-  Redazione P&D  -  17/03/2013

DELIBAZIONE DELLE SENTENZE DEL TRIBUNALE ECCLESIASTICO E PROLUNGATA CONVIVENZA - R.K.

Nel corso del passato anno si è assistito ad un contrasto fra due collegi della Prima sezione della S.c.

Il tema riguardava la possibilità del riconoscimento della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio, in ipotesi di "prolungata convivenza" fra i coniugi.

In linea generale, la S.c. ha già chiarito che la sentenza dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per difetto di consenso, la situazione di vizio psichico (ob defectum discretionis iudicii) da parte di uno dei coniugi, assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dall'ipotesi di invalidità contemplata dall'art. 120 c.c., cosicché è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell'ordinamento italiano

Ma nello stesso tempo ha precisato, in una recente sentenza, anche che è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario la convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio e non la semplice durata del matrimonio medesimo, in quanto l'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio, inteso come matrimonio-rapporto, fondato sulla convivenza dei coniugi; è, pertanto, irrilevante in sé la mera durata pur prolungata nel tempo,  dello stesso, laddove non sia dedotta e provata, nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica (nella specie, di nullità del matrimonio concordatario per grave difetto di discrezione di giudizio del marito), l'effettiva convivenza dei coniugi nello stesso periodo.

La convivenza, infatti, è espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge (Cass. 2011/1343; Cass. n. 9844/2012).

 

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Tale principio giurisprudenziale richiamato attribuisce rilievo, quale situazione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, alla convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio e non alla semplice durata del matrimonio medesimo. Come detto,  l'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali (Cass. S.U. 2008/19809), con la conseguenza che, per i principi emergenti dalla Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia, è proprio il matrimonio-rapporto, fondato sulla convivenza dei coniugi, ad avere una incidenza rilevante nell'ordine pubblico italiano, tale da impedire di annullare il matrimonio dopo che è iniziata la convivenza e spesso se questa è durata per un certo tempo (Cass. 2003/3339; Cass. 2011/1343; cfr. anche Sez. Un., n. 19809 del 2008, Rv. 604842-3).

In linea contraria si è espresso altro collegio, sempre nel 2012, affermando che "in tema di delibazione di sentenze del Tribunale ecclesiastico, pur essendo la disposizione canonica che consente l'impugnativa del matrimonio in ogni tempo contraria al principio imperativo, contenuto nell'orientamento statuale, secondo cui non è consentita l'impugnazione del matrimonio civile simulato dopo il decorso di un certo periodo, ciò nondimeno tale regola non costituisce un principio fondamentale dell'ordinamento, nel quale si danno basi di imprescrittibilità dell'impugnazione, anche in materia matrimoniale. Da ciò consegue che è impensabile una interpretazione ad hoc per affermare che in ogni caso di matrimonio nullo per vizi del consenso, l'impugnazione dell'atto sarebbe comunque impedita dalla convivenza come coniugi" (Cass. 4 giugno 2012 n. 8926). Difatti, la convivenza fra i coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio non è espressiva delle norme fondamentali che disciplinano l'istituto e, pertanto, non è ostativa, sotto il profilo dell'ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico.

Per la sentenza, che richiama le SS.UU 4700/1988 le quali avevano già affrontato il tema,  poichè nel nostro ordinamento è stato recepito il sistema matrimoniale canonico, "comprensivo non solo delle norme che disciplinano la costituzione del vincolo, ma anche di quelle che ne regolano il venir meno", non è possibile far valere come causa ostativa alla delibabilità la circostanza che una sentenza ecclesiastica abbia dichiarato la nullità di un matrimonio canonico in violazione di norme imperative previste dall'ordinamento italiano, proprio perchè derogate e superate dallo strumento concordatario. Sulla base di tale premessa si è rilevato che, pur essendo la disposizione canonica che consente l'impugnativa del matrimonio in ogni tempo contraria al principio imperativo, contenuto nell'ordinamento statuale, secondo cui non è consentita l'impugnazione del matrimonio civile simulato dopo il decorso di un certo periodo, ciò non-dimeno tale regola non costituisce un principio fondamentale dell'ordinamento, nel quale si danno casi di imprescrittibilità dell'impugnazione, anche in materia matrimoniale. Esclusa, poi, la rilevanza dei principi costituzionali rispetto alla possibilità di predicare la stabilità del vincolo, realizzatasi anche attraverso la convivenza, come causa ostativa al rilievo del difetto genetico dell'atto costitutivo, si è posta in evidenza la sostanziale peculiarità della norma contenuta nell'art. 123 c.c., comma 2 (tale da non consentire la configurabilità di un principio fondamentale dell'ordinamento), tanto più che l'art. 123 c.c., comma 2, piuttosto che prevedere una sanatoria del "matrimonio-atto" ad opera del "matrimonio- rapporto", configurerebbe una presunzione iuris et de iure, in assenza di impugnativa entro l'anno, di inesistenza della simulazione. Si afferma, quindi, anche all'esito di una disamina dei rapporti fra il giudizio di divorzio e quello relativo alla nullità matrimoniale, che "la limitata portata della convivenza come coniugi" e "l'inesistenza nelle norme costituzionali di un principi chiaramente evincibile circa la prevalenza del matrimonio-rapporto sul matrimonio-atto, anche se viziato", impediscono la praticabilità di un'interpretazione adeguatrice, per la quale in ogni caso di matrimonio nullo per vizi del consenso l'impugnazione dell'atto sarebbe comunque impedita dal detta convivenza come coniugi, che finirebbe col comportare "una sostanziale modifica dell'ordinamento".

Ritorna, quindi, il contrasto giurisprudenziale, ad anni di distanza, suffragato da altre decisioni che si discostano dalle precedenti SS. UU.:  sulla stessa linea interpretativa, già la Sez. 1, n. 1780/2012 (non massimata) aveva chiarito che «il limite di ordine pubblico postula che non di mera coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato – che nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo – bensì di vera e propria convivenza significativa di un"instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci – per l"appunto, come tra (veri) coniugi (art. 143 cod. civ.) – tale da dimostrare l"instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto».

Restiamo in attesa di un nuovo intervento chiarificatore sul punto.




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