-  Comand Carol  -  13/02/2015

DEONTOLOGIA FORENSE: IN TEMA DI VOLONTA' - Carol COMAND

Il nuovo codice deontologico forense è stato approvato dal Consiglio nazionale forense il 31 gennaio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014 ed è entrato in vigore il 15 gennaio 2015.

Con accento lievemente diverso rispetto al passato, nella relazione illustrativa che lo ha accompagnato - nella quale si fa spesso espresso richiamo alla legge del 31 dicembre 2012, n. 247 recante la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense - si pone in evidenza che, l'insieme delle norme deputate alla regolamentazione della deontologia della funzione difensiva, si può ritenere, non tanto, un'espressione di istanze corporative quanto, piuttosto, un veicolo del pubblico interesse all'esercizio della difesa e, inoltre, che costituisce illecito disciplinare, non solo il mancato rispetto del nuovo codice deontologico, ma anche il mancato rispetto della nuova legge di disciplina dell'ordinamento.

Nella medesima relazione, presa in esame la struttura del codice, non si manca peraltro di fare riferimento, fra i principi generali del titolo I, in primo luogo all'assoluta asciuttezza della rubrica dell'art. 1, menzionante l'avvocato.

Dato quanto precede, si è cercato, attraverso un innovato sguardo, di fornire una prima lettura del nuovo art. 4 del codice, concernente la volontarietà dell'azione.

La rubrica è rimasta la medesima rispetto al passato ma la disposizione, oltre alla diversa collocazione, è suddivisa in due commi e reca alcune significative differenze.

Per quanto d'interesse, nel presente lavoro, ci si limiterà al primo comma dell'articolo il quale dispone che: "la responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e delle regole di condotta dettati dalla legge e dalla deontologia, nonché dalla coscienza e volontà delle azioni od omissioni".

Nella formulazione precedente non si faceva alcuna menzione delle regole di condotta dettate dalla legge e dalla deontologia e, per quanto riguarda la volontarietà delle azioni, la necessità di agire con coscienza, oltre che con volontà, non veniva esplicitata.

Se le modifiche al primo periodo sono dovute alla modifica della stessa legge di disciplina dell'ordinamento, diverse considerazioni potrebbero farsi riguardo all'esplicitazione della necessaria coscienza dell'azione.

Dalla giurisprudenza del Consiglio nazionale forense in tema di volontarietà dell'azione, nella vigenza del vecchio codice, emerge che per l'imputabilità della infrazione disciplinare non si rivelava necessaria la consapevolezza della illiceità della condotta "essendo sufficiente la volontarietà dell'azione che ha dato luogo al compimento di un atto deontologicamente scorretto" (così C.N.F. 22.07.2005, n. 98 in fattispecie di sottoscrizione dell'atto postuma alla notificazione, al deposito in cancelleria ed alla opposta eccezione della nullità dell'atto).

In riferimento alla volontarietà dell'omissione, inoltre, si è affermato che: "la responsabilità del professionista ai fini dell'addebito dell'infrazione disciplinare non necessita di c.d. dolo specifico e/o generico, essendo sufficiente la volontarietà con cui l'atto è stato compiuto ovvero omesso" anche quando questo si manifesti in un mancato adempimento all'obbligo di controllo. La volontarietà della condotta sarebbe in questo caso emersa dal non aver posto, una volta a conoscenza del fatto, alcuna attività diretta a rimediare all'accaduto arrestando la catena causale (C.N.F. 03.09.2013, n.156).

Con diversa pronuncia, in cui si è rilevata la sussistenza di una obiettiva difficoltà nella situazione affrontata dal difensore si è d'altra parte riconosciuto che "nella specie, per le particolari situazioni di fatto" non essendovi stata una cosciente volontà di venir meno ai propri doveri "viene meno la volontarietà dell'azione", quale elemento indispensabile ai sensi dell'allora art. 3 c.d.f. "per sanzionare un comportamento deontologicamente rilevante" (C.N.F. 29.12.2006, n. 208 in fattispecie nella quale l'incolpato, nella qualità di difensore di più persone, in una causa complessa aveva certificato alcune sottoscrizioni mai effettuate).

Anche in esito ad altro e più recente giudizio si fa riferimento alla coscienza, oltre che alla volontarietà dell'azione. Vi si afferma, in particolare, che "una condotta cosciente e volontaria è infatti sufficiente a configurare la violazione" e ciò, "a prescindere dalla eventuale finalità della azione volitiva della condotta", dando rilievo, nel caso di specie, alla consapevolezza dell'incolpato "a nulla o a poco rilevando che egli abbia nella realtà divulgato il volantino oggetto dell'incolpazione" (C.N.F. 29.11.2012, n. 170).

In termini più precisi, si è poi affermato che: "al fine di integrare l'illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo" è sufficiente l'elemento della suitas della condotta "intesa come volontà consapevole dell'atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, di dominarlo". Nella medesima pronuncia si individua, inoltre, nella possibilità di evitare la condotta tenuta quella che è stata definita come "la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto" (C.N.F. 17.07.2013, n. 106).

Per altro e diverso aspetto, - che si riporta in quanto peculiarmente, nonché diversamente rilevante, a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice deontologico -, nella fattispecie esaminata, il Consiglio ha ritenuto che un'operazione chirurgica subita al tempo dall'incolpato, avesse sicuramente inciso psicologiamente su quest'ultimo "determinando verosimilmente una attenuazione della propria attenzione rispetto alle pratiche seguite", con conseguente rideterminazione, in melius, della sanzione originariamente irrogata (nel medesimo senso anche C.N.F. 30.09.1993, n. 110).

Inequivocabilmente di minore impatto, data la nuova formulazione della norma, quanto invece deciso dal medesimo organo il 20.12.2007, con pronuncia n. 214, circa la possibilità di escludere l'illecito disciplinare nell'ipotesi in cui si sia operato con la consapevolezza del consenso del collega e, ciò, in quanto verrebbe esclusa "la volontà cosciente dell'azione e, dunque, il presupposto soggettivo della responsabilità disciplinare".

A prescindere dunque da queste ultime, marginali, ipotesi riportate, è possibile rilevare che, ai fini dell'addebito, in certo qual senso si sia sempre ritenuta necessaria la sussistenza della "coscienza" - oltre che della volontarietà - dell'atto considerato ma che, solo con l'emanazione del nuovo codice deontologico, si sia ravvisata l'esigenza di esplicitarne la formulazione.

Solo attraverso un'analisi della futura giurisprudenza, d'altra parte, sarà possibile valutare se, ed in riferimento a quali termini, tale modifica normativa sia destinata ad incidere sulla possibile determinazione della sussistenza di illeciti disciplinari, determinati dalle scelte di volta in volta effettuate dai soggetti interessati. (c.c.)

 

 

 

 

 




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