-  Fiorentin Fabio  -  08/06/2014

DEI DELITTI E DELLE PENE: PROFILI CRIMINOLOGICI NELLA FASE COGNITIVA ED ESECUTIVA - G. SANNIO - Fabio FIORENTIN

Pubblichiamo l'interessante riflessione dell'avv. G. Sannio in occasione del Convegno di Nuoro del 28 febbraio sul tema della pena rieducativa (f.f.)

 

DEI DELITTI E DELLE PENE: PROFILI CRIMINOLOGICI NELLA FASE COGNITIVA ED ESECUTIVA.

di Gianni Sannio

Nel nostro tempo, con la crisi del concetto stesso di scienza, come sapere assoluto, sono venute meno molte certezze, la certezza della prova e la certezza della pena.    In un processo di stampo accusatorio, la verità non può essere mai dimostrata, ma solo confermata e falsificata per "modus tollens>> con la plausibile certezza che è predicabile nelle decisioni giudiziarie.

Il processo moderno ha decretato la morte del vecchio sillogismo giudiziario: direi, anzi, che la storia del processo moderno nei suoi capisaldi epistemici, è la storia dell'induzione come si atteggia nella metodologia argomentativa e nella filosofia della scienza.

E' lezione che viene da lontano, e trova i suoi antecedenti illustri nei più autorevoli rappresentati della scuola inglese : nel metodo statistico ( o >) di Bacone (teorie delle tabulae ) e in quello matematico (o <>) di Newton, per arrivare fino a Davide Hume, che sveglia Kant dal <> e segna con l'apporto di Stuart Mill il trapasso al relativismo di Eistein e al falsificazionismo di Popper, in cui incardina il moderno concetto di scienza.

La storia della cultura giudiziaria in Sardegna è segnata da due fronti contrapposti : da un lato i teorici delle soluzioni militari, del carcere duro, del confino di polizia, del gas nel Supramonte di Orgosolo, delle pene <> tipiche del vecchio regime inquisitorio, dall'altro lato, sul versante della demologia giuridica, sotto la spinta della riforma, la pena come <> rieducativo e come strumento insostituibile di controllo sociale in un processo moderno di stampo accusatorio.

Dietro il concetto di pena c'è sempre una scelta culturale, una concezione del diritto e una concezione del processo, una scelta di metodo.

Chi segna, in Sardegna, fin dagli anni 60, sotto l'influsso normativo della riforma, la linea di demarcazione, tra l'ideologia inquisitoria della pena, ispirata ai modelli repressivi dell'intimidazione, e il modello rieducativo finalizzato al recupero e alla ri-socializzazione del detenuto, sono soprattutto Giacomo Canepa a Cagliari (v. atti del congresso di criminologia del 5-7 aprile del 1968 e Antonio Pigliaru a Sassari (v. il Banditismo in Sardegna).

Entrambi avvertono, sotto il profilo criminologico, l'esigenza di un approccio interdisciplinare che investa gli aspetti cognitivi del reato e i processi esecutivi della pena.

La pena come fatto culminante del giudizio, in cui si misura in un approccio interdisciplinare ( multifattoriale) la cultura del giudice, che deve tener conto nella determinazione della sanzione, della gravità del reato, della personalità del suo autore, dell'intensità del dolo, del quadro sociale e familiare in cui è maturato il delitto.

Tre i momenti essenziali del concetto di pena : 1° predeterminazione da parte del legislatore del tipo e della misura di pena in ordine a ciascun reato, 2° determinazione in concreto da parte del giudice nella fase cognitiva;, 3° post- determinazione , nella fase esecutiva della durata effettiva della pena.

La criminologia, sotto il profilo epistemologico, non ha consistenza ontologica autonoma, non esiste come disciplina o scienza in sé e per sé, ma è costituita da un insieme di altre scienze umane da cui deriva la propria identità (il diritto penale, il diritto processuale penale, la psicologia giudiziaria, la sociologia del diritto, la logica, la psichiatria clinica e forense, la psico-metria e la sua rilevanza nell'infortunistica stradale, etc.).

I riflessi criminologici del problema sono di tutta evidenza in ordine all'entità della pena come fatto culminante del giudizio sulla responsabilità dell'imputato.   Infatti si stratta di stabilire, sotto il profilo gnoseologico, la consistenza probatoria degli enunciati fattuali, che legittimino una pronuncia di condanna, e sotto il profilo eziologico, bisogna individuare i fattori genetici del delitto ( soggettivi ed oggettivi, ovvero, afferenti all'intensità del dolo, alla gravità del fatto, al quadro familiare e sociale del reo) al fine di stabilire l'entità della pena e, nella fase esecutiva, le relative <> (mi si passi il termine medico- legale).

In altri termini: il delitto sta scritto nel cervello o sta scritto nella società? Delinquenti si nasce o si diventa? Il delitto è un dato biogenetico o è un risultato, il prodotto acquisito nell'ambiente familiare o nel contesto sociale del reo ? Tutto ciò rileva ex art. 133 c.p. sotto il profilo assiologico nella determinazione e nella durata della sanzione.

L'intensità del dolo o il grado della colpa, in cui passa e si misura l'entità della pena, è una libera scelta dell'individuo o è una condizione biogenetica predeterminata sin dalla nascita o influenzata dalla famiglia dal contesto sociale e culturale del condannato detenuto ?

Sono i grandi temi della neuroetica, e del libero arbitrio, direi la linea di discrimine in cui passa e si misura il concetto interdisciplinare di pena, strettamente connesso sotto il profilo soggettivo all'intensità del dolo del suo autore e, sotto il profilo oggettivo, al quadro socio- familiare, dicevo, ex art. 133 c.p..

Chi ha frequentazioni teoretiche con le scienze cognitive sa che tre sono le componenti che influenzano l'autore del reato : quella genetica, quella rappresentata dalle nostre esperienze di vita (forse la più importante), più una terza di natura essenzialmente casuale.

Non bisogna confondere il cervello con la mente : noi siamo anche il nostro cervello, ma il nostro cervello è solo in parte ciò che siamo noi.

Oggi siamo in grado di conoscere sin dalla nascita il numero l'ubicazione dei neuroni all'interno del cervello (nell'ordine di due miliardi) e di reti neuronali (nell'ordine di decine di miliardi) prodotte dall'esperienza. Il nostro cervello non è un sistema chiuso, ma un cervello esteso, un cervello plastico.

Le scienze della mente hanno chiarito da tempo, che tolti alcuni casi patologici, che influiscono nell'area dell'infermità mentale (totale o parziale), di norma non è corretta la concezione del delitto come patologia. Chi delinque non è, nella maggioranza dei casi, un soggetto anormale. I moderni indirizzi criminologici del settore (da Shuterland a Becker) hanno dimostrato il contrario. Infatti secondo Shuterland il comportamento criminale è un comportamento appreso.

Il delitto è inteso da Shutherland, come costruzione sociale, è il prodotto di una cultura (= sottocultura). La famiglia, è una fonte primaria di produzione normativa, che spesso regola la struttura dell'azione.

Secondo Becker l'autore del reato calcola i rischi ed i vantaggi, sul piano della volontà e della coscienza, prima di commettere un'azione criminosa. E' una regola che consente di analizzare l'evolversi della morfologia criminosa nelle tecniche delinquenziali. Si pensi all'estinzione del sequestro di persona per estorsione, che <> troppo sul piano del rischio e rendeva poco nell' economia del delitto (v. atti di un convegno delle camere penali a Siniscola sull'argomento).

Il reato ha sempre un valore sintomatico, perchè in esso si manifesta l'indole del suo autore, cioè, l'affettività e l'istinto, ma è anche, spesso, l'espressione del quadro familiare, culturale e sociale del reo. Sono sotto altra prospettiva i parametri di cui deve tener conto il giudice naturale nella determinazione della sanzione nel <>.

E' di tutta evidenza che se il comportamento criminale è un comportamento <> in una sotto- cultura come sistema di disvalori normativi, un ruolo preminente assume la ri-educazione del detenuto.

Non esiste una società senza delitti, ogni contesto individuale, familiare e sociale ha una morfologia delinquenziale tipica, circoscritta in un'area ben precisa, sotto il profilo storico ed epistemico, sia che la si intenda in senso biogenetico (zona delinquente del Niceforo) sia come prodotto di una sottocultura (il banditismo sardo come fenomeno più propriamente barbaricino).

Al centro del sistema penitenziario c'è il detenuto, che in un percorso autonomo, non coatto, con tutte le garanzie di integrità della persona e di libertà deve realizzare il suo percorso.

Penso a uno studioso acuto ed attento come Ferrajoli : non bisogna confondere la <> con <> del diritto penale, il diritto con la morale, concependo il reo come un peccatore o come un essere anormale da <> affidando alla pena funzioni terapeutiche di ravvedimento interiore o quelle della difesa sociale in cui lo Stato- pedagogo assume il ruolo di tutore o terapeuta.

La prima regola scientifica delle discipline pedagogiche è l'autonomia del processo educativo (= ri-educativo). Il detenuto è il soggetto attivo di quel percorso, e in quanto soggetto, non deve essere eterodiretto o <> come un ammalato da sottoporsi a una terapia calata a forza o imposta dall'alto del sistema. Di fatto, spesso, purtroppo, si sposta l'epicentro del giudizio sull'analisi meta-giuridica dell'anima, su modelli soggettivati, sul "tipo di delinquente", e sulla sua pericolosità <<ante delictum>>, anziché sul delitto commesso. Qui è in discussione, sotto il profilo del metodo didattico, l'autonomia del processo educativo, secondo i massimi esponenti della scuola attiva (da Clapared a Decroly, da Dewey fino Kilpatrik), o l'influenza dei modelli sociali su comportamenti conformi, devianti od anomici secondo le teorie funzionaliste ( Durkeim, Merton e Parson).

La pena non è mai afflizione fine a se stessa, la detenzione carceraria è misura eccezionale, la vera deterrenza è il processo rieducativo autonomo del detenuto.

<> dal carcere è che sia il meno possibile repressivo e quindi il meno possibile desocializzante e diseducativo>>.

Il reo non è un <> - adattabile o inadattabile che sia – da manomettere o neutralizzare violando il valore della sua libertà, dell'integrità della persona, dell'uguaglianza e della legalità.

Bisogna quindi bandire qualsiasi trattamento rieducativo che giustifichi modelli e pratiche penali di tipo repressivo, vessatorio, paternalistico, persuasorio, di acculturazione coatta e di manipolazione violenta della personalità del condannato.

Il ruolo dell'offeso nella determinazione della pena.

La pena come trattamento rieducativo e/o risocializzante costituzionalmente garantita è (=dovrebbe essere) per sua natura, direi per definizione metodologica, una pena temporanea. Essa termina alla fine del processo ri-educativo. E comunque, secondo un arco temporale, massimo di 20 anni, secondo le leggi dell' età evolutiva, periodo nel quale l'individuo è diventato un soggetto diverso.

La grande <> del sistema, l'ergastolo : le pene rieducative non sono eterne per definizione.

In questo contesto che è il sistema penitenziario c'è al centro il detenuto, che in un percorso autonomo prende coscienza degli errori commessi. Il carattere <> delle carceri, destinate di fatto come si avverte da più parti – a funzionare come scuola di delinquenza o di reclutamento di delinquenza organizzata.

Nel nostro sistema giudiziario vige il divieto di aver rapporti con la criminalità organizzata, ma quando la criminalità organizzata, in forze entra a Bancali nelle carceri di Sassari o a Badu 'e Carros nelle carceri di Nuoro, si assiste a un gravissimo processo di acculturazione criminale.

Il carcere è un sistema <> in cui si incontrano e si scontrano i codici e le culture (rectius : sottoculture), luogo di espiazione e di redenzione, ma spesso scuola di delinquenza e acculturazione delinquenziale. Si pensi, appunto, all'influenza devastante con l'ingresso delle <> nell'area criminogena delle carceri sarde, essendo il contegno criminale un contegno <> dove con tecniche moderne si riducono i rischi e si aumentano i vantaggi in modo esponenziale nella progettualità delittuosa.

Il processo penale è strumento di giudizi conoscitivi, ed esecutivi, perciò ubbidisce a leggi che sono normative : è il diritto positivo che disciplina le procedure logiche del giudizio e l'esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena.

Ogni cultura, quindi, come sistema di valori normativi vigenti in una società civile, produce i suoi modelli processuali e sanzionatori. Ogni sotto-cultura come sotto-insieme di disvalori normativi, produce i suoi delitti, dicevo, una morfologia delinquenziale tipica.

Dal grado di durezza e di durata della pena tollerabili in ogni ordinamento si desume il grado di civiltà raggiunto in quello Stato.

L'ergastolo è la moderna barbarie dello Stato di diritto. Un'istituzione illiberale, è stato scritto, penosamente e inutilmente afflittiva, priva di senso in un orizzonte ri-educativo. Una pena senza futuro. L'ergastolo, ovvero la pena di morte in carcere, è ritenuto ancora più terrificante della pena capitale. E' sufficiente ricordare che in Francia l'Assemblea Costituente nel codice del 28 settembre 1791, mentre mantenne la pena capitale abolì la pena dell'ergastolo.

La migliore vendetta è il perdono, ammoniva Mattieu. Ma l'offeso dal reato non conosce l'istituto del perdono né l'istituto della prescrizione nelle aree criminogene della Sardegna interna. L'unico istituto normativo della persona offesa è quello della vendetta. I dispositivi di morte li trovi scritti nelle lapidi dei cimiteri. E la famiglia nel processo sardo è un vero e proprio Stato sovrano, fonte primaria di produzione normativa, sotto il profilo sostanziale e processuale, che regola la struttura dell'azione.

Il processo rieducativo costituisce il vero obiettivo della norma penale. Il problema del rapporto tra pene e delitti s'impone alla coscienza giuridica moderna, sotto il profilo sostanziale e processuale, come problema irrinunciabile della <>, ovvero, come problema del rapporto tra diritto e potere all'interno dello Stato.

Il diritto in funzione del potere, tipico del processo inquisitorio o il potere in funzione del diritto tipico del processo di stampo accusatorio ?

Qual'è la funzione preminente del diritto penale ? La punizione del colpevole senza contraddittorio o la tutela dell'innocente con tutte le garanzie processuali che inevitabilmente condizionano le istanze repressive del rito inquisitorio ?

La storia della procedura penale può essere prospettata come la storia di queste due finalità in conflitto irriducibile tra loro, nella pratica del processo penale.

Il diritto in funzione del potere nella storia del rito inquisitorio : il processo a Gesù, quello a Socrate, la morte atroce riservata nel rogo a Giordano Bruno, vittima della reazione cattolica o il processo a Galilei, finito cieco ad Acetri, perchè voleva guardare l'universo con l'occhio della scienza.

Il processo penale è strumento di giudizi conoscitivi, ed esecutivi, perciò ubbidisce a leggi che sono normative : è la legge, è il diritto positivo che disciplina nel contraddittorio le procedure logiche del giudizio e l'esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena.

"La storia delle pene, nel processo di tipo inquisitorio (il diritto il funzione del potere), è sicuramente più orrenda ed infamante per l'umanità di quanto non sia la stessa storia dei delitti: perché più spietate e forse più numerose rispetto a quelle prodotte dai delitti sono state le violenze prodotte dalle pene; e perchè il delitto di solito è una violenza occasionale e talora impulsiva e necessitata, la violenza inflitta con la pena è sempre programmata, consapevole, organizzata da molti contro uno".

E' la lezione di Ferraioli :        <<Contrariamente alla favoleggiata funzione di difesa sociale, non è azzardato affermare che l'insieme delle pene comminate nella storia ha prodotto per il genere umano un costo di sangue, di vite e di mortificazioni incomparabilmente superiori a quello prodotto dalla somma di tutti i delitti. Pene capitali ( (Egitto, Assiria, india Cina Roma). Le tecniche di esecuzione – l'annegamento, la soffocazione nel fango, la lapidazione, la ruota, lo smembramento, la bollitura, la vivi-combustione, l'impalamento, l'arrostimemto, l'immuramento, la morte per fame, ( tardo medioevo), i roghi alzati contro gli eretici, le torture e i suplizi, le forche che hanno martoriato   l' Europa e per pene capitali fino ai giorni nostri. La pena di morte è tuttora presente in quasi tutto il mondo (129 paesi) solo in 28 stati l'hanno completamente abolita. Luigi Ferrajoli, ordinario all'Università di Roma, Diritto e ragione. Laterza 2011. ("Il volume analizza la crisi dei fondamenti del diritto penale espressa dal profondo divario tra il sistema normativo delle garanzie e il funzionamento effettivo delle istituzioni punitive", v. Bobbio).

Una pena che guardi al futuro, dicevo, come fatto culminante del giudizio, in cui si legittima, in un approccio interdisciplinare, la funzione più alta del giudice naturale.

E se è pur vero che il momento afflittivo e retributivo sono connaturati al concetto stesso di pena, ciò nondimeno, il fine ultimo resta quello rieducativo e risocializzante costituzionalmente garantito.

La funzione rieducativa, non esclude quella retributiva e social preventiva, ma le invera in una sintesi superiore, che si estende non solo alla fase esecutiva, ma a quella cognitiva fino a ricomprendervi quella legislativa. Retribuzione vuol dire misura, proporzionalità e adeguatezza, in un processo giusto, dove la la vera deterrenza si risolve in un progetto recupero e reinserimento sociale.

Alla teoria dell'intimidazione, tanto cara ai paradigmi della vecchia scuola positiva, si sostituisce il modello rieducativo, l'unica vera deterrenza del processo moderno.

La pena costituisce, nella ricostruzione processuale del fatto ( rectius : enunciato fattuale) la sintesi del giudizio in cui culmina la funzione più alta del giudice naturale, in un approccio interdisciplinare che tenga conto, sotto il profilo assiologico e sanzionatorio, dell"entità del fatto in rapporto alla personalità del suo autore e al quadro familiare e sociale del reo.    Non esistono nel nostro ordinamento pene <>, ma soltanto pene rieducative. <> è l' unico aggettivo che tollera il processo moderno. E' monito che viene da lontano nella patria del diritto, ieri come oggi. La giustizia si salva se mantiene la propria autonomia di giudizio.

E" in fondo l"ottica più corretta per interpretare, in una prospettiva interdisciplinare, i parametri più significativi dell'art. 133 del codice penale, nella determinazione della pena.

Sotto altro profilo, condivisibile appare l'esigenza di estendere il più possibile all'area delle cautele il principio inderogaabile del contraddittorio contenendo la discrezionalità del giudizio in favore di una maggiore tassatività ed esigendo l'obbligo di motivazione.

Ogni provvedimento giurisdizioinale esige ed impone tale obbligo nella scelta delle misure cautelari, rispettando i criteri di proporzionalità e   adeguatezza tipici del <>.

La verificabilità della prova consiste nella sua falsificabilità, ogni prova si definisce mediante l'esclusione della prova opposta nella sintesi del giudizio cautelare. Infatti la regola di esclusione per statuto epistemologico va ascritta alla categoria della prova critica e/o indiretta tipica di un processo per indizi connotati dai requisiti della gravità.

Il contraddittorio è l'essenza, insostituibile del processo moderno di stampo accusatorio. Non si può separare - in sede di giudizio cognitivo ed esecutivo (artt. 192 n.2, 273 n.1, 546 co. 1° lett. e), 606 co. l° lett e) c.p.p.)- nella costruzione della prova critica ( = indiziaria), la tesi dall'antitesi, se non violando il requisito della completezza correttezza e logicità posto a fondamento di ogni decisione giurisdizionale degna del nome. Il giudice deve scegliere la misura meno afflittiva, restringendo la libertà personale dell'imputato solo ove necessario evitando sacrifici inutilmente vessatori.

La storia di Campana è un caso emblematico, una macchia nella coscienza giuridica del nostro sistema carcerario. I dati, nella loro inquietante drammaticità, non si lasciano subornare.

E' nato il 7. 3. 1935 morto il 22 gennaio del 2013, circa ottantenne, ristretto in carcere dal 2 giugno 1971, per fatti accaduti nel 1965 e il 1966, circa 50 anni or sono, detenuto presso codesto carcere per 42 anni, oltre 10 anni di liberazione anticipata, oltre due anni di condono, per un totale di 54 anni. Gli è stato concessa la licenza di morte fuori dal carcere. Il processo si è estinto per morte del reo. Se non moriva doveva tornare in carcere.

Si noti che per chi si comporta bene per un ergastolano si ha diritto a 6 anni un mese e un giorno di liberazione anticipata che fanno scendere la pena a 19 anni, 10 mesi e un giorno. Campana in 50 anni è arrivato in ritardo di mezz'ora in carcere per aver bucato la gomma dell'auto guidata dalla figlia che lo accompagnava dall'ovile al carcere.

Il <<terrore degli anni 60>>, l'aveva definito nell'aula del Tribunale di Sorveglianza di Sassari, il Procuratore Generale (il compianto Dr. Mossa). La replica della difesa ebbe in quella fase il sopravvento: <<Quel Campana degli anni 60 è morto, è se n'è formato un altro, sorto sulle rovine dell'antico.>> <<Che senso ha dopo 30 anni seppellire nel carcere a vita una persona persona diversa, che si è redenta e ha espiato la pena?>>.

Il Tribunale accolse la tesi difensiva e concesse la liberazione condizionale all'imputato. Una liberazione di breve respiro, che venne annullata Cassazione, su ricorso del Procuratore Generale. Il Supremo Collegio, in sede di legittimità, entrando nel merito, con una motivazione in fatto a dir poco contraddittoria, sostenne che <> serbata dal Campana.

Due tipi di ergastolo : quello normale che manca di umanità, proporzionalità, legalità, uguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c'è quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza. La cella che si trasforma in una tomba.

Dal 1992 nasce l'ergastolo ostativo, ritorna la pena perpetua, ovvero la pena di morte viva. Insomma il carcere ostativo è stare in carcere tutta la vita, è una pena che viene data a chi ha fatto parte di un'associazione per delinquere e che ha partecipato a vario titolo a un omicidio. Ostativo vuol dire che è negato ogni beneficio penitenziario : permessi premio, semi libertà, liberazione condizionale, a meno che non si collabori con altre persone. Si confonde la collaborazione col pentimento interiore. In realtà sono gli anni di carcere, nella riflessione e nella sofferenza che portano a una revisione interiore degli errori del passato.

Attenuare le conseguenze del reato: Come ? Il ruolo della persona offesa : <> (v. informativa deii cc., per il caso di Campana Giuseppe). Per "attenuare" bisogna essere in due : condannato e vittima del reato. Lo Stato non può delegare alla vittima l'istituto del perdono. Soprattutto in un'area criminogena dove vige l'istituto della vendetta che ha come parametro retributivo la pena di morte.

L'offeso, nelle aree criminogene dell'interno, non conosce, l'istituto del perdono né l'istituto della prescrizione (<<sa morte no immentricat mai >>) né il doppio grado di giurisdizione, ma conosce solo l'istituto della vendetta di cui lui è il depositario esclusivo, con poteri cognitivi ed esecutivi assoluti, in quanto funge da giudice delle indagini preliminari e da giudice dell'esecuzione con sentenze di morte inappellabili.

Per non parlare degli effetti devastanti del processo mediatico : le sentenze di condanna emesse dagli organi di stampa. Il soggetto indagato entra in carcere con l'etichetta di colpevole in forza di un'ipotesi investigativa esposta senza contraddittorio in una conferenza stampa. Ed è etichetta che il recluso, colpevole o innocente che sia, si porta addosso come marchio indelebile per tutta la vita.

Con la rottura epistemologica del vecchio regime inquisitorio si auspica, per il futuro, nello spirito della riforma, una pena che redima non che distrugga la vita.

 




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