogni impresa / è un nuovo inizio, un'incursione nel vago / con strumenti logori che sempre si deteriorano / nella generale confusione di sentimenti imprecisi irrompono / indisciplinate squadre di emozioni." Come è vero.

E come è faticoso straniante  se condotto in solitudine. L"agenda di vita sconvolta. Come un marchio.

E potrei concludere così:"Ho scritto di questo, qui a personedanno. Vi ho inviato in lettura ciò che ho pubblicato ma voi, che prima  siete stati con me, soci,  non avete "raccolto".

Come se pensaste:

"Il linguaggio delle parole è insomma inefficace, inadatto, troppo vago e ambiguo, per condurre alla vera comunicazione tra le persone. Non vi è altro da fare che tentare. Il resto non è affar nostro".

Ecco perché non sono lì con voi. Nonostante il motto pur suggestivo nel suo proposito di voler fare "la felicità degli altri".Fare "la felicità degli altri" attraverso le nostre conoscenze "acquisite fuori di noi"?

 

Farne un affar nostro, nostro almeno in parte, COSI" DA POTER DIRE  "quello che asserisco lo conosco perché l"ho vissuto e quello che non ho vissuto mi impegno a viverlo così come dico a voi se anche a me toccherà in sorte"

"per comunicare veramente dobbiamo iniziare dalla parte più intima di noi stessi, dalla nostra casa interiore, ma anche dal luogo del nostro riposo e della nostra vita"

 

 

2- FARE: INTERSCAMBI DEI CORPI NEL LAVORO DI CURA  

 

Io ho avuto un grande amore per mia madre. Dagli ottanta anni in poi lei ha subito tre gravi malattie con altrettanti ricoveri ospedalieri, l"ultima l"aveva portata in fin di vita. Stanca di una fatica di sofferenza, di cure oramai insopportabili, fatica di ogni giorno ogni notte, esausta ormai, mentre il tempo la sospingeva inesorabile lei voleva morire. L"amore per lei, amore ricambiato, segnato nell"età forte dalla piena reciproca rispettosa libertà ha dato corpo e forza al mio progetto. L"amore ha fatto irruzione nei miei programmi di vita, ha invaso ogni spazio, ha rubato il tempo. Fatica di ogni giorno e di ogni notte condivisa quando è rientrata a casa dall"Ospedale.

Era l"estate del 1997; mia madre è mancata il 26 giugno del 2009. Quello che segue non è facile da dire, da accettare ed esigerebbe per ogni storia una specie di "cronaca esistenziale". La nostra è questa: la mamma si è ammalata di Alzheimer. Per lei forse un rimedio autodifesa, dimenticava il presente. Ne ho tratto profitto per farla vivere? Un passo a due, l"unica vita accettabile, possibile, per lei. E per me?

Non è facile dire, accettare, che la dedizione di sé, che pure è qualcosa di umanamente grande, non è amore. Nella cura della fragilità estrema, della sofferenza altrui (sia pure di chi ci è caro) non vi è spazio per sé, non vi è libertà, non vi è parità di potere, non vi è scambio di piacere. Il diritto a realizzarsi cede il posto, dicono, alla automortificazione di sé e "nei mari estremi" all"annullamento di sé. Personalmente non la vedo in maniera così netta. Una sconfinata dedizione può esserne una delle forme - penso e scrivo - altrimenti non riuscirebbe a stimolare la creatività tesa a mantenere una qualche forma di comunicazione con il soggetto d"amore. Capirete ora perché questa proposta di racconto si apre con un Io.

Avrei potuto iniziare a scrivere evidenziando come la protezione parentale protegga dal rischio di maltrattamenti e circonvenzioni portando così l"assistenza a costi minori per lo stato. Oppure, parafrasando M. Foucault, avrei potuto titolare "Sorvegliare ed Amare": un"assistenza centrata sulla persona debole a guisa di protezione. Ma non avrei fatto allora "relazione" su questo preciso, reale interscambio fra corpi nel lavoro di cura. E amore e prima persona ne sono le chiavi di lettura. Attraverso il contatto il toccarsi si ritrova il contatto originario madre – figlio una corrente sotteranea che permette di comunicare con chi ci ha dato la vita e nel corpo nelle mani nelle braccia che stringono la ritrova: nessuno può darle tanto perché nessuno ha avuto tanto. Lavorando sul piano biologico esistenziale ma non per specializzazione: questa è mia madre avvitato al "Questa è mia figlia" che lei non dice più. Quante donne lo hanno fatto (lasciando per  contenere i danni arrecati al genitore dalla malattia che lo ha colpito un lavoro amato e realizzato)? Ma l"avvocato per la famiglia e per i minori (se questo è il lavoro che hai scelto) può  spegnere mai il suo cellulare ? La testa ed il cuore sono altrove anche nelle brevi ore di presenza in casa. Perciò bisogna scegliere. Sorvegliare ed amare. Tante lo hanno fatto per i piccoli figli  ma per il genitore anche meritevole ed amato? Tornare a galla. Ogni volta è più difficile. Ma è necessario. È la lucidità. Quella che ci ricorda ogni mattina che un vecchio non è un bambino, i bambini sono vita e i vecchi sono l"anticamera della morte.

Ed è perciò che gli "esterni" non li amano. Il miglior amministratore di sostegno in un caso di Alzheimer accellera  la deminutio, se non la degradazione della persona che si accompagnano al male.Impoverisce il passato.

Chi ha fatto questa scelta d"amore coltiva la memoria del passato ne fa rivivere anche materialmente gli aspetti salienti: la servitù in casa che c"è sempre stata ma che ora non ci si potrebbe permettere, la casa animata quindi. Bene: le coccole, le vestaglie che costano quanto uno stipendio, il sapone stagionato che sa di buono, i fiori sui tavoli.Tutto il battage di una famiglia borghese degli anni 50. La madre c"è ancora stretta dal passato da ogni parte. E c"è,  anche , un vincolo fra  i corpi che si amano ben più forte dell"aggrapparsi all"infermiera, alla badante. È la ricchezza di affetti, esperienze che talora insieme, spesso separatamente si sono accumulate prima degli anni bui e che hanno un odore familiare, odore leggero di talco e sapone, baci sulla testa tanti senza una ragione apparente. Calore delle mani che si conoscono consunte dalla stretta di una vita, senza memoria.

Dopo un anno dalla morte della mamma, vissuta anche quella in casa, il mio corpo si è ammalato. Sono lontana, emigrante della salute come tante/i del Sud. Ma l"esperienza di questi ultimi mesi pesanti per il protrarsi della malattia, mi fa pensare che dovrei scriverne.

Voglio raccontare una storia antagonista. Voglio solo  anticipare qui che sì la legge 6/2004 che ha introdotto AdS mi piace e che però sì, è successo qualcosa. Di grave. Il treno Freccia Rossa del Care Giver che dovrebbe portare finalmente al riconoscimento alla tutela dei corpi consumati dal lavoro di cura  sembra essersi avviato ma se ne parla solo in poche prescelte stazioni, si spera in un budget conveniente.Io sono ancora ad aspettarlo in una stazione sconosciuta metafora di una inutile attesa, e se è per questo del perché il treno si sia come volatilizzato ne so ancora meno. Ma cosa c"è da stupirsi, non io non più.

3-PIANURA PROIBITA

 

Le righe che seguono RICHIAMANO un mio scritto che fa da spartiacque fra la prima parte e la seconda e che spiega i motivi dell"uso della prima persona mentre successivamente si userà sempre la terza persona.

Ma quello che avete letto sin qui, alle radici del danno esistenziale, lo esige.

Perché?

Ne ho fatto oggetto di un articolo su P&D[i]. Ma qualcosa dirò anche qui, è opportuno richiamare.

 

 

Mettiamo in campo ora un esperto non di un autore, non di una persona ma di un numero indeterminato di persone segnate tutte da una stessa caratteristica ad esempio l"essere soggetti deboli ( sia pure indeboliti magari illecitamente dal di fuori). Ma insomma svantaggiati.

Mettiamo che quest"autore si cimenti talora non sul terreno tecnico delle tutele da approntare per gli svantaggiati di turno (dove è indiscusso Maestro). Si cimenti sul versante letterario, ad esempio.

Mettiamo che questo esperto di deboli osservi (per il fatto stesso di esser tale) alcune regole ferree fra le quali il divieto assoluto del parlare in prima persona: l"Io è bandito da questo desco letterario come il peggiore dei veleni narcisistici ( Io ed il debole, menar vanto delle proprie azioni, orrore, o peggio Io debole ). Lagnarsi no, suvvia.

Mettiamo che questo autore tragga i suoi racconti debologici da fatti di cronaca, da romanzi, da film. Niente di personale, solo qualche cenno.

Se racconta di un film con protagonista disabile ne farà una cosa intrigante, densa di stereotipi dei più efficaci a far vibrare parecchie corde in chi legge. Su questi premerà il pedale, come in un film, appunto.

La protagonista è del tutto simile (l"autore lo dice in apertura) ad una amica svantaggiata che lui va spesso a trovare? Di lei non sapremo altro né qui né altrove. A lei reale, vera, non vi è "alcun atto di resa" ( nel senso letterario, così E. Filippini supra)

Abbiamo messo in campo ( e mosso) tante pedine, vediamo ora il finale di partita.

Il finale è:

"questa scrittura non narcisistica munita di tutti i crismi dell"oggettività garantita dal bando permanente dato alla prima persona, alla parola Io, ha raccontato un film. O un fatto di cronaca o una narrazione di altri (e qui le variazioni possono esser tante)".

Quale sia il commercio ( per dirla alla Filippini) emotivo, intellettuale, di cura, di presenza dell"autore con una persona reale, resa debole dal di fuori, il lettore non lo sa. Leggesse pure non una ma 100 di queste storie.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film