-  Mazzon Riccardo  -  12/03/2016

DETERMINATEZZA E TASSATIVITA': PRINCIPI DI LEGALITA' VALIDI SOLO IN AMBITO PENALE O SANZIONATORIO - Riccardo MAZZON

Dall"esame di determinati istituti (tipicità, riserva di legge, principio di determinatezza, principio di tassatività e principio di irretroattività) emerge quella che è la più rilevante difformità tra il fatto nell"illecito civile ed il fatto nell"illecito penale: il fatto nell"illecito civile, infatti, a differenza del fatto nell"illecito penale, è contraddistinto dalla clausola generale di atipicità e non soggiace all"applicabilità del principio di legalità operante in ambito penale, in nessuno dei suoi risvolti.

Il principio di determinatezza e il principio di tassatività – per rilevanza e confronto in ambito civile, cfr., in particolare, capitolo II del volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" - Riccardo Mazzon, Rimini 2014 -, indicando l"esigenza che la norma penale incriminatrice sia formulata in modo tale da consentire il sicuro apprezzamento del suo contenuto – cosicché sia possibile conoscere con sufficiente precisione ciò che è penalmente lecito o vietato, circoscrivendo in limiti ben definiti l"attività interpretativa del giudice e garantendo i cittadini dagli abusi del potere giudiziario –, vengono affrontati congiuntamente da diversi autori (Fiandaca Musco 1999; Antolisei 2003), e da parte della giurisprudenza.

"è manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 419 cod. pen. per contrasto con il principio di tassatività e determinatezza delle fattispecie penali, previsto all'art. 25 della Costituzione, in quando l'enunciazione della condotta del reato, pur descritta genericamente in termini di "devastazione" o "saccheggio", consente al giudice, avuto riguardo anche alla finalità di incriminazione ed al contesto ordinamentale in cui si colloca, di stabilire con precisione il significato delle parole, che isolatamente considerate potrebbero anche apparire non specifiche, ed al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo di essa" (Cassazione penale, sez. I, 13/07/2012, n. 42130 Annulla in parte con rinvio, App. Genova, 09/10/2009, A. e altro CED Cass. pen. 2012, rv 253801 – cfr. anche Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 1999, n. 14758, RPo, 2000, 362).

In realtà, pur trattandosi di principi sicuramente complementari, essi meritano una trattazione distinta, in quanto indirizzati a soggetti diversi dell"ordinamento: la determinatezza si proietta all"interno della fattispecie e si rivolge al legislatore, imponendogli di procedere alla redazione di precetti penali dal contenuto precisamente definito; la tassatività, invece, costituisce lo sbarramento esterno della fattispecie stessa e si rivolge al potere giudiziario, precludendo al giudice di estendere per analogia l"applicazione della norma, impedendo quindi che questa possa essere applicata a casi diversi da quelli ricompresi nella sua formulazione astratta.

La ratio dei principi di determinatezza e di tassatività, più che in esigenze puramente razionali di certezza, va individuata nel, spesso citato, favor libertatis: l"assenza di tali principi consentirebbe, infatti, la configurazione dei comportamenti penalmente sanzionati in termini così generici che il principio di legalità (e con esso il principio di tipicità) risulterebbe rispettato solamente nella forma, ma eluso nella sostanza.

La determinatezza delle fattispecie incriminatici rappresenta una condizione indispensabile perché la norma penale, individuato il tipico contenuto di disvalore del fatto, possa fungere da guida al comportamento del cittadino e venga, conseguentemente, garantito il diritto alla difesa.

Il problema è stabilire quale sia il grado di determinatezza della fattispecie necessario e sufficiente perché tale principio sia soddisfatto.

La prevalente dottrina italiana è orientata verso un"interpretazione rigoristica del principio di determinatezza, mostrandosi propensa a considerare incostituzionali le fattispecie indeterminate (Mantovani, Diritto penale, Padova, 2001).

Anche la giurisprudenza di merito, seppur con maggior ritardo, sta sensibilizzandosi al principio costituzionale della determinatezza, sollevando con frequenza eccezioni di incostituzionalità di fronte alla Corte costituzionale;

"non è manifestamente infondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell"art. 323, 2° co., c.p. rispetto agli artt. 25, 2° co. e 97, 1° co., Cost." (Trib. Piacenza, 16 aprile 1996, DPP, 1996, 1138)

"non è manifestamente infondata la q.l.c. dell"art. 53 bis d.lg. 22/1997, così come introdotto dalla l. 93/2001, in quanto il riferimento agli "ingenti quantitativi di rifiuti" che devono essere gestiti dall"autore dell"illecito perché la sua condotta sia penalmente rilevante, in carenza di criteri obiettivi di valutazione, appare estremamente generico" (Uff. Indagini preliminari Bari, 24 giugno 2004, www.giurisprudenzabarese.it, 2005)

quest"ultima, peraltro, continua a mantenere un atteggiamento di estrema prudenza, condizionato dalla duplice preoccupazione di creare vuoti di tutela e di entrare in conflitto con il legislatore.

La Corte costituzionale ha, in effetti, quasi sempre avvalorato il ricorso del legislatore a concetti indeterminati, sull"assunto che il divieto di indeterminatezza inevitabilmente si scontra con l"ovvia considerazione che i confini della "determinatezza" non sono netti, ed ogni norma, in quanto definizione di fattispecie astratte, presuppone comunque un margine di indeterminatezza nell"individuazione dei comportamenti concreti da sussumere:

"è manifestamente infondata, in riferimento all'art. 25, comma secondo, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 612 bis cod. pen. - che prevede e sanziona gli atti persecutori - in quanto la fattispecie incriminatrice ivi prevista non viola il principio di determinatezza ma è delineata in tutte le sue componenti essenziali, assumendo il fatto costitutivo del reato i connotati dell'antigiuridicità attraverso la realizzazione reiterata di condotte dotate di un elevato grado di determinatezza, dovendo consistere in minacce e molestie, non meramente generiche ma tali da assumere una gravità idonea a cagionare nella vittima uno degli eventi alternativamente previsti dalla stessa disposizione normativa" (Cassazione penale, sez. V, 13/06/2012, n. 36737; Rigetta, App. L'Aquila, 25 marzo 2011 B. CED Cass. pen. 2012, rv 253534; cfr. anche: Cass. pen., sez. V, 7 dicembre 2004, n. 2279, CP, 2006, 3, 265; Ass. Milano, 9 maggio 2005, FAmb, 2005, 2137; Corte cost., 21 novembre 2000, n. 519, GiC, 2000, 6; DPP, 2001, 55; Corte cost., 17 luglio 2000, n. 293, GiC, 2000, 2239; DInf, 2000, 617).

Il principio di tassatività, si è detto, si rivolge al giudice, vincolandolo nella sua interpretazione e obbligandolo a ricondurre nella fattispecie incriminatrice soltanto i casi dalla stessa espressamente previsti; è dunque preclusa l"analogia nei confronti di norme incriminatrici o comunque sfavorevoli: il ricorso al procedimento analogico, infatti, presupponendo una lacuna normativa, costituisce un"integrazione in contrasto con il monopolio del legislatore in materia penale e sminuirebbe la ratio garantistica della determinatezza.

"le disposizioni della l. 8 febbraio 1948 n. 47 non sono applicabili ai fatti di diffamazione commessi a mezzo internet, se non a pena di una inammissibile violazione dei principi di tassatività delle norme penali e di divieto di analogia "in malam partem". (Nella fattispecie è stato escluso sia l'autonomo reato di stampa clandestina di cui all'art. 16 della legge, sia l'aggravante di cui all'art. 13 per la diffamazione)" Tribunale Milano, sez. VII, 15/03/2010 - Foro ambrosiano 2010, 1, 23; cfr. anche Cass. pen., sez. III, 4 luglio 1997, n. 8236, SI, 1998, 199; Cass., Sez. U., 8 gennaio 1988, RT, 1988, II, 527; quanto alla causa di giustificazione, non codificata, della attività sportiva: Trib. Rieti, 12 gennaio 2001, GM, 2001, 409; Cass. pen., sez. V, 2 giugno 2000, n. 8910, SI, 2001, 88.

 Il divieto di analogia, peraltro, secondo alcuni autori è un divieto non assoluto, ma relativo: dal dettato dell"art. 25, 2° co., Cost., infatti, l"opinione comune deduce solamente il divieto di analogia in malam partem, soltanto quest"ultima contrastando con le esigenze di garanzia della libertà personale sancite dal principio di legalità; risulterebbe pertanto perfettamente conforme alla disposizione costituzionale un"interpretazione analogica che avesse come obiettivo quello di estendere la portata delle norme più favorevoli al reo (Gallo, La legge penale, Torino, 1967; Pagliaro, voce Legge penale: principi generali, in ED, XXII, Milano, 1973).

Il punto merita peraltro di essere discusso in modo più approfondito, avendo a mente la tesi sostenuta in particolare da Padovani.

Interessante vagliare la sequenza logica così come rappresentata dal noto autore.

a) Solo l"analogia in malam partem è preclusa dall"art. 25, 2° co., Cost. in quanto contrastante col principio di legalità.

b) L"art. 14 disp. prel c.c., precludendo l"analogia per le "leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali...", implica inammissibilità di analogia in bonam partem?

c) Se per "legge penale" s"intende anche ogni legge che estingua o escluda la responsabilità penale (accezione lata), l"analogia è esclusa anche per le norme favorevoli.

d) L"opinione prevalente limita il concetto di legge penale alle sole leggi incriminatici (tale interpretazione, peraltro, porta all"assoluta coincidenza tra la funzione garantistica dell"art. 25, 2° co., Cost. e l"art. 14 disp. prel. c.c.): si tratta allora di considerare se le norme favorevoli rappresentino leggi "eccezionali" e quindi, per tal verso, siano escluse dall"ammissibilità all"analogia.

e) Formalmente, la norma favorevole deroga alla norma sfavorevole, sicché, facendo "eccezione a regole generali", ne sarebbe precluso l"utilizzo analogico.

f) Si osserva, peraltro, che, specie quanto alle cause di giustificazione, le stesse siano espressione di principi generali (vim vi repellere licet, necessitas non habet legem, qui iure suo utitur neminem laedit, ecc.), sicché non opererebbe pertanto il divieto di analogia [si pensi, ad esempio, all'area del c.d. rischio consentito - integrante causa di giustificazione non codificata, elaborata in considerazione dell'interesse primario che l'ordinamento riconnette alla pratica dello sport-; essa è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali va valutata, in concreto, con riferimento all'elemento psicologico dell'agente, il cui comportamento - nel travalicamento di quelle regole - può integrare tanto la colposa, involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata, quanto la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario

"approfittando della circostanza del gioco (esclusa, nella specie, l'esimente de quo per l'imputata che, al termine di un partita di calcio, aveva schiaffeggiato un'avversaria, che durante l'incontro l'aveva più volte colpita e spintonata, commettendo numerosi falli di gioco)" (Cassazione penale, sez. V, 24/09/2012, n. 7536, N.F., Diritto & Giustizia 2013 – cfr. anche App. Palermo, 26 novembre 2002, GM, 2003, 719; RIML, 2003, 714)].

g) Da ultimo, non si può peraltro non rilevare come presupposto per l"applicazione analogica sia l"esistenza di una lacuna: ma, ontologicamente, se taluno ritenga di dover applicare una norma penale favorevole, significa che il fatto rientra nell"ambito di applicazione di una norma penale incriminatrice (altrimenti non vi sarebbe alcuna ragione di scriminare).

Ne consegue che il problema concreto che si presenta all"interprete non è in realtà il colmare una lacuna, bensì il sovvertire la normativa [spinti, solitamente, da una esigenza di equità: così, ad esempio, si è affermato che il principio della non esigibilità di una condotta diversa, sia che lo si voglia ricollegate alla ratio della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui "umanamente" pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla ratio dell'antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell'agente di uniformare la condotta al precetto penale, non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'"analogia iuris":

"pertanto il reato di cui all'art. 50 d.lg. n. 22 del 1997, ora sostituito dall'art. 152 d.lg. n. 152 del 2006 può essere punito sia a titolo di dolo che di colpa per negligenza, imprudenza ecc., mentre la punibilità dell'agente è esclusa solo dall'ignoranza incolpevole sull'esistenza dell'ordine ovvero dall'errore incolpevole sul contenuto dell'ordine stesso" (Cassazione penale, sez. III, 11/03/2008, n. 14747, C., Ragiusan 2008, 295-296, 154; cfr. anche Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 1993, MCP, 1993, fasc. 10, 8; GP, 1994, II, 317)].

h) Il motivo espresso al punto g) porta ad interpretare la "legge penale" di cui all"art. 14 disp. prel c.c. in senso lato, come cioè ogni legge che fondi, modifichi, estingua od escluda una responsabilità penale [così, s"è ribadito in giurisprudenza che la cosiddetta inesigibilità, al di fuori delle ipotesi tipiche di cause di giustificazione (legittima difesa, stato di necessità, adempimento di un dovere, consenso dell"avente diritto, esercizio di un diritto, uso legittimo di armi) o di cause di esclusione della colpevolezza, ossia del dolo o della colpa (come il caso fortuito, il costringimento fisico, l"errore di fatto, la forza maggiore), non trova nel diritto positivo un fondamento, come riconosce anche la prevalente dottrina, perché le condizioni e i limiti alla applicazione delle norme sono posti dalle norme stesse e

"non è possibile in materia penale affidare al giudice compiti di ricorso alla analogia, mancando criteri certi cui riferire la pretesa inesigibilità, sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo. (Fattispecie relativa a dedotta impossibilità nell"osservanza di parametri (nella specie: cloruri) dei limiti di accettabilità degli scarichi in tema di tutela delle acque dall"inquinamento)" (Cass. pen., sez. III, 8 maggio 1985, CP, 1987, 892)].

 




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