-  Redazione P&D  -  01/04/2014

DEMANSIONAMENTO: RISARCIBILE IL DANNO ESISTENZIALE - Cass. 6230/14

Cassazione civile, sez. lav., 18/3/2014, n. 6230, pres. Miani Canevari, rel. Napoletano, ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma, riducendo il quantum, liquidato in via equitativa dal primo giudice, a titolo di risarcimento del danno per il demansionamento subito dal marzo 1997 al marzo 1999. A fondamento del decisum la Corte territoriale, aveva posto, innanzitutto, il rilievo secondo il quale, circa il risarcimento del danno per demansionamento, le allegazioni e le risultanze delle dichiarazioni testimoniali costituivano la prova presuntiva del danno alla professionalità ed alla personalità ad essa collegata ed avuto riguardo alle mansioni residuate, al periodo di solo un anno ed al successivo venire meno della situazione lesiva stimava, quale misura giusta del danno, quella della metà della retribuzione mensile.

La S.C. ha affermato essere principio oramai acquisito alla giurisprudenza della Corte che "in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale (da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno) va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno (per tutte V. Cass. 19 dicembre 2008 n. 29832 e Cass. 21 marzo 2012 n. 4479)".

Nel caso di specie, ha aggiunto la S.C., "la Corte del merito si è attenuta a siffatto principio in quanto ha fondato il proprio decisum, sul punto in questione, sulla prova per presunzioni tenendo conto appunto dei vari elementi, desunti dalle prove testimoniali, quali la riduzione delle responsabilità della posizione di vertice, l'estromissione logistica del dipendente, le mansioni residuate, il periodo di demansionamento ed il venir meno della situazione lesiva. Elementi questi utilizzati anche ai fini della determinazione del danno. Si tratta di un accertamento di fatto che, in quanto sorretto da congrua e logica motivazione, sfugge al sindacato di questa Corte".

 




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